Israeliani gioiscono per il previsto ritorno degli ostaggi (Foto: Amir Goldstein)

Voci da Israele: l’incontro ADEI WIZO due anni dopo, tra memoria, paura e speranza

Personaggi e Storie

di Davide Servi
Voci da Israele ha restituito un mosaico di prospettive e sentimenti: stanchezza e speranza, paura e determinazione, dolore e desiderio di futuro. E ha mostrato come la forza di Israele risieda non solo nella sua capacità di difendersi, ma soprattutto in quella – antica e sempre nuova – di raccontarsi e ricominciare. (Foto Amir Goldstein per il Forum delle famiglie deli ostaggi).

gGiovedì 9 ottobre 2025, in un clima sospeso tra cauta speranza e profonda consapevolezza storica, si è tenuto un nuovo appuntamento del ciclo “Voci da Israele”, promosso da ADEI WIZO Nazionale. Il titolo scelto per questa edizione – È passato un altro anno – suona come un monito e una constatazione: due anni dopo il 7 ottobre 2023, giorno che ha segnato in modo indelebile il destino dello Stato ebraico e dell’intera diaspora, il tempo trascorso non è bastato a dissolvere il trauma. Ma ha permesso, almeno, di guardarlo con occhi più lucidi, di farne materia di riflessione collettiva.

Il progetto Voci da Israele nasce con un intento preciso: offrire uno spazio di ascolto e testimonianza sulla vita quotidiana degli italiani nello Stato ebraico, restituendo la complessità del contesto mediorientale attraverso gli occhi di chi lo abita, lo studia e lo racconta. È anche uno strumento di dialogo con l’Italia e con l’ebraismo della diaspora, un ponte necessario in un tempo in cui il rumore delle narrazioni ideologiche rischia di soffocare le voci reali.

Trasmesse in diretta streaming su Zoom, le “Voci” di questa edizione hanno potuto contare su un ampio patrocinio del mondo ebraico italiano: dall’UCEI al CDEC, dalla Fondazione per i Beni Culturali Ebraici a Israele.net e Machshava Tova, fino all’Associazione Medica Ebraica, all’Associazione 7 Ottobre, all’Associazione Italia-Israele di Milano, all’Associazione Italiana Amici dell’Università di Gerusalemme e all’Associazione Figli della Shoah. Un sostegno corale, a testimonianza dell’importanza attribuita a momenti di approfondimento come questo.

Le testimonianze: paura, resilienza e il bisogno di raccontarsi

La serata si è aperta con un elemento di forte emozione: nelle prime ore del mattino era giunta la notizia di un accordo di pace preliminare tra Israele e Hamas, un annuncio che ha attraversato l’incontro come un filo di cauta gioia. Dopo mesi di stallo e di trattative fallite, la prospettiva di una tregua e della liberazione degli ostaggi ha reso l’atmosfera particolarmente intensa, segnata dalla speranza ma anche dalla prudenza di chi troppe volte ha visto svanire promesse simili.

A inaugurare l’incontro è stata Susanna Sciaky, presidente nazionale dell’ADEI WIZO, che ha ricordato il senso profondo di questa iniziativa. Il progetto, ha spiegato, è nato nel luglio 2024 come una raccolta di video-testimonianze di italiani residenti in Israele, invitati a raccontare emozioni, paure e frammenti di quotidianità durante i mesi più bui della guerra. Quella che doveva essere una breve rassegna si è presto trasformata in una necessità collettiva: «Da una parte c’era la voglia di capire, dall’altra il bisogno profondo di raccontarsi».
Oltre cinquanta voci hanno preso parte a quel coro: voci di sofferenza e resilienza, di un popolo che, nel pieno della tragedia, ha saputo ricompattarsi come comunità, condividendo dolore e responsabilità.

 

Daniela Fubini

Questa capacità di reagire e trasformare la crisi in coesione è uno dei fili conduttori che attraversano tutti gli interventi della serata. Daniela Fubini, giornalista e autrice televisiva, ha portato una testimonianza intima e concreta, quella di chi vive a pochi chilometri da Gaza e ha sperimentato sulla propria pelle la paura e la stanchezza di due anni interminabili. Ha raccontato la sospensione tra speranza e disillusione che accompagna ogni notizia di negoziato: troppo spesso, negli ultimi mesi, le attese si sono trasformate in delusioni. Anche ora, di fronte alla prospettiva della liberazione degli ostaggi, il cuore resta chiuso. La guerra ha lasciato cicatrici profonde nella società israeliana e il futuro, ammonisce, non potrà essere costruito senza un rinnovamento radicale delle istituzioni, della politica e persino del ruolo dell’esercito. Il sogno, dice, è quello di un Paese in cui un giorno suo figlio non dovrà indossare l’uniforme.

