“La comunità ebraica emiratina si prepara a crescere”

Mondo

di Francesco Paolo La Bionda

L’Associazione delle Comunità Ebraiche del Golfo, in inglese Association of Gulf Jewish Communities (AGJC), è nata lo scorso febbraio a seguito della normalizzazione dei rapporti tra Israele e parte del mondo arabo sancita dagli Accordi di Abramo.

Lo scopo dell’associazione è facilitare la vita religiosa e comunitaria nella regione sia per gli ebrei residenti sia per i turisti di fede ebraica, soprattutto ma non esclusivamente israeliani. I due poli della presenza ebraica nel Golfo Persico sono il Bahrein, dove è sopravvissuta in forma ridotta la comunità autoctona, e gli Emirati Arabi Uniti, dove Dubai in particolare ospita una nutrita comunità di espatriati provenienti da tutto il mondo.

Dopo aver ascoltato la testimonianza del lato bahreinita per bocca del Presidente dell’Associazione Ebrahim Dawood Nonoo, abbiamo intervistato il Co-Fondatore Alex Peterfreund per farci raccontare le attività e la vita della comunità ebraica emiratina.

Come è cambiata la vita della vostra comunità dopo la firma degli Accordi di Abramo?

Premettendo che anche prima della firma del patto noi ci siamo sempre sentiti sicuri qui negli Emirati, sicuramente la situazione è cambiata: la comunità è in crescita, possiamo trovare cibo kasher. Ci sono insomma molti sviluppi positivi per i quali siamo contenti.

C’è stata anche un’evoluzione in termini di disponibilità dei servizi e delle funzioni religiose.

Da quando abbiamo fondato l’Associazione siamo stati in grado di fornire alle persone oggetti e servizi rituali, il nostro rabbino sta facendo un ottimo lavoro. Celebriamo le funzioni anche su Zoom, abbiamo tenuto ad esempio una bellissima funzione in ricordo della Shoah, e abbiamo anche organizzato a suo tempo delle cene in presenza.

Oggi a Dubai la comunità ebraica, che è la più grande della regione, ha tutti i servizi necessari a disposizione per la sua vita religiosa, mentre la comunità del Bahrein invece ha una bellissima sinagoga ma non ha un rabbino residente, e negli altri Paesi non hanno né l’una né l’altro. Quindi è molto importante e bello che tramite noi possano comunque soddisfare le proprie necessità.

È cresciuto l’interesse della popolazione araba verso la comunità ebraica dopo la firma degli Accordi?

Assolutamente sì, e questo ci aiuta a organizzare delle attività interconfessionali. È quello che vogliamo: interagire con la comunità locale e farle conoscere l’ebraismo, a nostra volta imparando di più sui nostri concittadini arabi.

Le comunità della regione hanno già iniziato a crescere anche in termini numerici?

Ad oggi prevediamo che sarà solo la comunità emiratina a crescere nei prossimi anni. Gli Emirati sono il Paese dove si può fare business, dove sono disponibili tutti i servizi religiosi e comunitari. Penso accadrà alla fine anche in Bahrein ma ci vorrà sicuramente più tempo.

Come interagiscono e si integrano gli espatriati provenienti dai diversi Paesi?

Gli expat costituiscono almeno il 95% della comunità emiratina, che quindi è estremamente composita: abbiamo persone che provengono da Sud Africa, Australia, America, Italia… Però le interazioni sono molto positive e frequenti, nonostante si parlino lingue differenti e talvolta si abbiano mentalità differenti. Negli Emirati in generale ci sono molti stranieri e si praticano religioni diverse, quindi è un sentimento abbastanza naturale.

Avete previsto l’avvio di attività culturali ed educative nel corso dei prossimi mesi?

Abbiamo già in programma di aprire un asilo e un centro culturale ebraico. Da quando è arrivato il coronavirus non abbiamo più sfortunatamente un nostro luogo di ritrovo per le funzioni religiose, le teniamo per il momento negli hotel o via Zoom ma speriamo di poter avere presto una sinagoga ufficiale anche qui a Dubai.