i simboli di sukkot

Sukkot: uniti sotto un tetto comune, per un bene superiore

Ebraismo

di Rav Alberto Somekh

Siamo disposti a considerarci tutti uguali in virtù del tetto comune che ci sovrasta? Questo è Sukkot. Dopo che ci siamo perdonati a vicenda a Yom Kippur, la Sukkà ci sospinge verso il riconoscimento dell’Altro, della sua dignità e autenticità. Eliminando ogni senso di superiorità

Gli studiosi riconoscono nella Storia più recente due passaggi differenti nella definizione di identità, quella individuale o di gruppo. Dopo la Rivoluzione francese iniziò a diffondersi la nozione di dignità, contrapposta a quella più antica di onore. Dignità implica l’idea di uguaglianza: il pari riconoscimento di ciascun uomo da parte di ogni altro. A partire dal Secondo Dopoguerra si afferma piuttosto l’ideale dell’autenticità. Non solo non mi adeguo a un conformismo esteriore, ma devo essere fedele a me stesso e alla mia originalità: esprimendola realizzo una potenzialità che è solo mia in senso proprio. In concomitanza con il passaggio dall’onore alla dignità è sorta la “politica dell’universalismo”, che rivendica uguali diritti per tutti i cittadini. L’affermarsi dell’ideale dell’autenticità ha poi dato origine a una “politica della differenza”, che ci chiede altresì di riconoscere l’identità irripetibile di questo individuo o di questo gruppo, distinta da quella di chiunque altro. Proprio questa differenza si è troppo spesso voluto ignorare, trascurare, assimilare a un’identità dominante o maggioritaria. Ciò che vale nelle nostre relazioni con il mondo esterno può essere rapportato anche alla vita interna della nazione. Le due Mitzwot che caratterizzano Sukkot potrebbero alludere a entrambi i valori, rispettivamente. Idealmente un’unica Sukkah che abbracciasse l’intero nostro popolo sarebbe valida secondo la Halakhah. La domanda non è sulla capacità della struttura, ma sulla disponibilità degli occupanti: saremmo in grado di sostenere una simile convivenza? L’invito è ad appianare le differenze fra di noi. Se c’è un momento propizio per unirci, considerarci tutti uguali in virtù del tetto comune che ci sovrasta, questo è Sukkot, dopo che ci siamo perdonati a vicenda a Yom Kippur. La Sukkah è anche descritta come Casa di H. L’uomo può riavvicinarsi al suo Creatore e provare il piacere di risiedere nella Sua casa solo una volta che abbia fatto pace con i suoi simili. Eliminando ogni senso di superiorità ritroviamo la nostra dignità. Ma l’unità non richiede la totale negazione di sé, né un comportamento rigidamente omogeneo. Al contrario, la Mishnah insiste sull’importanza delle discussioni “in Nome del Cielo” (Avot 5, 20). Le Quattro Specie del Lulav rappresentano, secondo un noto Midrash, altrettanti “tipi”. Come le leghiamo assieme, così le varie personalità da esse simboleggiate possono e devono mantenere la propria autenticità nel momento in cui hanno uno scopo comune superiore: il bene del nostro ebraismo. La Torah è una soltanto, ma ognuno di noi la comprende in base alle facoltà sue proprie. Nella misura in cui questa diversità ha per scopo una visione unitaria, in cui tutte le parti ritrovano la loro armonia, è accettabile e persino auspicabile. Per questa ragione la Mitzwah della Sukkah si esegue già la sera, mentre il Lulav si prende solo di giorno: perché l’autenticità ha il suo fondamento nella dignità.

 

Il Lulav delle quattro specie: tutto il popolo unito

di Redazione

Il Lulav delle quattro specie è il mazzo di vegetali composto da un ramo di palma (lulav), due rami di mirto (hadas), due rami di salice (aravà) e un cedro (etrog), che viene tenuto e agitato durante le preghiere nella festa ebraica di Sukkot. Queste specie simboleggiano i diversi aspetti del popolo ebraico e la necessità di unione e collaborazione tra le persone.

L’Etrog (cedro), che ha profumo e sapore, simboleggia l’ebreo che possiede sia la conoscenza della Torà sia il compimento delle mitzvòt (buone azioni).

Lulav (ramo di palma), che dà frutti ma non ha profumo, rappresenta l’ebreo che ha conoscenza della Torà ma non è capace di compiere le mitzvòt.

Hadas (mirto), che ha profumo ma non è commestibile, è l’ebreo che compie le mitzvòt ma manca di conoscenza della Torà.

Aravà (salice), che non ha né sapore né profumo, simboleggia l’ebreo che è privo sia della conoscenza della Torà sia delle mitzvòt.

Il mazzo composto dalle quattro specie è tenuto insieme perché l’unità del popolo d’Israele è fondamentale. Solo quando tutte queste diverse parti sono unite, possono diffondere luce e compiere il loro scopo.