di Daniele Cohenca
Il 9 di Av, (תשעה באב in ebraico), è una data di profondo significato nel nostro calendario, un giorno di digiuno e lutto che commemora alcune delle più grandi tragedie che hanno colpito il popolo ebraico nel corso della storia. Lungi dall’essere solo un ricordo di antichi dolori, il 9 di Av è un momento di riflessione sulla distruzione, l’esilio e la resilienza, che offre anche una prospettiva di speranza per il futuro.
Un Giorno di Tragedie
La ragione principale del digiuno del 9 di Av è la distruzione dei due Tempi di Gerusalemme. Il Primo Tempio, costruito dal Re Salomone, fu distrutto dai Babilonesi nel 586 a.C., e il Secondo Tempio, ricostruito al ritorno dall’esilio, fu annientato dai Romani nel 70 d.C. Entrambe queste catastrofi, che hanno segnato profondamente la storia ebraica, si ritiene siano avvenute proprio il 9 di Av.
Ma le tragedie associate a questa data non si fermano qui. Tradizionalmente, il 9 di Av è anche legato a:
- La caduta di Betàr, l’ultima fortezza ebraica durante la rivolta di Bar Kochba, nel 135 d.C., che portò alla morte di centinaia di migliaia di ebrei e alla fine dell’indipendenza ebraica in Giudea.
- L’espulsione degli ebrei dalla Spagna nel 1492, un altro evento che causò immense sofferenze.
Tuttavia, l’origine del dolore di questi lutti va ricercata in tempi più antichi, ossia quando il Popolo ebraico si accingeva ad entrare nella Terra Promessa assieme a Mosè.
Gli Esploratori e il 9 di Av: l’origine del dolore
Dopo l’uscita dall’Egitto e la rivelazione al Monte Sinai, il popolo d’Israele era prossimo a entrare nella Terra Promessa. Mosè inviò dodici “esploratori”, uno per ogni tribù, per investigare la terra di Canaan e riferirne le condizioni, la sua gente e le sue città.
Dopo quaranta giorni, gli esploratori tornarono. Dieci di loro portarono un resoconto scoraggiante. Descrissero una terra ricca e fertile, ma anche abitata da giganti e città fortificate, instillando paura e disperazione nel popolo. Sostenevano che sarebbe stato impossibile conquistare quella terra e che avrebbero dovuto tornare in Egitto. Solo Yehoshùa e Calèv, due degli esploratori, portarono un messaggio di fede e incoraggiamento, affermando che con l’aiuto di Dio avrebbero potuto conquistare la terra.
All’udire il resoconto negativo dei dieci esploratori, il popolo inero scoppiò in lacrime, lamentandosi e perdendo la fiducia in Dio e nella Sua promessa di portarli nella Terra di Israele. Questa notte di lamento infondato, secondo la tradizione Rabbinica, cadde proprio il 9 di Av.
Come punizione per la loro mancanza di fede e per il loro lamento, Dio decretò che l’intera generazione che aveva lasciato l’Egitto (ad eccezione di Yehoshùa e Calèv) sarebbe morta nel deserto, nel corso di un vagabondaggio di quaranta anni (un anno per ogni giorno di esplorazione), e non sarebbe entrata nella Terra Promessa. Dio disse: “Voi avete pianto invano questa notte; Io stabilirò per voi questa data per un pianto perpetuo per le generazioni future.”
Il “Peccato” degli Esploratori e le Sue Conseguenze
Il “peccato” degli esploratori e del popolo non fu solo una semplice mancanza di coraggio, ma una profonda crisi di fede. Essi dubitarono della potenza e della fedeltà di Dio, preferendo la schiavitù conosciuta alla libertà e alla sfida della Terra Promessa. Questa ribellione collettiva fu un momento di rottura nella relazione tra Dio e il Suo popolo.
È questo il motivo per cui il 9 di Av non è solo una commemorazione di distruzioni fisiche, ma anche un richiamo a un fallimento spirituale e morale. La distruzione dei due Tempi, secoli dopo, viene vista come una conseguenza diretta o un’estensione di questo stesso difetto spirituale. I Saggi insegnano che il Secondo Tempio fu distrutto a causa dell’odio infondato (Sinàt Chinàm) tra gli ebrei. Questo odio, a sua volta, può essere ricondotto a una mancanza di fede e fiducia reciproca, temi che risuonano con la vicenda degli esploratori. Essi non si fidarono di Dio, e il popolo non si fidò del resoconto positivo di Giosuè e Caleb, preferendo la disillusione e la sfiducia.
Oltre il lutto: un messaggio di speranza
Ma se da un lato il 9 di Av è indubbiamente un giorno di lutto profondo, dall’altro non è privo di speranza. La tradizione ebraica insegna che il Messia nascerà proprio il 9 di Av, un’idea che suggerisce che dalla massima oscurità possa emergere la più grande luce. Questo concetto trasforma il digiuno da una mera commemorazione del passato a un’occasione per riflettere sul presente e guardare al futuro con rinnovata speranza.
Come insegna Rav Kook: “La distruzione fu necessaria… affinché sorgesse una visione spirituale più elevata.” (Orot HaTeshuvah 9:6.
È proprio nel punto più basso della storia, che si trova il seme della futura Redenzione.