Voci silenziate. I giornalisti sotto attacco dei propal

Mondo

di Nathan Greppi
Aggrediti fisicamente o zittiti in eventi pubblici perché ebrei, israeliani o semplicemente sostenitori di Israele: sono molti i giornalisti del mondo che subiscono episodi di violenza perché non allineati con la narrativa pro-pal. Attacchi che arrivano anche a colpire i loro figli.

 

Quando, nel maggio 2021, alcuni manifestanti pro-Palestina le hanno lanciato addosso sassi e petardi a Berlino, la giornalista israeliana Antonia Yamin non era nuova a questo genere di situazioni: inviata in Germania dell’emittente pubblica israeliana KAN, già nel novembre 2018 era stata aggredita sempre a Berlino assieme al suo cameraman da un gruppo di ragazzi arabi, i quali hanno lanciato un petardo verso di loro.

Giornalisti aggrediti

Antonia Yamin nel 2018

Dopo il 7 ottobre 2023, episodi come quelli in cui è rimasta coinvolta la Yamin sono diventati sempre più frequenti: in Occidente, si sono verificati diversi attacchi da parte dei propal nei confronti di giornalisti ebrei, israeliani o con posizioni filoisraeliane, che sono avvenuti con modalità diverse. Se in Italia nel 2024 si sono fatti notare soprattutto i casi di David Parenzo e Maurizio Molinari, censurati rispettivamente all’Università La Sapienza di Roma e all’Università Federico II di Napoli, altrove si sono verificate anche vere e proprie aggressioni fisiche.

È successo ad esempio a Zeev Avrahami, inviato del sito di notizie israeliano Ynet, che nel maggio 2024 stava coprendo una protesta filopalestinese a Malmö, in Svezia, mentre nella stessa città si teneva l’Eurovision Song Contest: “Ho tirato fuori il telefono e ho iniziato a scattare delle foto. Dopo pochi secondi, una donna sui 60 anni, vestita con un abito a tema kefiah, la testa e la bocca coperta da una sciarpa e una maschera palestinesi, mi è saltata addosso e mi ha chiesto di smettere di fotografare. Ho detto che viviamo in una democrazia e in un luogo pubblico, e lei mi ha chiesto di smettere di fotografare e cancellare la foto. I suoi amici mi hanno circondato e lei è andata a chiamare la polizia. L’agente ha detto che avevo il permesso di fotografare”, ha raccontato in seguito Avrahami.

Dopo che il reporter di Ynet si è addentrato nella manifestazione, dove si urlavano slogan come “dal fiume al mare”, nel giro di pochi minuti la donna “è ricomparsa, accompagna da sette o otto giovani musulmani con tutti gli attributi. Mi hanno chiesto i documenti e di dimostrare che non ero ebreo né israeliano. Ho risposto che sono ebreo e israeliano, e che non gli avrei dato la mia carta d’identità. Mi hanno circondato, e all’improvviso un oggetto affilato mi ha colpito forte in testa. Sono caduto, mi sono messo le mani sulla testa e ho cercato solo un modo per scappare. Gli agenti svedesi hanno protetto solo il perimetro della piazza occupata, e non sono intervenuti”. Dopo esser caduto, ha ricevuto altri pugni e calci da parte dei manifestanti, i quali gridavano “Da Malmö a Jenin, la Palestina sarà libera”.

Episodi analoghi si sono verificati anche negli Stati Uniti: durante una manifestazione del giugno 2024 a New York, in cui attivisti antisraeliani protestavano contro una mostra sul massacro del Nova Music Festival, la giornalista Olivia Reingold, inviata del sito americano The Free Press, è stata circondata da dozzine di manifestanti, dopo che uno di loro le ha puntato il dito contro gridando: “È una sionista! Buttatela fuori di qui”. Un altro manifestante le ha strappato via il taccuino gridando: “Tu non scrivi proprio niente. Vattene a fanculo!”.

Eventi colpiti

Ad essere vittime di questo odio non sono stati solo ebrei o israeliani, ma anche non ebrei che difendono le ragioni d’Israele: è il caso della giornalista ed ex-deputata spagnola Pilar Rahola, che nell’ottobre 2024 stava tenendo un convegno a La Garriga, vicino a Barcellona. In tale occasione, manifestanti di estrema sinistra le hanno versato addosso della vernice rossa, gridando: “Sei macchiata di sangue, questo è quello che succede ai sostenitori del genocidio in Palestina” (in alto nella foto).

Per tutta risposta, la Rahola non si è scomposta, e ha continuato l’incontro dopo essersi ripulita, dichiarando: “Non mi metteranno a tacere. Non mi nasconderò, e non avrò paura di loro. Sono una libera cittadina in un paese libero. Non sarà il fascismo, né di destra, né di sinistra, che mi impedirà di esercitare la mia libertà. È di questo che avete paura, voi aggressori. Avete paura della libertà”.

