Italiani alla riscossa

Italia

di Ilaria Myr

«Una rinascita sorprendente. In mezzo al crescente antisemitismo in Europa Occidentale, gli ebrei italiani vivono un momento di grazia». Questo l’eloquente titolo di un lungo articolo pubblicato di recente dalla rivista americana online Tablet Magazine e dedicato all’ebraismo italiano. Considerato questo, particolarmente florido e in salute, in netta controtendenza rispetto al resto dell’ebraismo europeo, indebolito da sussulti antisemiti e da una crescente israelofobia.

«Da Roma a Palermo, le attività ebraiche religiose sono visibilmente in crescita e i festival a tema ebraico sono diventati appuntamenti regolari in tutto il Paese, con rabbini che celebrano alcune feste nelle piazze più famose di alcune città, e perfino nel leggendario stadio San Paolo di Napoli – scrive il giornalista Michael Ledeen, sposato con un’ebrea italiana -. Lo scorso dicembre, per Chanukkà, il primo ministro Enrico Letta aveva ospitato Benyamin Netanyahu a Roma per l’accensione della chanukkià, mentre a Napoli le candele erano state accese nell’elegante Piazza dei Martiri e a Palermo a Palazzo Steri, anticamente sede del Tribunale dell’Inquisizione. (…) È difficile definire le dimensioni precise di questo fenomeno, forse perché va in senso opposto al più grande fenomeno di crescente antisemitismo in Europa», scrive Ledeen.

L’Italia vista con gli occhi degli americani, quindi. Italia come isola felice, un bel posto in cui vivere ed essere ebrei, esempio di rispetto verso la sua minoranza ebraica. Ma davvero l’Italia è il Bengodi dell’ebraismo europeo? Siamo nell’Eldorado ebraico-diasporico e non lo sapevamo? Non è che la prestigiosa rivista online e il celebre giornalista americano forse esagerano?

Vedersi con gli occhi degli altri non è semplice. E scoprire che gli ebrei del mondo Occidentale guardano a noi con invidia e ammirazione è abbastanza sorprendente per chi coltiva, da secoli, per atavica abitudine, l’italico vittimismo. Insomma, ci dicono gli osservatori stranieri, forse non è il caso di buttarsi giù. E in effetti, a pensarci bene, basterebbe dare un occhio alla “lista della spesa” e alla messe di attività e eventi realizzati negli ultimi anni, osservandoli con uno sguardo d’insieme, per capire che parlare di rinascita ebraica in Italia non è poi così peregrino. Dalla creazione del Memoriale della Shoah, inaugurato quest’anno a Milano al via libera ai lavori di creazione del Meis a Ferrara; ma anche manifestazioni culturali come Jewish & The City, tenutasi per la prima volta a Milano nel settembre scorso, o il Festival del Libro ebraico di Ferrara, nonché il fiorire di convegni universitari e mostre su arte e letteratura ebraica, come ad esempio quella importante sulle Artiste del Novecento, tra visione e identità ebraica a Roma oggi fino al 5 ottobre.

E a tutto ciò si potrebbero aggiungere altri aspetti positivi: gli ottimi rapporti con le istituzioni, un certo rispetto e curiosità verso il mondo ebraico da parte della società civile nonché una vivacità culturale capace di riportare alla luce Comunità estinte, come nel caso di quella pugliese.

