Aliyà globale dopo il 7 ottobre: la diaspora torna a Israele tra solidarietà, insicurezza, identità e un paradosso interno

Israele

di Nina Deutsch
Antisemitismo in crescita, guerre e insicurezza spingono decine di migliaia di ebrei verso Israele. Dal Regno Unito agli Stati Uniti, l’aliyà accelera. Dall’inizio della guerra oltre 53.000 ebrei hanno fatto ritorno e le pratiche aperte sono raddoppiate o triplicate in tutto il mondo. Israele prepara piani di emergenza e riforme per accogliere i nuovi arrivati. Intanto, un sondaggio rivela un dato opposto: più di un israeliano su quattro valuta l’emigrazione. Il racconto di un momento cruciale, tra ritorni e fughe.

 

C’è un movimento silenzioso ma sempre più visibile che attraversa la diaspora ebraica e converge verso Israele. Un flusso fatto di pratiche aperte online, famiglie che si informano, giovani che valutano un futuro diverso e comunità che si interrogano sulla propria sicurezza. Dopo gli attacchi del 7 ottobre e il conflitto che ne è seguito, l’aliyà sta assumendo per molti ebrei nel mondo un significato nuovo: non solo ideale o identitario, ma urgente, concreto, esistenziale.

Ondate di antisemitismo, manifestazioni violente e attentati hanno colpito comunità ebraiche in Europa, Nord America e Australia. Un clima che spinge sempre più persone a considerare Israele come un punto di riferimento stabile, se non come un rifugio. A confermare la portata globale del fenomeno è il Ministero israeliano dell’Aliyà e dell’Integrazione: dall’inizio della guerra, oltre 53.000 ebrei hanno fatto aliyà, un numero definito «straordinario» dal direttore generale Avichai Kahana durante un intervento pubblico del dicembre 2025 a Washington.

Secondo Kahana, il dato più significativo non riguarda solo gli arrivi, ma le intenzioni: il numero di persone che hanno aperto una pratica di aliyà è raddoppiato e in alcuni casi triplicato rispetto agli anni precedenti. «Ci troviamo di fronte a un’opportunità nazionale storica», ha spiegato, ricordando come le grandi ondate migratorie abbiano costruito l’economia, la forza lavoro e il capitale umano di Israele nei decenni passati.

All’interno di questo scenario globale, il Regno Unito rappresenta uno dei casi più emblematici. Come riporta Jewish News, l’aliyà dal Regno Unito è aumentata di oltre il 70% dal 2023. I dati dell’Agenzia Ebraica mostrano che gli ebrei britannici che hanno fatto aliyà sono passati da 391 nel 2023 a 577 entro ottobre 2025, con un aumento del 76% tra il 2023 e il 2024 e un ulteriore +20% nel 2025. Le proiezioni indicano un’ulteriore crescita nel 2026.

A intercettare questa domanda crescente è Shivat Zion, ente autorizzato dall’Agenzia Ebraica, che parla di livelli di richiesta senza precedenti. Nei primi undici mesi del 2025, le richieste di assistenza sono aumentate del 25% rispetto all’intero 2024, mentre l’utilizzo dei servizi digitali è cresciuto del 30%. Complessivamente, rispetto al 2023, l’organizzazione fornisce oggi circa il 150% di supporto in più, aiutando famiglie e individui non solo nel processo burocratico, ma anche nella preparazione concreta alla vita in Israele.

La percezione di una minaccia globale ha spinto anche il governo israeliano ad accelerare i piani. Come riporta il Jerusalem Post, Israele ha dato nuovo impulso al piano di aliyà di emergenza “Aliyat HaTekuma” dopo il massacro avvenuto durante Hanukkah a Bondi Beach, in Australia. Il piano era stato richiesto dal primo ministro Benjamin Netanyahu già prima dell’attacco, ma l’uccisione di 15 persone ha reso evidente l’urgenza di una risposta strutturata per le comunità ebraiche a rischio.

Il Ministero dell’Aliyà e dell’Integrazione accompagna questa fase con riforme mirate: riconoscimento accelerato dei titoli di studio, incentivi all’assunzione, semplificazione burocratica, riforme fiscali e un nuovo sistema di accompagnamento pre-aliyà, con coordinatori dedicati che seguono ogni futuro oleh dal primo contatto fino all’integrazione nella società israeliana.

Un trend inverso

Eppure, mentre Israele si prepara ad accogliere una nuova ondata dalla diaspora, emerge un paradosso interno. Secondo un sondaggio dell’Israel Democracy Institute, riportato dal Times of Israel, oltre un israeliano su quattro sta considerando di lasciare il Paese. Il dato riguarda il 30% degli arabi israeliani e il 26% degli ebrei, con una maggiore propensione tra i laici. Sicurezza, instabilità politica, costo della vita e prospettive occupazionali sono le principali preoccupazioni.

Due movimenti opposti, alimentati dallo stesso contesto globale, raccontano la complessità del momento: Israele come polo di attrazione per una diaspora in cerca di sicurezza, ma anche come società attraversata da tensioni profonde. La sfida, oggi, è trasformare questa nuova aliyà in una risorsa duratura, capace non solo di accogliere chi arriva, ma anche di convincere chi già c’è a restare.

