Liliana Segre al memoriale della Shoah

Al Memoriale per commemorare la Shoah

Eventi

di Nathan Greppi
Mercoledì 30 gennaio al Memoriale della Shoah di Milano si è tenuta una commemorazione a cui hanno preso parte le alte cariche della Comunità Ebraica di Milano e la Comunità di Sant’Egidio per ricordare gli ebrei che, il 30 gennaio 1944, partirono dalla Stazione Centrale diretti verso Auschwitz. Tra coloro che partirono quel giorno vi fu anche Liliana Segre, che ha partecipato alla commemorazione.

A introdurre l’evento è stato Giorgio Del Zanna della Comunità di Sant’Egidio, il quale ha affermato che “venire qui significa uscire dalle nostre case per ascoltare, condividendo questo momento che ci spinge a rompere il muro di indifferenza che è tra noi e in noi; un vento freddo soffia nelle nostre città, e domina la voglia di stare tra simili nel chiuso delle proprie comunità e lasciando fuori gli altri. La paura di un mondo troppo complesso si fa chiusura, e il ripiegamento diventa ostilità e si trasforma in violenza.

“Nell’anno in cui abbiamo ricordato gli 80 anni della triste pagina delle leggi razziali abbiamo assistito al riemergere di un razzismo duro, mischiato a un crescente antisemitismo,” ha spiegato, ricordato il recente vandalismo alle Pietre d’inciampo e la strage di Pittsburgh, aggiungendo che in molti cadono nel vittimismo. “È una tentazione che contrastiamo anche così, non smettendo di ascoltare le storie di chi è stato veramente vittima.”

E’ poi intervenuto Roberto Jarach, Presidente del Memoriale: “È particolarmente significativo che da23 anni ormai svolgiamo questa cerimonia, che non è un momento qualunque, non è uno di quei rituali privi di contenuto, ma grazie alla presenza di tante persone è molto ricca di significato.” Ricordando quando, negli scorsi anni, il Memoriale ha accolto numerosi profughi, ha detto che “in un momento in cui si cerca solo di respingere anziché cercare il miglior modo per accogliere, pur nei limiti che consente, non un’apertura indiscriminata ma una che permetta a esseri umani di trovare nel nostro paese un’accoglienza a cui siamo naturalmente portati.” Ha inoltre ricordato il lavoro fatto per portare le scolaresche al Memoriale: prima della fine del 2018 sono arrivati oltre 100.000 studenti, mentre dall’inizio di gennaio sono stati 500 al giorno.

Rav Arbib e le radici della Shoah

Dopo di lui è venuto il turno di Rav Alfonso Arbib, che ha voluto fare un discorso particolare: “Si dice che l’ebraismo è la religione delle domande, e io vorrei porne una semplice,” ha spiegato, ricollegandosi a quando il senatore Elio Lannutti citò i Protocolli dei Savi di Sion: “La mia domanda è: perché una senatore, nel 2019, sente il bisogno di tirare fuori un falso costruito dalla polizia zarista a inizio ‘900? Ma la mia domanda è anche: perché la polizia zarista a inizio ‘900 sente la necessità di creare un falso letterario? È una domanda che riguarda l’oggi e il passato,” aggiungendo che le Leggi Razziali arrivarono in Italia quando era un paese che non conosceva l’antisemitismo. “Le centinaia di migliaia di persone che applaudirono Mussolini a Trieste quando le annunciò erano tutte diventate antisemite in quel momento? Gli intellettuali che hanno firmato il Manifesto della Razza erano diventati tutti antisemiti in quel momento? Niente nasce dal nulla, tutto ha radici.”

In molti, secondo Rav Arbib, dopo la guerra “hanno creduto che finalmente l’incubo dell’antisemitismo fosse finito. Pur essendo nato dopo, ci ho creduto anch’io. Sappiamo tutti che non è finito, assistiamo a un risorgere dell’antisemitismo in Europa, a una rinascita dei partiti neonazisti, ma assistiamo anche a un antisemitismo di persone perbene, esponenti di partiti che non sono classificabili come antisemiti.” Ha ricordato inoltre che spesso l’antisemitismo si maschera da antisionismo: “C’è un paese, l’Iran, che continua a dichiarare di voler cancellare dalla faccia della Terra lo Stato d’Israele, il che significa cancellare alcuni milioni di ebrei. Io vorrei che tutto questo impressionasse; vorrei che la Giornata della Memoria fosse anche questo, un momento per riflettere su ciò che è avvenuto non solo durante, ma anche prima e dopo la Shoah, altrimenti rischiamo di non capire neanche la Shoah.”