Il sud che rifiorisce

In effetti, un primo importante segnale sembra venire dall’Italia meridionale, dove si assiste a una vera e propria rinascita di un ebraismo sepolto sotto la coltre del tempo, e questo non solo secondo il web-magazine. «Molti italiani del sud hanno tutte le ragioni di sospettare che i loro antenati siano stati convertiti a forza al cattolicesimo 550 anni fa – continua l’articolo. Alcuni sono interessati a esplorare le radici della propria famiglia, portando anche un crescente interesse per la conversione. Ma ci sono anche altri casi di conversioni recenti di persone i cui antenati non erano ebrei», scrive Tablet. Esemplare è il caso del musicista pugliese Francesco Lotoro, convertitosi all’ebraismo dieci anni fa, che ha scoperto una lontana origine ebraica nella propria famiglia, a tutti gli effetti marrana italiana. Ed è proprio la riscoperta delle proprie origini che l’ha portato oggi a diventare un fervido promotore della cultura e vita ebraica: a lui va il merito di essere riuscito a riportare in funzione l’antica sinagoga di Trani, diventata nel tempo una chiesa. «Il sindaco di Trani rifiutò la richiesta di Lotoro di cancellare un affresco di Gesù e di Maria da uno dei muri interni, dato che era protetto dalle belle Arti – continua -. Quindi il Tempio della Scolanova nel cuore della Puglia è unico: non conosco nessun’altra sinagoga con Gesù e Maria dipinti sulle mura».

Un caso unico

E poi c’è ovviamente San Nicandro Garganico, un unicum nella storia ebraica mondiale, fenomeno scaturito dalla profonda fede del contadino Donato Manduzio, che portò a diverse conversioni collettive. Interessante è il racconto che il giornalista fa dello shabbaton dello scorso marzo in cui la comunità sannicandrese ha ricevuto un Sefer Torà. «Circa 100 persone erano presenti: raramente ho visto tante lacrime di gioia, versate sia da ebrei che da non ebrei».

Molto spazio dell’analisi di Tablet è poi dedicata all’ebraismo romano che, da quieto e “quasi moribondo” che era negli anni ’70, è diventato una realtà forte, presente nella società italiana e estremamente organizzata al suo interno.

Roma, la forza ritrovata

«La Comunità di Roma, che ho sempre considerato una delle più timorose, ha cominciato a organizzarsi nei primi anni ’80 in risposta a un’ondata antisemita, culminata nell’attentato terroristico del 1982, e a sviluppare nuove istituzioni volte a crescere una nuova generazione di leader brillanti, che hanno negli anni galvanizzato – politicamente, socialmente e religiosamente – una nuova generazione di ebrei romani». Si pensi solo alla reazione della comunità romana all’arresto di Eric Priebke: quando sembrava che fosse sul punto di essere scagionato “perché aveva obbedito agli ordini”, gli ebrei, con il supporto totale di Rav Elio Toaff, occuparono l’aula e manifestarono fuori dal tribunale. «E quando la polizia disse loro di andarsene, il rabbino, che allora era in vacanza, disse loro “restate dove siete, e non lasciatelo andare”. Così fecero, e Priebke fu riarrestato perché il governo tedesco chiedeva di processarlo per omicidio. Nel 1997 fu poi dichiarato colpevole e condannato all’ergastolo. Quasi tutti a Roma dicono che fu un grande successo per gli ebrei: senza la loro presenza fisica, il criminale nazista probabilmente ne sarebbe uscito salvo».

Rinascita: è dunque questa la parola chiave delle comunità ebraiche italiane oggi secondo Michael Ledeen, che non esita a innalzare l’ebraismo nostrano a esempio per altre realtà europee. «L’Italia, con i suoi coraggiosi leader ebrei, può offrire un modello al resto dell’Europa, inspirando lo stesso tipo di rinascita in altre parti del continente».

Premesso che è sempre difficile guardarsi con gli occhi degli altri, davvero l’ebraismo italiano vive una nuova primavera, contrapponendosi al resto d’Europa? E al contrario, quali sono invece le criticità e le difficoltà che caratterizzano l’ebraismo italiano?

