Baum contro l’Universo (e l’Universo vince ai punti)

Libri

di Marina Gersony

Woody Allen firma un romanzo spassoso e malinconico, una tragicommedia di ansie, humour ebraico, atmosfere newyorkesi e quotidiana sopravvivenza esistenzial-sentimentale

Leggere Che succede a Baum è come infilarsi in una seduta di psicanalisi collettiva dentro una gastronomia ebraica dell’Upper West Side. Tra una fetta di salmone affumicato, bagel di Barney Greengrass e un senso di colpa, Woody Allen distribuisce umorismo nevrotico con la naturalezza di chi non sa farne a meno. Il romanzo segue Baum, l’ennesimo “timorato cosmico”: uomini la cui unica certezza è che, prima o poi, un parente lontano li chiamerà per un favore impossibile. O che D-o, ammesso sia reperibile, abbia un debole per tormentarlo.

Baum è Lui, sempre Lui. Il Doppelgänger dell’ormai iconico Allen, con la sua proverbiale yiddishkeit che è leggerezza e profondità nello stesso respiro, ironia e malinconia elegante. È l’eroe tragicomico che ha fatto ridere e riflettere intere generazioni sul grande schermo… e ora approda sulla carta stampata con questo primo romanzo, Che succede a Baum?, dedicato «alla mia fantastica moglie Soon-Yi». (La Nave di Teseo; traduzione Alberto Pezzana; pag. 224; € 20).

Qui la prosa del cineasta mostra un tocco inedito: una malinconia più fine, levigata dal tempo. Che sì, la vita è un assurdo caos… ma esistono anche attimi di inaspettata delicatezza che meritano di essere attraversati, mentre si contempla l’inevitabile ridicolo dell’esistenza. E nasce quasi spontaneo pensare: «Se questo è il destino, perlomeno è ben scritto».

Giornalista di mezza età, diventato scrittore in crisi, scaricato dagli editori, tormentato da una nevrosi tenace e incline a parlare da solo, Asher Baum ci guida lungo un filo sottile tra cabaret e tragedia. È il tipo di equilibrio che richiama i monologhi del Borscht Belt – quei resort dei Catskill frequentati dagli ebrei negli anni ’50 e ’60 – dove ogni battuta era un modo elegante per sopravvivere all’assurdità del mondo: ridere della sfortuna, sorridere del caos, trasformare il quotidiano in uno spettacolo irresistibilmente comico, e magari un po’ disastroso. Baum ci cammina sopra con la grazia di chi sa di rischiare la caduta a ogni passo, ma non può fare a meno di ridere, nervosamente, ogni volta che ci prova.

E così ritroviamo Allen, il neo novantenne fedele a sé stesso ma con quel leggero strato di consapevolezza che trasforma la vecchiaia in una giovinezza matura. Il suo alter ego è buffo, fragile, (s)fortunato, ansiosissimo… eppure irresistibilmente umano. Immerso in quella nebbia di autoironia fatalistica tipica dello humour ebraico: se ti capita qualcosa di brutto, è grave; se ti capita qualcosa di bello, è più grave. Allen lo osserva con uno sguardo insieme affettuoso e impietoso, come a dire: «Sì, il destino ti perseguita… ma almeno hai un buon senso dell’umorismo. O un medico molto bravo».

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Tra matrimoni che vacillano, carriere che si assottigliano e una precarietà emotiva costante, Baum avanza come un uomo convinto che l’universo sia in espansione – soprattutto contro di lui. La comicità qui è mai sopra le righe: un’espressione di fatalismo, un’osservazione apparentemente leggera che ti scardina una convinzione esistenziale.

E poi ci sono le donne: affascinanti, irrequiete, a volte complicate, altre spiazzanti nella loro dolcezza. Baum fluttua in questo universo femminile con stupore e lieve terrore, come chi teme di rovinare qualcosa di prezioso soltanto avvicinandosi.

Ogni rapporto è un campo emotivo minato, affrontato con la goffaggine più umana che ci sia. La prima moglie, Nina, è troppo dolce per essere affrontata senza sensi di colpa. La terza, Connie, magnifica e viziata, è madre di un figlio che, contrariamente a lui, pubblica romanzi di successo con irritante facilità: Connie è «una splendida creatura, alta e sprezzante, con la pelle candida, i capelli corvini e gli occhi scuri. Come la regina cattiva di Biancaneve: un po’ stronza, ma irresistibilmente sexy».

E a proposito di sopravvivenza: ci si può chiedere se l’umorismo di Allen parli ancora ai più giovani, nativi digitali più abituati ai meme che ai monologhi interiori. Forse sì, forse no. Ma la sua nevrosi universale ha una vitalità sorprendente, soprattutto oggi, nel caos quotidiano. Anche chi non conosce Manhattan o la psicanalisi può riconoscere quella sensazione di essere iscritti, senza consenso, a un programma fedeltà dell’ansia. Allen racconta tutto come un manuale di autoaiuto scritto da qualcuno convinto che l’aiuto sia un concetto filosoficamente instabile.

Alla fine Allen compie l’impresa più difficile: prendere caos, confusione e “sfiga cosmica” e trasformarli in un racconto in fondo già noto, punteggiato da attimi teneri e brillanti. Il suo romanzo si legge in fretta, come un aneddoto che continua a far sorridere anche quando, sotto sotto, ti restituisce un’eco familiare.

E se ci chiedessimo «che succede a Baum?», la risposta sarebbe semplice: succede ciò che succede a tutti noi quando la vita decide di essere (tragi)comica molto meglio di quanto sapremmo esserlo noi. L’esordio letterario di Woody non aggiunge molto a ciò che abbiamo già visto, letto o amato del suo universo creativo; eppure, pur restando nella sua comfort zone più riconoscibile, conserva un fascino discreto, quasi domestico. È un Allen minore, forse sì, ma capace ancora di un sorriso di sghembo fatalismo, di un lampo di umanissima tenerezza. Un piccolo divertissement che non pretende di essere altro e si lascia leggere con sincero piacere.

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Woody Allen, Che succede a Baum?, dedicato «alla mia fantastica moglie Soon-Yi». (La Nave di Teseo; traduzione Alberto Pezzana; pp. 224; € 20).