Parole e vita di Arminio Wachsberger, interprete ad Auschwitz e testimone della Shoah

Libri

di Ilaria Ester Ramazzotti
Arminio Wachsberger (Fiume, 4 novembre 1913 – Milano, 24 aprile 2002) venne arrestato dai nazisti a Roma il 16 ottobre 1943 e deportato ad Auschwitz insieme ad altre 1023 persone. Da quella razzia ne tornarono solo sedici: lui fu uno di questi. La conoscenza delle lingue fu la sua salvezza e quella di tanti altri prigionieri che lui aiutò a scampare alla deportazione e a sopravvivere. Alla sua storia e alla sua figura è dedicato il libro ‘L’interprete’, composto da sue testimonianze, edito nel 2022 da All Around a cura delle figlie Clara e Silvia Wachsberger, con la prefazione della storica Anna Foa. L’opera è stata presentata a Milano lo scorso 19 gennaio alla Casa della Memoria nell’ambito delle iniziative AnpiLibri proposte dal comitato provinciale di Milano di Anpi, Associazione Nazionale Partigiani Italiani, con il patrocinio del Comune di Milano.

All’evento, introdotto e condotto da Marco Cavallarin, hanno partecipato Roberto Cenati, presidente di Anpi provinciale di Milano, Daniela Dana Tedeschi, presidente Associazione Figli della Shoah, Gadi Luzzatto Voghera, direttore della Fondazione CDEC, Centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano, e le figlie di Arminio Wachsberger, Clara e Silvia Wachsberger, curatrici del libro, le cui parole sono state al centro del dibattito scaturito intorno al libro e nel corso della serata.

“Stasera si parlerà tanto del 16 ottobre 1943 a Roma, della più grande razzia organizzata dai nazisti con la collaborazione dei fascisti in Italia – ha introdotto Marco Cavallarin -. Fra i sopravvissuti a quella razzia e alla deportazione ad Auschwitz c’era “chi non esito a definire un Giusto che, a rischio della propria vita, salvò la vita di altri: Arminio Wachsberger, originario di Fiume, poi trasferitosi a Roma”. Era figlio di Matilde Miriam Gellis e del rabbino capo della comunità di Fiume, David Wachsberger. Si offrì come interprete fin dalla retata romana, per poi proseguire ad Auschwitz con il compito di tradurre per il famigerato dottor Mengele. Fu Mengele stesso a descrivergli ridendo la morte della sua prima moglie e della figlioletta, nelle camere a gas. In seguito, finì in altri campi, dove dopo mirabolanti peripezie fu salvato dall’arrivo degli americani. Dopo la liberazione conobbe e sposò una sopravvissuta ungherese, Olga Wiener, madre di Silvia e Clara Wachsberger.

“Arminio Wachsberger fu fra i primi a raccontare la sua terribile storia di deportazione in un campo di sterminio – ha detto Roberto Cenati -. Non tutti riuscirono a parlare. Lui lo fece in una lunga intervista nel 1998 fatta dalla Fondazione Shoah fondata da Steven Spielberg. Fu una persona straordinaria”, perché riuscì a salvare numerose persone in circostanze difficili. Quel drammatico giorno del 16 ottobre “riuscì a mettere in salvo il nipotino di due anni, Antonio Polacco, lanciandolo in un momento di distrazione dei nazisti fra le braccia della donna che lo avrebbe accudito; poi riuscì a ingannare il capo delle SS Theodor Dannecker strizzando l’occhio ad alcuni ebrei e invitandoli a mettersi nella fila dei non ebrei”, visto che il loro cognome si prestava a diverse interpretazioni. “Riuscì a salvare diverse persone anche nel corso della sua deportazione ad Auschwitz, a Dachau, nei lager nazisti. Credo di interpretare il desiderio delle figlie Silvia e Clara proponendo che Arminio Wachsberger sia riconosciuto un Giusto fra le nazioni e che il suo nome venga riportato al Giardino dei Giusti di Milano, gestito da Gabriele Nissim”. Della sua vita fuori dall’ordinario, ha sottolineato Cenati, “su due aspetti mi vorrei soffermare: il primo è la sua straordinaria voglia di vivere”, per cui accoglieva e salutava sempre la sua famiglia con un “Evviva!”, e poi l’impegno a trasmettere la memoria della deportazione. La sua è “una straordinaria testimonianza di grande impatto emotivo e storico”.

“Nel 1998, alla nascita dell’Associazione Figli della Shoah, di cui Arminio Wachsberger era uno dei fondatori – ha raccontato Daniela Dana Tedeschi -, giunse un messaggio autografato di Elie Wiesel: il ricordare, il tramandare la memoria, rappresentava per un sopravvissuto un dovere verso coloro che non c’erano più, ma per un figlio della Shoah, il tramandare la memoria era un dovere verso le giovani generazioni”. “Arminio Wachsberger fu uno dei primi a testimoniare e lo fece come dovere verso chi aveva lasciato dietro di sé nei campi, la moglie e la figlia piccola e tutti i compagni di viaggio che non tornarono più”. Secondo gli attuali statuti dello Yad Vashem non esiste un riconoscimento di “Giusto” che onori un ebreo che salvò altri ebrei durante la Shoah, ha proseguito Daniela Dana Tedeschi, ma “se ci fosse o se ci sarà in futuro, Arminio Wachsberger dovrebbe essere fra i primi a riceverlo”. Non solo in quanto salvatore di altri, ma come vittima eppure salvatore di altri.

