di Anna Coen
Le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno annunciato il recupero del corpo di Itay Svirsky, un ostaggio israeliano ucciso durante la sua prigionia a Gaza. L’operazione, delicata e avvolta nel riserbo, si aggiunge alla tragica scoperta di altri ostaggi assassinati da Hamas, probabilmente durante attacchi aerei israeliani su obiettivi sotterranei.
Questa doppia tragedia illumina il costo umano di un conflitto brutale e riporta al centro del dibattito la difficile realtà degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas.
Il recupero del corpo di Itay Svirsky
Itay Svirsky, 38 anni, era stato rapito da Hamas il 7 ottobre 2023 durante il massacro al Kibbutz Be’eri, una delle giornate più nere nella storia recente di Israele. Si trovava nella casa dei suoi genitori per celebrare Simhat Torah, la gioiosa festività ebraica, quando i terroristi hanno attaccato la comunità.
Durante l’assalto, Svirsky si era rifugiato con sua madre in una stanza di sicurezza. La loro ultima comunicazione con il resto della famiglia era avvenuta alle 10 del mattino di quel giorno fatidico. Poco dopo, entrambi sono stati catturati. I corpi di sua madre Orit e di suo padre Rafi sono stati trovati nei giorni successivi al massacro, ma Itay è stato portato vivo nella Striscia di Gaza insieme a molti altri ostaggi.
A gennaio 2024, le autorità israeliane avevano confermato che Svirsky era stato ucciso dai suoi rapitori diversi mesi prima, in circostanze mai del tutto chiarite. Ora, 14 mesi dopo il rapimento, il corpo di Itay è stato finalmente recuperato grazie a un’operazione delle IDF e dello Shin Bet.
Il portavoce dell’IDF, il contrammiraglio Daniel Hagari, ha sottolineato che i dettagli dell’operazione non possono essere divulgati per motivi di sicurezza. Tuttavia, l’annuncio ha suscitato dolore e sollievo misti nella famiglia di Itay, che ora potrà finalmente seppellirlo accanto ai suoi genitori.
Un contesto di orrore e speranza
La storia di Svirsky è solo una delle tante tragedie che hanno colpito Israele dal 7 ottobre 2023, quando Hamas ha rapito 251 persone, tra cui uomini, donne, anziani e bambini. Ad oggi, 97 ostaggi restano ancora nelle mani del gruppo terroristico, di cui almeno 35 sono stati dichiarati morti.
Tra loro, alcuni sono stati rilasciati durante tregue temporanee, mentre altri sono stati salvati durante operazioni militari. Tuttavia, molte famiglie attendono ancora risposte, lacerate tra la speranza e la paura di conoscere il destino dei loro cari.
La tragica scoperta degli ostaggi a Khan Younis
Mentre il corpo di Itay Svirsky tornava in Israele, un’indagine dell’IDF ha fatto luce sulla morte di altri sei ostaggi uccisi a febbraio 2024. I loro corpi erano stati recuperati il 20 agosto in un tunnel di Hamas sotto Hamad Town, nella città di Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza.
Gli ostaggi – Alex Dancyg, 75 anni, Yagev Buchshtav, 35 anni, Chaim Peri, 79 anni, Yoram Metzger, 80 anni, Nadav Popplewell, 51 anni, e Avraham Munder, 78 anni – erano stati tutti rapiti al confine con Gaza durante l’attacco di ottobre. Dopo essere stati trasferiti in vari tunnel, erano stati condotti a dicembre in un passaggio angusto e scarsamente ventilato sotto Hamad Town.
A febbraio, l’aeronautica israeliana aveva condotto raid contro la rete di tunnel di Hamas nella zona, colpendo obiettivi legati ai comandanti del gruppo terroristico. Nonostante tutte le autorizzazioni fossero state ottenute, all’epoca le IDF non sapevano che in quei tunnel erano trattenuti degli ostaggi.
Secondo l’indagine, gli ostaggi sono stati probabilmente giustiziati dai loro rapitori subito dopo gli attacchi, ma il rapporto non esclude che alcuni di loro possano essere morti per soffocamento o per altre conseguenze indirette del bombardamento.
Le condizioni disumane dei tunnel di Hamas
Il tunnel in cui erano tenuti prigionieri gli ostaggi era lungo appena 100 metri, stretto quanto un materasso e bloccato da sacchi di sabbia e una porta di metallo. «Non ci sono le condizioni per far vivere esseri umani», ha dichiarato Hagari, descrivendo un luogo di prigionia che somiglia più a una tomba.
Questi dettagli sottolineano le difficoltà che le IDF affrontano nelle loro operazioni, cercando di colpire obiettivi strategici senza mettere in pericolo la vita degli ostaggi. È un equilibrio precario, spesso reso impossibile dall’uso cinico che Hamas fa dei prigionieri come scudi umani.
Delle condizioni terribili dei tunnel si era anche parlato a settembre dopo l’uccisione di altri sei ostaggi e il ritrovamento del luogo dove erano tenuti prigionieri.
La sfida di riportare tutti a casa
Il capo di stato maggiore dell’IDF, Herzi Halevi, ha riconosciuto gli errori commessi e ha ribadito l’impegno dell’esercito a riportare a casa ogni ostaggio, vivo o morto. «Ogni errore è dovuto alla mancanza di conoscenza, e ci impegniamo a imparare da questi sbagli», ha dichiarato, sottolineando il lavoro incessante di migliaia di soldati per portare avanti questa missione critica.
La tragedia di Itay Svirsky e degli altri ostaggi rimane un monito doloroso della complessità e del costo umano del conflitto in corso. La loro memoria è un richiamo alla necessità di trovare una soluzione che possa prevenire future tragedie e restituire pace e sicurezza a una regione martoriata.