Shabbat Sukkot. La gioia nel tempo dell’incertezza

Appunti di Parashà a cura di Lidia Calò

Sukkot è chiamata zeman simchateinu — il tempo della nostra gioia. Ma questa gioia nasce proprio in una situazione di fragilità: viviamo per una settimana in una sukkah, una dimora temporanea, aperta al vento, esposta al freddo o al caldo. È una festa della precarietà.

Rabbi Jonathan Sacks osservava che la fede non è certezza, ma il coraggio di vivere con incertezza. La sukkah ci insegna a non basare la nostra felicità sulla stabilità materiale, ma sulla presenza di Dio nella nostra vita. La vera sicurezza non viene dalle mura solide, ma dal sentirsi avvolti dalla protezione divina.

Nella lettura di Shabbat Chol HaMoed, Mosè chiede a Dio: “Fammi vedere la Tua gloria.”
Dio risponde che potrà vedere soltanto il Suo “retro”, non il volto. Rabbi Sacks spiegava: viviamo la vita guardando in avanti, ma comprendiamo il suo significato solo guardando indietro.
Spesso non capiamo gli eventi mentre accadono; solo dopo riconosciamo la mano di Dio che ci ha guidati.

Sukkot diventa allora una parabola dell’esistenza umana: siamo sempre in viaggio, mai del tutto arrivati, e tuttavia possiamo trovare gioia nel cammino stesso.

La sukkah, fragile e aperta, ci insegna che la gioia non nasce dalla sicurezza, ma dalla fiducia.
Chi sa essere felice anche nella temporaneità, chi riesce a ringraziare anche quando le fondamenta tremano, ha scoperto il segreto della fede ebraica.

E così, proprio nella sukkah — sotto un tetto di rami e di stelle — impariamo che la più grande forma di sicurezza è sapere che, qualunque cosa accada, non siamo mai soli.