Il via libera dell’ONU al piano Trump per Gaza 

Mondo
di Anna Balestrieri (Gerusalemme)
La risoluzione conferisce all’ISF (Forza Internazionale di Stabilizzazione) un mandato ampio: mettere in sicurezza i confini, proteggere i civili, garantire l’arrivo degli aiuti umanitari, formare la polizia palestinese e – punto cruciale per Israele – assicurare il processo di demilitarizzazione di Gaza. Ma molti interrogativi rimangono aperti…
Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite ha approvato una risoluzione sostenuta dagli Stati Uniti che autorizza la creazione di una Forza Internazionale di Stabilizzazione (ISF) nella Striscia di Gaza. Il voto, tenutosi a New York, rappresenta un passo decisivo nel quadro del piano in 20 punti promosso dal presidente americano Donald Trump per consolidare il cessate il fuoco del 9 ottobre e gettare le basi per una nuova governance nel territorio.
Washington ha lavorato per settimane per ottenere un mandato internazionale necessario a rassicurare i Paesi potenzialmente disposti a partecipare alla missione, dopo aver constatato le resistenze legate all’assenza di un quadro giuridico chiaro.

Missione delicata: disarmo e sicurezza

La risoluzione conferisce all’ISF un mandato ampio: mettere in sicurezza i confini, proteggere i civili, garantire l’arrivo degli aiuti umanitari, formare la polizia palestinese e – punto cruciale per Israele – assicurare il processo di demilitarizzazione di Gaza.
Gli Stati Uniti sostengono che Hamas abbia accettato di disarmare prima della firma del cessate il fuoco, ma i risultati delle successive trattative sulla consegna delle armi sono stati finora molto limitati. Sulla carta, l’ISF ricoprirà quindi un ruolo diretto anche su questo fronte altamente sensibile.

Il difficile nodo dei contributi di truppe

Malgrado il successo diplomatico al Consiglio di Sicurezza – Russia e Cina si sono astenute, tutti gli altri membri hanno votato a favore – la fase più complessa deve ancora cominciare. Convincere altri Paesi a inviare contingenti appare oggi un compito impervio.
Il mondo arabo, pur avendo sostenuto la risoluzione, ha espresso forti perplessità sull’idea di dispiegare soldati propri in un territorio dove potrebbero trovarsi a combattere direttamente per disarmare Hamas. Eppure l’ambasciatore americano Mike Waltz ha voluto citare esplicitamente Indonesia e Azerbaigian come possibili contributori, suggerendo che entrambi i Paesi siano ancora disponibili.

La nuova architettura politica: il Board of Peace

La risoluzione accoglie la creazione del Board of Peace, un organismo chiamato a guidare la ricostruzione di Gaza e la formazione di un governo palestinese tecnocratico incaricato delle funzioni civili. A presiederlo sarà lo stesso Trump, affiancato – secondo la bozza del piano – dall’ex primo ministro britannico Tony Blair e da altre personalità ancora da definire.
Sia l’ISF sia il Board of Peace riceveranno mandato fino alla fine del 2027, con l’obiettivo di dispiegare la forza internazionale già all’inizio del 2026.

La frase che irrita Gerusalemme: “percorso verso lo Stato palestinese”

Per consolidare i consensi diplomatici, gli Stati Uniti hanno diffuso una dichiarazione congiunta che definisce il piano Trump come un percorso verso un futuro Stato palestinese. Una formulazione più netta rispetto al testo originale, che parlava solo della possibilità (“may”) di arrivare a tale risultato.
La scelta ha scatenato l’ira dei partiti della destra israeliana e ha costretto il primo ministro Benjamin Netanyahu a ribadire pubblicamente l’opposizione del governo alla nascita di uno Stato palestinese, pur avendo egli stesso verbalmente accettato il piano di Trump a settembre alla Casa Bianca.

Il sì dell’Autorità Palestinese e il no di Hamas

L’Autorità Palestinese ha accolto positivamente la risoluzione, dichiarando la disponibilità a collaborare con la comunità internazionale per porre fine alle sofferenze a Gaza, in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. Ramallah interpreta il voto come un passo verso un processo politico fondato sulla soluzione dei due Stati.
Di segno opposto la reazione di Hamas, che condanna la decisione dell’ONU come un tentativo di imporre un “protettorato internazionale” sulla Striscia. Il movimento definisce inaccettabile un mandato che assegna alla forza internazionale il compito di disarmare la “resistenza”, considerandolo un atto di schieramento a favore di Israele.

Le ambizioni globali di Trump

Poco dopo l’approvazione della risoluzione, Trump ha celebrato il voto come un “successo per il mondo intero”, annunciando che il Board of Peace sarà composto dalle “personalità più rispettate e influenti”. In modo significativo, il messaggio non menzionava né Israele, né Hamas, né l’Autorità Palestinese.
Una scelta forse non casuale, che riflette l’ambizione della sua amministrazione di presentare il piano come un modello di stabilizzazione globale, piuttosto che come un accordo regionale confinato all’arco israelo-palestinese.
La risoluzione del Consiglio di Sicurezza rappresenta un passaggio diplomatico di grande rilievo, ma lascia aperti interrogativi decisivi: quali Paesi invieranno truppe? Come reagirà Hamas alla presenza internazionale? Quali margini avrà la leadership palestinese?
Sul terreno, la fragile tregua resta appesa al filo del processo di disarmo. Sul piano politico, la promessa – anche solo implicita – di un futuro Stato palestinese continua a dividere profondamente la regione.