Vero o falso

«Non condivido tutto quello che viene detto nell’articolo, ma mi sembra che metta in rilievo qualcosa di cui spesso non ci accorgiamo: lo sviluppo delle nostre Comunità  – commenta Rav Alfonso Arbib, Rabbino Capo di Milano -. Per parlare delle Comunità che conosco meglio, Roma e Milano, penso che abbiano avuto un notevole sviluppo negli ultimi decenni, con l’aumento del numero di sinagoghe, di lezioni, di attività culturali e ristoranti kasher. Spesso tendiamo a sottovalutare tutto ciò e a non renderci conto di vivere in Comunità che anche confrontate con altre realtà europee risultano essere molto vitali. D’altra parte l’articolo mi sembra che non tenga conto dei punti critici. Se una parte degli ebrei si è fortemente avvicinata all’ebraismo, ce n’è un’altra che ne è sempre più lontana. Inoltre, c’è un progressivo invecchiamento delle nostre Comunità dovuto a vari fattori e che è comunque preoccupante».

Sulla stessa lunghezza d’onda di Arbib sembra essere anche Rav Scialom Bahbout, ex Rabbino Capo Napoli e sud Italia (fino a pochi mesi fa), e oggi in carica come Rav haRashì a Venezia: a lui il merito di avere riscoperto e rivitalizzato l’ebraismo meridionale, grazie a un impegno incessante durato anni. «L’opinione del giornalista mi sembra ottimistica – dichiara -. Non penso ci sia un Ebraismo italiano in crescita, almeno detto così, in termini general generici: vi sono invece alcune “enclave” in cui si nota un certo risveglio e il desiderio di tornare alle radici».

Nuove strategie

«La maggior parte delle Comunità è in declino, nonostante gli sforzi che fanno i dirigenti comunitari. Perché?  Manca quello che in ebraico si chiama il “hazon”, la “vision”, e per lo più si procede senza obiettivi e strategie adeguate: immersi e sommersi dal quotidiano, non si decide di fare un time out per una riflessione più approfondita, per chiedersi che tipo di ebreo vogliamo da qui a vent’anni», spiega accorato Bahbout. « La Shoah e Israele – che certo costituiscono un importante punto di riferimento dell’identità ebraica – hanno finito per catalizzare impegno, tempo ed energie che dovrebbero essere meglio distribuite. Ci sono alcune isole apparentemente felici, ma non bisogna lasciarsi ingannare. È vero che il Rabbinato italiano ha almeno in parte recuperato credibilità, ma di fatto da anni oramai non esiste un progetto che si proponga di superare gli steccati. La rinascita dell’ebraismo nel sud? È in effetti opera di poche e volenterose persone che hanno visto lungo: il percorso è ancora impervio, la vicinanza con Israele, un’opportunità dovuta alla riscoperta delle radici. Questo potrebbe essere un esempio da seguire anche da parte del nord…».

Più sfumata la lettura che della situazione attuale fa lo studioso Bruno Piperno Beer, specie per l’analisi della vita ebraica a Roma. «Non è affatto vero, come scrive Ledeen, che “per decenni dopo la Seconda guerra mondiale, l’ebraismo romano fu quieto, quasi moribondo”. L’ebraismo italiano si esprimeva in un modo diverso dall’attuale: era più essenziale, non pensava alla comunicazione, ma privilegiava la sostanza. In quegli anni il mondo ebraico si dedicava alla Ricostruzione del proprio tessuto sociale decimato dalla Guerra e si riorganizzava in silenzio, sviluppando un prezioso lavoro di raccordo con il mondo istituzionale italiano e ponendo le basi per il proprio sviluppo successivo. Il risultato di tale lavoro, svolto fuori dai riflettori mediatici, è stato la base per lo sviluppo, dagli anni Ottanta in avanti». Ma Piperno Beer è anche critico nei confronti della leadership ebraica di oggi. «Il ruolo della dirigenza ebraica in questi ultimi anni è stato importante ed ha contribuito allo sviluppo della vita comunitaria, ma temo si sia mosso sulla stessa linea degli anni precedenti, senza discontinuità. La dirigenza attuale ha molti meriti, tuttavia alcuni di tali leader (specie quelli più “popolari”) sono connotati da una frequente tendenza alla sovraesposizione mediatica (peraltro comune a tutto lo scenario italiano), che a volte provoca conseguenze discutibili e dannose per i fini istituzionali delle comunità ebraiche. Quindi, a mio avviso, lo sviluppo della vita ebraica italiana, e romana in particolare, è da attribuire principalmente a una maggiore consapevolezza della propria identità, sicuramente promossa anche da un più intenso scambio culturale con Israele».

