di Anna Balestrieri
Domenica 18 maggio, in diretta streaming, si è tenuta la presentazione del volume Immigrato russo. Tre novelle (WriteUp Books, 2024), alla presenza dell’autore Maxim D. Shrayer. L’evento, moderato da Francesca Pagano, ha visto la partecipazione di Cyril Aslanov e Stefano Garzonio, curatori del volume e figure di spicco rispettivamente della comunità ebraica di Milano e degli studi slavistici italiani.
Francesca Pagano ha aperto l’incontro illustrando l’incredibile carriera di Shrayer: nato a Mosca nel 1967 in una famiglia ebraico-russa con radici ucraine e lituane, è stato refusenik per oltre otto anni prima di emigrare negli Stati Uniti nel 1987 con i genitori, lo scrittore David Shrayer-Petrov ז״ל e la traduttrice Emilia Shrayer. Oggi Shrayer è professore di Letteratura russa, inglese e studi ebraici al Boston College, autore ed editore di oltre trenta volumi di narrativa, poesia, saggistica e traduzione. Tra i suoi titoli principali: Waiting for America, Leaving Russia, Immigrant Baggage, Yom Kippur in Amsterdam e Parallel Letters. Le sue opere, tradotte in tredici lingue, includono anche Nabokov e o Judaísmo (2023, Brasile) e, più recentemente, Immigrato russo (2024, Italia). Attualmente è visiting professor a Firenze.
Il volume presentato, nella limpida traduzione di Rita Filanti, raccoglie tre novelle che oscillano tra invenzione e autobiografia. Chi ha letto i precedenti lavori dell’autore (Fuga dalla Russia e Aspettando America) ritroverà una prosa che è fusione di memoria e finzione, testimonianza e gioco letterario. Le tre novelle esplorano la dualità tra presente e passato, esilio e radici, mostrando l’evoluzione di Shrayer da memorialista a narratore. Se nel protagonista Simon Reznikov si intuisce una dimensione autobiografica, egli resta tuttavia un personaggio autonomo, parte di un’ideale trilogia che lo ha visto prima giovane refusenik in URSS, poi rifugiato in Italia, e infine, nel presente narrativo, professore americano che rilegge il proprio passato.
Chi ha voluto leggere in Reznikov un doppio trasparente dell’autore è stato però messo in discussione da una ferma difesa di Stefano Garzonio, che ha sottolineato la necessità di non confondere l’autore con il personaggio. Una domanda posta da Cyril Aslanov ha tuttavia aperto uno spiraglio: Shrayer ha anticipato che una “terza memoria” è in arrivo, ambientata in una piccola cittadina universitaria americana — un risveglio grottesco e realistico insieme, come quello raccontato da Ilf e Petrov.
La lettura di Cyril Aslanov
Cyril Aslanov, leggendo l’originale inglese, ne ha lodato l’astuzia stilistica, paragonandolo alla scrittura del New Yorker. Ha inoltre sottolineato i “giochi intertestuali con la grande letteratura”, evocando i legami con Kafka. Shrayer ha accolto l’osservazione con riserva, preferendo accostare la propria poetica a quella di Paul Celan, per la sua scrittura in ebraico come gesto di discontinuità, pur avendo scelto un’altra lingua per esprimersi quotidianamente.
Al centro del volume vi sono descrizioni minuziose del mondo sovietico e ceco, rese con una dovizia di particolari che restituisce l’intensità della memoria diasporica. Uno dei simboli centrali — il castello ebraico — è stato interpretato come allegoria della difesa ebraica, sintesi concettuale del sionismo revisionista e metafora dello Stato di Israele stesso: una fortezza, fragile e necessaria.
La pesca
In uno dei momenti più emblematici, Simon Reznikov pesca: un gesto semplice, ma ricco di significati. È una metafora dell’assimilazione — mai completa — e segna simbolicamente il distacco dalla tradizione ebraica, che vieta la pratica come hobby, legandola alla necessità di sopravvivenza. Shrayer, con tono ironico, ha raccontato un aneddoto personale: la sua attuale passione per la pesca lo ha reso testimone della presenza di un gruppo transnazionale dí cultori della sua declinazione ebraica: gli immigrati sudamericani, che pescano nei fiumi americani come in quelli italiani – ha osservato l’autore durante il soggiorno a Firenze, rafforzano il legame tra esperienza vissuta e invenzione narrativa.
La voce dei refusniky
Shrayer ha ricordato che oggi vi sono circa un milione di russo-americani, molti dei quali figli o nipoti di ex-refusenik. La sua voce, bilingue e bifronte, continua a dare forma e respiro a questa memoria e in continua trasformazione.
Una narrazione densa, stratificata, che apre squarci sulla condizione dell’ebreo post-sovietico in Occidente, e che rivela, nella leggerezza dell’aneddoto o nell’ironia della dissimulazione, la profondità di un’identità frammentata ma mai muta.