Joe Shammah ha offerto una riflessione di forte impatto simbolico. La sicurezza quotidiana – quel senso diffuso di fiducia che permette di lasciare la porta di casa aperta – è stata infranta il 7 ottobre. A Gaza, ha ricordato, esiste un mondo parallelo, invisibile e minaccioso: una città sotterranea fatta di tunnel dotati di acqua, ventilazione e sistemi di smaltimento, costruita non per proteggere ma per intrappolare, attirare e uccidere. «Gaza fa paura – ha spiegato – non per la sua potenza, ma per il suo essere minacciosa».

Angelica Calò Livne

Una voce di segno diverso, ma altrettanto significativa, è stata quella di Angelica Calò Livné, educatrice e animatrice culturale impegnata nel dialogo interculturale e nella pedagogia della pace. Fondatrice del progetto educativo del Kibbutz Sasa e nota per le sue iniziative artistiche e teatrali rivolte alle scuole del nord di Israele, Calò Livné ha raccontato come questi due anni siano stati un susseguirsi di delusioni e ferite.
Ha parlato di studenti incapaci di alzarsi dal letto dopo l’ennesima notizia di un soldato o di un amico caduto, di chat in cui era lei – da Israele – a dover rassicurare gli ebrei della diaspora. Eppure, insiste, senza speranza Israele non potrebbe andare avanti. Solo un lavoro collettivo e paziente potrà permettere alla società israeliana di «tornare a essere ciò che era» e superare un trauma che richiederà tempo e unità.

David Zebuloni, giovane scrittore e giornalista, collaboratore di Bet Magazine Mosaico, tra le voci emergenti del giornalismo italo-israeliano, ha sottolineato come la guerra abbia cancellato i confini tra vita privata e professionale, trasformando l’esistenza stessa in un atto di resistenza e di racconto.
La pace, osserva, non si costruisce con le firme ma con la fiducia: è questa la vera sfida di Israele, imparare di nuovo a credere che si possa dormire tranquilli la notte. E proprio da qui può nascere un nuovo orizzonte, paradossalmente, dal Medio Oriente stesso. Alcuni Paesi arabi sembrano oggi più desiderosi che mai di partecipare agli Accordi di Abramo, per non isolare Israele ma includerlo come interlocutore e partner.

Lo Staticidio

Sergio Della Pergola

A chiudere la serata è stato l’intervento di Sergio Della Pergola, demografo di fama internazionale e uno dei massimi esperti di popolazione ebraica. Con il rigore dell’analisi scientifica, ha invitato a leggere la realtà al di là dell’emozione. Il 7 ottobre ha rappresentato un tentativo di «staticidio», un piano articolato per annientare Israele su tre livelli – ideologico, operativo e popolare – e che, se fosse stato pienamente coordinato, avrebbe potuto avere conseguenze catastrofiche. Ma quel piano è fallito, e lo spirito del popolo israeliano ha dimostrato la propria resilienza. «Questo – ha ricordato – è stato l’errore del nemico: credere che Israele fosse un covo di ragnatele pronto a dissolversi».

Della Pergola ha poi invitato a non sottovalutare il contesto: oltre 37.500 missili sono stati lanciati contro Israele, ciascuno con il potenziale di causare centinaia di vittime, per un totale di oltre 3,5 milioni di vittime potenziali. Parlare di proporzionalità senza considerare questa realtà è, ha detto, «una pretesa indecente». Ma accanto alla necessità di difendersi, Israele deve affrontare un compito ancora più arduo: ricomporre le proprie fratture interne e ricostruire il tessuto della sua società. Perché «non può esistere il popolo di Israele se non esiste lo Stato di Israele».

Voci da Israele ha offerto molto più di un semplice bilancio di un anno difficile. Ha restituito un mosaico di prospettive e sentimenti: stanchezza e speranza, paura e determinazione, dolore e desiderio di futuro. E ha mostrato, ancora una volta, come la forza di Israele risieda non solo nella sua capacità di difendersi, ma soprattutto in quella – antica e sempre nuova – di raccontarsi e ricominciare.