Il libro ‘L’Interprete’ è il testo finale di una costellazione di testimonianze che Arminio Wachsberger diede nella sua vita – ha spiegato Gadi Luzzatto Voghera -, un testo che permette di ragionare sul valore della testimonianza e sul momento di svolta e transizione che stiamo vivendo in questo periodo storico. Ormai i testimoni ancora in vita sono pochissimi, ma abbiamo a disposizione le tante testimonianze di chi parlato, scritto, documentato la sua vicenda di deportazione e di morte. In questo contesto, noi abbiamo la responsabilità della memoria, di capire come utilizzare questi testi, come quelli di Arminio Wachsberger, che sono testi di resistenza, di resilienza, di vita e di forte attaccamento forte alla vita. Una cosa che traspare da ogni parola e da ogni testimonianza registrata, compreso il tono della sua voce. L’ultima sua registrazione è quella del ‘98 per la Shoah Foundation di Spielberg, ma ne ho scoperte di precedenti”.

“Ho letto il libro ‘L’interprete’ in un periodo in cui accompagnavo classi di studenti ad Auschwitz – ha continuato il direttore del CDEC -. È un testo fulminante, dal linguaggio efficace, una guida che illumina i luoghi di Birkenau, quando parla delle esperienze che là visse. Avere in mano questo testo, girare per il lager e leggere il brano relativo ai posti, come la ‘sauna’, che testimonia la sua esperienza lì, anima lo spazio, che è uno spazio memoriale. Arminio Wachsberger restituisce esattamente quello che è successo, lo esprime con parole semplici, a volte fredde, ma che provocano qualcosa di forte. La sua è una testimonianza a tutto tondo, articolatissima, che trasmette un’esperienza storica gigantesca, descrivendo attraverso i movimenti della sua famiglia, a partire dall’Impero austroungarico, la realtà che stava vivendo e che poi è stata spazzata via”.

Tra le tante cose, la testimonianza di Arminio Wachsberger parla anche della realtà dell’ebraismo a Fiume e di una accademia talmudica a Gorizia, una storia straordinaria per l’ebraismo italiano che nessuno raccontò così. “La sua è un’esperienza incredibile che ci permette di spaziare in tutta Italia”. E la sua testimonianza unica ci dà strumenti per capire meglio le dinamiche e anche le problematicità di quelle esperienze, ma altresì le dinamiche e le problematicità della memoria e della sua possibilità e metodologia di trasmissione, del come trattare le testimonianze e le memorie dei sopravvisti dal lato dello studioso e con l’orecchio dello storico e del ricercatore.

Se quando un giusto fa del bene lo fa in silenzio, nel caso Arminio Wachsberger succede che ancora oggi che, attraverso le parole di chi lo conobbe e di chi ricevette quel bene, si scoprano storie, vicende e dettagli rimasti sconosciuti. A raccontarlo sono state le figlie Clara e Silvia, che accanto alla lettura di alcune pagine del libro, lette e introdotte da Marco Cavallarin, hanno trasmesso un racconto fatto di ricordi, riflessioni ed emozioni in cui  la dimensione del privato si è mischiata a quella pubblica e collettiva, unendosi all’impegno per la trasmissione della memoria del padre e alle sue memorie sia personali che storiche, alla luce del profondo impegno da lui profuso nell’azione e nella testimonianza umana e civile. “Mio padre mi raccontò dei suoi colloqui con Mengele fina da bambina”, ha sottolineato Silvia Wachsberger aggiungendo che, a partire dall’elenco delle tante persone cha salvò, “ancora oggi veniamo a conoscenza di storie che non conoscevamo”.

“Mio papà si salvò e salvò tante vite perché parlava tedesco, ma non solo per questo, non solo per la lingua, ma per molto altro”, ha evidenziato Clara Wachsberger. Come si legge nel libro, in alcuni episodi lui convinse i tedeschi inserendosi nella loro discussione, animato da uno spiccato “istinto ad aiutare, con la generosità che lo contraddistingueva e con l’empatia con cui si metteva nei panni degli altri”. “Con la sua anima, usò al meglio lo strumento della conoscenza del tedesco”.

Qui il link alla registrazione dell’evento

L’ interprete

Editore: All Around

A cura di: Clara Wachsberger, Silvia Wachsberger

Data di Pubblicazione: ottobre 2022

EAN: 9791259990730

ISBN: 1259990737

Pagine: 160