In seguito si è tenuta una breve esibizione del musicista rom Jovica Jovic, in memoria dei rom e sinti morti nei campi, a qui è seguito un intervento di Don Giuliano Savina, direttore dell’Ufficio Nazionale per l’Ecumenismo e il Dialogo Interreligioso della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), che ha citato un libro intitolato Gesù e Israele di Jules Isaac, scritto nel 1948 (tradotto in italiano solo nel 1970) per spiegare cosa ha portato ai pregiudizi antigiudaici nella Chiesa. “Abbiamo ancora tante cose da imparare,” ha detto, “io come prete mi impegno a far sì che le catechiste della mia parrocchia e nella mia comunità cristiana imparino a riconoscere quelle ‘storture’. Noi dobbiamo imparare a saper riconoscere gli errori, perché se non impariamo da qui gli errori si ripeteranno”.

In ricordo di Arpad Weisz

L’intervento successivo è stato dell’amministratore delegato dell’Inter Alessandro Antonello, che ha voluto ricordare l’allenatore Arpad Weisz rimasto vittima della Shoah, e riaffermare la propria collaborazione con il Memoriale della Shoah per contrastare il razzismo nel mondo del calcio: “L’anno scorso abbiamo voluto portare i nostri giovani, più di 400, a visitare questi luoghi, e siamo molto orgogliosi di aver attuato questa collaborazione anche perché la nostra missione, oltre a insegnare ai giovani a diventare grandi calciatori, in primis è di formare degli uomini.”

Le parole di un profugo

Dopo di lui è intervenuto un profugo della Guinea, Alfa Omar Diallo, accolto in passato al Memoriale: ha raccontato che è fuggito dal suo paese per il suo attivismo politico quando aveva 17 anni (oggi ne ha 20), ed è arrivato dapprima in Libia, dove hanno ucciso un suo amico, e poi è partito su una barca con 50 persone, che però iniziò a imbarcare acqua e solo lui e pochi altri sono sopravvissuti perché salvati dalla ONG MOAS: “Arrivato a Milano, dieci mesi fa, ha incontrato la Comunità di Sant’Egidio grazie a cui oggi frequento la scuola di italiano con altri ragazzi da paesi diversi. Mi manca molto il mio paese, la mia mamma, ma con la Comunità di Sant’Egidio ho trovato una nuova famiglia qui in Italia, e li ringrazio molto.”

La testimonianza di Liliana Segre

E infine è intervenuta Liliana Segre, per ricordare quando lei stessa fu deportata dai vagoni al Memoriale: “Il 29 gennaio (del ’44) io ero in prigione a San Vittore già da 40 giorni. E si intrecciavano un sacco di chiacchiere, voci, la gente si chiedeva se ci avrebbero uccisi tutti, o solo i vecchi e i malati. Poi entrò un tedesco, e lesse un elenco di più di 600 nomi, tutti praticamente: ci dovevamo preparare a partire il giorno dopo per ignota destinazione. Era una sensazione sospesa, come quando hai fatto un’analisi e non sai se sarai sano.”

“E come ci si prepara a partire per ignota destinazione? Poi partivi, e sparivi in questa destinazione preparata da anni, un meccanismo perfetto. E com’ero, poi, il 30 gennaio dell’anno dopo? Ero sempre quella ragazzina che era scesa a quella destinazione tragica, a quel luogo di morte, con quella vergogna che si prova quando si vede un altro da te ma uguale, che ha solo una divisa diversa e non è pazzo, compiere il male. E tu assisti al terrore che la violenza sia fatta su di te, perché non hai fatto niente ma sei nato e devi sparire. E sei viva l’anno dopo, sei magra, sei uno scheletro, vestita di stracci. E dov’ero io? Io stavo facendo la marcia della morte, perché i russi erano arrivati non a liberare ma ad aprire i cancelli di Auschwitz. E quindi erano almeno dieci giorni che quella stessa ragazza che era scesa dal treno era ancora viva.”

“Io lo dico quando parlo ai ragazzi, la pietà è importantissima, perché chi è capace di pietà e per chi riceve pietà è un dono più per chi la prova che per chi la riceve. […] Dopo tanti anni, non ero guarita da quelle ferite, ma erano lenite dall’amore trovato molto presto a 18 anni, e poi divenni felice sposa, e poi felicissima madre.” Ha ricordato che fu la Comunità di Sant’Egidio a creare la ricorrenza annuale del 30 gennaio al Memoriale, e passando all’attualità ha dichiarato: “Io parlo da 30 anni nelle scuole, e ai ragazzi che incontro io parlo da nonna. E gli occhi di questi ragazzi, specialmente di quell’uno che si ricorderà, spero che saranno in grado di perforare il buio dell’odio e che facciano vincere la luce”.