Intervento di Avichai Kahana, Direttore generale del Ministero per l’Aliyà e l’Integrazione

Trascrizione dell’intervento: «Signore e signori, poco più di due anni fa il nostro mondo è cambiato radicalmente. Gli eventi del 7 ottobre e le guerre che ne sono seguite hanno ridefinito il modo in cui gli ebrei, sia in Israele sia all’estero, comprendono il proprio posto nel mondo. Ondate di antisemitismo, manifestazioni violente e persino attacchi terroristici hanno colpito l’Australia, il Regno Unito, la Francia, il Sudafrica e perfino qui negli Stati Uniti, perfino qui a Washington.

Ma esiste anche un’altra grande ondata, più potente e ancora più importante: una grande ondata di solidarietà. Come tutti leggeremo nei prossimi paragrafi, abbiamo imparato ancora una volta che siamo fratelli, figli di un unico uomo.

Al Ministero dell’Aliyà e dell’Integrazione assistiamo ogni giorno a questo destino condiviso. Durante le nostre visite alle comunità ebraiche di tutto il mondo ascoltiamo storie di soldati solitari che hanno lasciato tutto per unirsi alle Forze di Difesa Israeliane. Ascoltiamo giovani famiglie provenienti da ogni parte del mondo, animate dal desiderio di costruire la propria casa in Israele e di condividere con noi gli stessi sogni e lo stesso futuro. Nei nostri eventi dedicati all’aliyà vediamo migliaia di persone venire a informarsi su come fare per procedere.

Signore e signori, questo sogno sta già iniziando a realizzarsi. Dall’inizio della guerra, più di 53.000 ebrei hanno fatto aliyà in Israele: un numero straordinario, oltre 53.000 olim in due anni di guerra. E mentre siamo pieni di orgoglio per questo dato incredibile, desidero condividere con voi un’opportunità ancora più grande che ci sta davanti.

Mentre il numero degli olim cresce, il numero di persone che aprono pratiche di aliyà è senza precedenti. Dall’inizio della guerra, il numero di persone che hanno aperto una pratica di aliyà è raddoppiato e triplicato rispetto al passato. Ora, con il ritorno degli ostaggi e la speranza della fine della guerra, ci troviamo di fronte a un’opportunità nazionale storica che potrebbe non ripresentarsi. Perché dalla fondazione dello Stato di Israele fino a oggi, le ondate di aliyà nel corso dei decenni sono ciò che ha costruito l’economia e la società israeliane.

Gli olim sono coloro che hanno costruito strade e piantato foreste nei primi anni dello Stato. Gli olim sono coloro che hanno raddoppiato la forza lavoro nel secondo decennio dello Stato. Gli olim sono coloro che hanno triplicato il numero di ingegneri nella grande ondata di aliyà dei primi anni ’90. E lo stesso vale oggi. L’ondata di aliyà che ora si trova davanti a noi rappresenta un’opportunità straordinaria per Israele.

Il Ministero dell’Aliyà e dell’Integrazione, sotto la guida del Ministro, sta facendo tutto ciò che è in suo potere per renderla possibile. Stiamo abbreviando i processi di riconoscimento delle licenze e dei titoli di studio. Stiamo incoraggiando il settore imprenditoriale ad assumere. Stiamo rimuovendo barriere burocratiche e finanziarie e promuovendo riforme fiscali che rendono l’aliyà più attraente che mai.

Sappiamo e comprendiamo che l’aliyà è un evento che cambia la vita: una nuova casa, una nuova lingua, un nuovo sistema scolastico, un nuovo lavoro, e tutto questo in una cultura non familiare. Per questo, nel nostro ministero, un principio ci guida: l’oleh, l’ebreo che emigra in Israele, è al centro.

E c’è di più. Per aiutare un numero ancora maggiore di futuri olim e rendere il processo più semplice, stiamo spostando molte fasi alla fase pre-aliyà. Per la prima volta, il ministero ha creato un team globale di coordinatori professionisti per il supporto agli olim. Essi accompagnano ogni oleh passo dopo passo, dal primo momento in cui si informa sull’aliyà, passando per l’atterraggio all’aeroporto Ben Gurion, fino alla piena integrazione nella nuova comunità.

Lo Stato di Israele sta dicendo oggi, forte e chiaro, ai nuovi olim: Israele vi vuole, Israele ha bisogno di voi e ci assumeremo la responsabilità del vostro percorso verso casa.

Signore e signori, desidero sottolineare ancora un principio fondamentale. L’aliyà in Israele non è soltanto una decisione personale di trasferimento. L’aliyà è il fondamento dell’idea della nazione ebraica: una nazione con un unico sogno condiviso.

Nonostante le correnti attuali, diciamo qui con orgoglio che l’aliyà in Israele riflette il legame naturale di ogni ebreo con la nostra patria. Che decidiate o meno di fare aliyà, questo è il cuore del sionismo: il legame con Sion. Questo sforzo nazionale per portare la prossima grande ondata di aliyà riflette l’importanza di questo momento cruciale. Al Ministero dell’Aliyà e dell’Integrazione siamo impegnati a fare tutto il necessario per trasformare questa visione in realtà, e ci riusciremo. Grazie a tutti».