I primi ostaggi tornano a casa mentre Trump arriva a Gerusalemme con Netanyahu 

Israele

di Anna Balestrieri (Gerusalemme)

Aggiornamento delle 12:00 (ora locale)
Tutti i venti ostaggi ancora in vita sono tornati in Israele dopo due anni di prigionia (736 giorni). Benjamin Netanyahu ha accettato l’invito del presidente egiziano al-Sissi a partecipare al vertice di Sharm el-Sheikh sul piano di pace di Trump, con quest’ultimo collegato alla telefonata.
Il capo di stato maggiore Eyal Zamir ha incontrato alla Knesset il generale americano Dan Caine, ribadendo la cooperazione militare tra i due Paesi.
A Tel Aviv, migliaia di persone si sono radunate in Piazza degli Ostaggi per celebrare il ritorno degli ultimi 13 prigionieri.
Yair Golan, leader del partito Democratici, ha definito il rilascio “una vittoria del popolo”. I genitori di Hersh Goldberg-Polin hanno recitato il Salmo 126, dedicandolo a tutti gli ostaggi.
Donald Trump, in ritardo sulla tabella di marcia, potrebbe visitare uno degli ospedali dove i liberati vengono ricoverati per i controlli medici.

Ore 11 locali

Sette ostaggi israeliani sono stati liberati questa mattina a Gaza e si trovano ora in una base dell’IDF, dove si preparano a riabbracciare le loro famiglie. È il primo gruppo a tornare a casa nell’ambito dell’accordo di cessate il fuoco mediato dagli Stati Uniti. Nel frattempo, il presidente americano Donald Trump è in viaggio verso la Knesset, dove parlerà insieme a Benjamin Netanyahu, in una giornata che unisce speranza, simbolismo religioso e diplomazia ad alto livello.

“Trump il presidente della pace”

Alla Knesset, lo staff ha distribuito cappellini rossi con la scritta “Trump the peace president”, imitando lo stile del celebre slogan elettorale “Make America Great Again”. L’atmosfera è carica di attesa: per la prima volta, un presidente americano in carica arriva in Israele nel mezzo di una tregua che porta a casa prigionieri dopo due anni di guerra ininterrotta.

Secondo la presidente della Commissione Affari Esteri, l’intervento di Trump “potrebbe segnare una svolta storica nella fine del conflitto”.

Il ritorno degli ostaggi: lacrime e incredulità

Sette ex ostaggi — Alon Ohel, Gali e Ziv Berman, Matan Angrest, Eitan Mor, Omri Miran e Guy Gilboa-Dalal — sono stati consegnati al Comitato Internazionale della Croce Rossa e portati al confine con Israele.
Le prime immagini diffuse mostrano i volti sorridenti, ancora segnati dalla prigionia, mentre abbracciano i soldati israeliani.

A Tel Aviv, in Piazza degli Ostaggi, la folla ha pregato durante la festività di Hoshana Rabba, recitando il versetto biblico: “E i figli torneranno ai loro confini.” La data coincide con il secondo anniversario, secondo il calendario ebraico, dell’attacco del 7 ottobre 2023, in cui i rapimenti ebbero luogo.

“Voglio solo respirarlo di nuovo”

Le televisioni israeliane hanno trasmesso i primi contatti video tra le famiglie e i propri cari ancora in prigionia.
“Ho visto il suo sorriso, quello di due anni fa,” ha detto con voce rotta Avi Ohana, padre di Yosef Haim Ohana, parlando a Channel 12.
Tami Braslavski, madre di Rom, ha aggiunto: “Mi ha detto: ‘Mamma, non preoccuparti. Quel che sarà, sarà.’ Noi lo aspettiamo da troppo tempo.”

Alcune famiglie hanno ricevuto telefonate anche da prigionieri non ancora liberati, tra cui Bar Kuperstein, Elkana Bohbot e i fratelli Cunio.

Reazioni in Israele e nel mondo

Il leader arabo-israeliano Ayman Odeh ha accolto con emozione la notizia, ma ha ricordato che “la gioia è mescolata al dolore”. Ha invitato entrambe le parti a “proseguire la lotta per la pace e la fine dell’occupazione”.
Dalla scena politica opposta, Aryeh Deri, capo del partito Shas, ha citato i Salmi: “Questo è il giorno che il Signore ha fatto, rallegriamoci ed esultiamo in esso.”

Anche dall’Europa è arrivata una nota ufficiale: la commissaria UE Kaja Kallas ha lodato il ruolo di Trump, definendo la liberazione “un passo cruciale verso la pace”.

Diplomazia e fede intrecciate

Poche ore dopo la prima liberazione, Trump è salito sull’auto blindata presidenziale “The Beast” insieme a Netanyahu e sua moglie Sara, diretti verso Gerusalemme.
Il premier israeliano ha definito la visita “un gesto di solidarietà e un segno di fiducia nella pace”.
Sui social, il presidente americano ha scritto che “l’accordo di Gaza potrebbe essere la più grande cosa che io abbia mai fatto.”

Mentre il corteo attraversava il Paese, le sirene della polizia si mescolavano alle preghiere in piazza, ai canti di Sukkot e alle lacrime di famiglie che, dopo due anni di attesa, hanno finalmente potuto dire: “Bentornati a casa.”