di Michael Soncin
A 50 anni dalla scomparsa, l’artista torinese viene ricordato con la mostra Omaggio a Carlo Levi. L’amicizia con Piero Martina e i sentieri del collezionismo, presso la Galleria d’Arte Moderna di Roma fino al 2 novembre. Un viaggio tra le opere più significative dei due artisti, nato da un progetto tra la Fondazione Carlo Levi e l’Archivio Piero Martina
La battaglia per un’arte europea, il dissenso nei confronti del fascismo, l’arrivo a Roma nel periodo della ricostruzione post-bellica: sono i tratti che hanno accomunato Carlo Levi (1902-1975) e Piero Martina (1912-1982), entrambi di Torino, dai quali è nato un sodalizio umano durato oltre tre decenni.
La testimonianza di questo forte legame umano, intellettuale e artistico, basato su esperienze di vita comuni, è data dal significativo nucleo di opere, che seppur differenti tra loro, in certe stagioni, dal punto di vista espressivo, sono parallele nella volontà di raccontare per immagini la realtà italiana, senza retorica.
È il 1938, anno delle Leggi razziste, che il loro legame si approfondisce. Levi era già un pittore affermato, mentre Martina debutta sul panorama torinese con la prima mostra alla Galleria Genova, presentata da Levi che lo incoraggia nella scelta di un linguaggio espressivo autonomo. Infatti, come scrive la storica dell’arte Antonella Lavorgna, lo stesso Carlo Levi è stato “Un outsider che ha respinto le accademie e le avanguardie sfuggendo a ogni identificazione univoca di stile o di corrente”.
Levi è stato un antifascista, un medico, un giornalista, pittore e scrittore. Ed è forse per via del suo poliedrismo che è stato difficile tracciarne i confini. Lavorgna ricorda che il suo nome al grande pubblico è rimasto legato esclusivamente alla lettura scolastica del libro Cristo si è fermato a Eboli e solo un pubblico minore lo ricorda nelle vesti di uno dei rappresentanti della pittura realista della metà del ‘900. Fortunatamente, già dalla fine del secolo scorso, è iniziato un processo di rivalutazione in ambito pittorico. Basti pensare alle lodi che gli riserva il pittore Renato Guttuso nel 1970. Lo definisce un pittore notissimo, ma dice che la sua arte era sconosciuta, pur essendo “piena e leggibile”, poiché troppo diretta e capace di raccontare volti e natura, con la semplicità solo di chi ha il dono della pittura.
Diciannove dipinti e due disegni costituiscono il corpus inedito di Carlo Levi. Questo nucleo di opere è sufficiente per completezza e importanza a tracciare l’intero percorso dell’artista. I quadri fanno parte della collezione di Angelina De Lipsis Spallone (1926-2020), medico e grande amante dell’arte, acquisiti tramite l’amicizia con Linuccia Saba, figlia del poeta ebreo triestino Umberto, compagna di Carlo durante gli anni della sua permanenza a Roma. Possiamo scrutare le prime prove degli esordi, che riflettono le lezioni di Felice Casorati, gli anni dei Sei di Torino, la fine degli anni ’30, la svolta neorealista con le rappresentazioni della Lucania nel ’50, arrivando alle serie dei giardini di Alassio e Amanti tra gli anni ’60 e ’70.
Oltre ai dipinti esposti per la prima volta, la mostra alla Galleria d’Arte Moderna di Roma è arricchita, assieme a quelli di Martina, di altre sezioni dei dipinti di Levi, con particolare attenzione al suo legame con Roma, dove ha vissuto stabilmente dal 1945 fino alla morte; città che ha rappresentato una fonte continua d’ispirazione. Per approfondire, il volume che accompagna la mostra è composto da un ventaglio di saggi scritti da diversi specialisti di Carlo Levi e Piero Martina.
Dall’alto: Carlo Levi, Vigna, 1962, olio su tela, 85×104 cm; Donna col cagnolino, 1932 ca., olio su tela, 90×79 cm, Roma, Collezione De Lipsis Spallone. Piero Martina, Autoritratto, 1943, olio su tela, 55×45 cm, Collezione privata. Daniela Fonti, Antonella Lavorgna, Antonella Martina (a cura di), Silvana Editoriale 140 illustrazioni, pp. 152, € 34,00;