Anche negli Stati Uniti ci sono stati casi di eventi in cui relatori filoisraeliani hanno subito attacchi pesanti da parte del pubblico: nel settembre 2024 Dana Bash, giornalista ebrea della CNN, stava presentando in una libreria di Washington il suo ultimo libro, America’s Deadliest Election. In tale occasione, un manifestante che indossava una maschera l’ha attaccata dicendo che “dovresti stare dietro le sbarre”, e che “sappiamo chi sei, sappiamo cosa stai dicendo. Non è una guerra, non è mai stata una guerra, è una pulizia etnica”.

Il suo collega della CNN Jake Tapper, anche lui ebreo, ha ritwittato un video dell’accaduto, condannando il fatto. Nel giugno dello stesso anno, manifestanti propal si sono radunati per protestare davanti alla casa dello stesso Tapper, insultando i suoi figli che erano affacciati sul balcone.

 

Minacce e intimidazioni

Se alla BBC le voci filopalestinesi possono anche incitare all’odio nei confronti degli ebrei, come ha dimostrato un report scritto dal loro ex-consulente Michael Prescott, al contrario le voci che non si allineano ad una certa narrazione corrono seri rischi. Ne sa qualcosa Raffi Berg, redattore della BBC specializzato sul Medio Oriente, il quale ha ricevuto diverse minacce di morte dopo che nel dicembre 2024 un giornalista filopalestinese, Owen Jones, ha scritto un articolo sul sito Drop Site in cui sosteneva che Berg “gioca un ruolo chiave in una più ampia cultura della BBC di ‘sistematica propaganda israeliana’”. Per questo, nel novembre 2025 Berg ha querelato Jones per diffamazione.

Un altro giornalista inglese, Nicholas Potter, ha ricevuto minacce pesanti dopo che nel marzo 2025 ha confutato l’accusa di genocidio in merito alla guerra a Gaza, in un suo articolo pubblicato sul quotidiano tedesco Die Tageszeitung. L’articolo ha ricevuto risposte talmente violente che poco dopo la pubblicazione la sezione commenti è stata chiusa. E per le strade di Berlino, sono apparsi dei poster con la sua immagine che dicevano: “Non concediamo a coloro che avallano ideologicamente il genocidio in Palestina un attimo di tregua. Vengono nella nostra città e pensano che nessuno li riterrà responsabili. Sono persone normali che sanguinano come chiunque altro, e possono essere umiliate ed eliminate”.

Questa non era la prima volta che Potter, già collaboratore di giornali come il Guardian e Haaretz, riceveva attacchi per il suo lavoro. Quando, nell’ottobre 2024, Greta Thunberg è andata a Berlino per prendere parte ad una manifestazione pro-Palestina, ha rilasciato un’intervista ad un sito berlinese di estrema sinistra chiamato Red. Un’inchiesta di Potter ha rivelato che si tratta di una piattaforma legata al Cremlino nata per veicolare propaganda filorussa, e per questo il giornalista ha ricevuto numerose intimidazioni.

Attacchi ai figli dei giornalisti

Talvolta ad essere presi di mira non sono solo i giornalisti, ma anche i loro figli: è quello che è successo a Edimburgo, in Scozia, al figlio tredicenne della giornalista ebrea scozzese Leah Benoz, come ha rivelato lei stessa in un video su Instagram nell’ottobre 2025.

“Questa mattina, nell’anniversario degli attentati del 7 ottobre e giorni dopo l’omicidio di due ebrei a Manchester”, ha dichiarato la Benoz, “mio figlio mi ha chiamato dal suo liceo di Edimburgo per dirmi che un altro ragazzo aveva minacciato di accoltellarlo in classe. Ieri, mio figlio era tornato a casa sconvolto dicendo che quest’altro ragazzo gli aveva chiesto di esprimere la sua posizione sul conflitto israelo-palestinese, […] e con tutte le sfumature e la compassione che un ragazzo di 13 anni spaventato era in grado di dare, ha spiegato che la guerra è terribile e che vuole che finisca, ma che sente una profonda connessione con Israele in quanto ebreo”.

La Benoz ha aggiunto che “questo ragazzo ha poi molestato mio figlio per ore, gli ha detto che tutti gli israeliani sono terroristi, che gli israeliani sparano ai bambini in testa, che lui è un terrorista, e ha detto ad altri ragazzi che mio figlio crede che tutti i palestinesi dovrebbero morire”. Ha inoltre affermato: “Questo è ciò che significa essere ebrei in Scozia in questo momento […]  Questo ragazzo che ha aggredito mio figlio è stato radicalizzato a casa, è il prodotto di un ecosistema d’odio che è stato lasciato proliferare. Non possiamo andare avanti così”.