Meno rosea la visione di Riccardo Calimani, storico e presidente della Fondazione del Meis-Museo dell’ebraismo italiano e della Shoah, che individua nell’aspetto demografico la più grande sofferenza dell’ebraismo italiano. «Sulla rinascita dell’ebraismo nel sud bisogna essere cauti, temo che si tratti di un’operazione più folcloristica che reale», spiega Calimani.

Quale destino?

«Anche per quanto riguarda le considerazioni sulla Comunità ebraica romana, ho qualche perplessità: è vero che gli ebrei escono dal ghetto, ma è anche vero che il ghetto resta dentro di loro e che i problemi non mancano», continua Calimani. Il mondo ebraico italiano in generale, e quello romano in particolare, sono in difficoltà dal punto di vista numerico. Le piccole comunità scompaiono e non si accettano i figli di padre ebreo: questo è l’esito della linea del Rabbinato israeliano che ahimè l’Italia ha fatto propria. Penso invece che ogni Rabbinato debba gestire le proprie Comunità in autonomia. I numeri sono uno substrato essenziale per il destino degli ebrei italiani: se diminuiscono sempre di più, sarà la morte dell’ebraismo». Un dato demografico inquietante, quindi, un’esiguità numerica che in teoria non dovrebbe far pensare a una Rinascita. Certo, quella demografica non è una faccenda di lana caprina quanto un segnale di allarme.

Ma per Rav Roberto Della Rocca direttore del DEC, la questione centrale ruota intorno alla trasmissione culturale. «In alcune comunità vi sono gruppi di studio che si moltiplicano e nuove sinagoghe che si aprono, ma ci sono anche molte comunità nelle quali non si riesce a fare più il Miniàn per recitare un Kaddìsh, dove non c’è più traccia di un Talmùd Torah e dove il Bet ha Knesset si apre essenzialmente per mostrarlo a turisti curiosi del nostro passato glorioso. E i motivi di questo ineluttabile declino non sono riconducibili soltanto al calo demografico. Per garantire questi servizi, essenziali ad una vita ebraica degna di questo nome, sono sufficienti solo 10 ebrei ! La trasmissione culturale, nell’ebraismo, la coscienza e la conoscenza si costruiscono attraverso l’esperienza concreta, personale, lo studio e l’interpretazione della propria tradizione. Ma l’aspetto più allarmante dell’ebraismo italiano attuale è piuttosto la polarizzazione progressiva che registriamo ogni giorno. Chi si avvicina lo fa spesso in modo radicale e chi si allontana spesso abbandona tutto. Come tanti si avvicinano, altrettanti si allontanano. Esiste, infatti, una base di indifferenza che riguarda una fetta consistente delle nostre Comunità. Chissà se proprio i nostri giovani saranno la nostra bussola che ci indicherà una strada comune?».

Se dunque l’ebraismo in Italia, nonostante i numeri contenuti, è così vivo e attivo, viene normale chiedersi che cosa potrebbe accadere domani. Qualcuno sostiene che più che di rinascita si debba parlare di canto del cigno. Altri intravvedono per gli ebrei italiani lo stesso destino del panda, quello di una specie felicemente protetta. Altri ancora, imperturbabili, pensano che sia “meglio pochi ma buoni”, e che tanto gli ebrei sono sempre stati esigui, in tutte le epoche storiche. Ma tutti d’accordo su un dato: che spaghetti e Maghen David è cosa bella e buona, e che essere ebrei e italiani, alla fine, non è affatto male.