“Psicologia dell’emergenza”, la scuola al tempo del Covid-19

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di Nathan Greppi

Da quando è iniziata la Fase 2, ci si è posto il problema di come i bambini e i ragazzi siano stati influenzati psicologicamente da 2 mesi di isolamento forzato. Se ne è parlato martedì 19 maggio con tre psicoterapeute nel dibattito avvenuto su Zoom Psicologia dell’emergenza, scuola e covid-19. Fase 2, da Milano a Tel Aviv, organizzato dall’assessorato scuola e dall’assessorato cultura della Comunità Ebraica di Milano.

Dopo i saluti del Vice-Assessore alla Cultura Pia Jarach, la prima a parlare è stata l’Assessore alla Scuola Timna Colombo, moderatrice dell’incontro, che ha fatto una considerazione: “Fin dall’inizio della pandemia, l’OMS ha parlato di un altro rischio legato all’esposizione del Covid-19: l’infodemia, la circolazione di una quantità eccessiva di informazioni che rendono difficile orientarsi su un certo argomento e trovare fonti affidabili. Sono mesi che siamo presi d’assalto da molteplici informazioni, anche con risvolti preoccupanti per la nostra salute psichica.” Ha spiegato che la serata era un’occasione “per sganciarsi da quest’ottica e calarci in un’altra dimensione, quella della scuola.”

Ha portato i suoi saluti anche il Presidente della Comunità Milo Hasbani, il quale ha ricordato che “Milano ha pagato un prezzo pesante, e Israele si è mossa molto bene per offrirci aiuto e confronti,” ricordando che la Comunità milanese ha avuto 13 morti per il Covid.

Anche il Rabbino Capo Rav Alfonso Arbib è intervenuto spiegando un concetto ebraico legato alla situazione, “quello di Bitachon: letteralmente vuol dire “sicurezza”, l’idea che noi ci affidiamo a Dio perché le cose vadano bene. Questo concetto introduce l’idea che non tutto è sotto il nostro controllo, e ne abbiamo fatto un’esperienza drammatica in questi giorni. Ciò è problematico soprattutto per l’uomo moderno, perché siamo abituati a pensare che tutto sia sotto il nostro controllo.” Ha aggiunto che “nella tradizione ebraica si danno altri due significati al concetto di Bitachon: uno è che tutto questo vada preso con serenità, facile da dire ma difficile da applicare. L’altro messaggio è che dobbiamo fare tutto il necessario per salvaguardare la vita umana.”

Francesca Fallati: “Ascoltate i vostri bambini”

Il primo dei relatori a parlare è stato Francesca Fallati, psicoterapeuta della Scuola Ebraica che segue i bambini più piccoli: “I bambini nella Fase 1 hanno avuto un’importante ruolo, che gli va restituito; si sono affidati a noi adulti per essere sostenuti e accompagnati in un periodo di rottura rispetto alla quotidianità che erano abituati a vivere.” Ha spiegato che i bambini sono stati capaci di adattarsi e di resistere, e tuttavia “nelle ultime settimane hanno iniziato a mostrare segnali di malessere: irritazione, agitazione, apatia, a volte comportamenti aggressivi. Mi è stato detto che alcuni bambini hanno ricominciato a farsi la pipì addosso e a dormire nel lettone. Altri genitori con figli di 0-3 anni parlano di bambini che si succhiano il pollice. Si vede in tutti questi casi un estremo bisogno di sicurezza.”.

Ha aggiunto che “le libertà concesse nella Fase 2 non rispondono ancora ai bisogni fisiologici dei bambini, ad esempio incontrare l’altro,” e che durante la Fase 1 “il bambino ha potuto vivere appieno le relazioni famigliari, ma anche subito una compressione della crescita, i suoi impulsi corporei sono stati soffocati.” Per i genitori spiega che “la cosa migliore è chiedere aiuto ad un esperto, anche perché le reazioni variano a seconda del bambino. Ma in tutti va ricordato di ascoltare i segnali fisici, perché il corpo è lo strumento privilegiato dai bambini per esprimersi.”

Ha ricordato che è molto importante la comunicazione non verbale, “non bisogna far loro troppe domande perché spesso dicono di non aver niente. Per il bambino è importante avere delle figure di riferimento che siano con lui con quel comportamento fatto di gesti concreti. È importante dirgli che capiamo come si sentono. Dirgli cose come ‘calmati’ o ‘smettila’ amplifica il loro malessere.” Ha anche detto che “molti hanno paura: prima di tutto perché non vedono il virus come una cosa concreta, quindi percepiscono solo dalle parole degli adulti che sta succedendo qualcosa di molto grave senza capire cos’è.” Al riguardo consiglia di dire loro la verità “in modo semplice e comprensibile, perché più sono informati e più diventano responsabili.”

Martina Bergomi: “I ragazzi sono resilienti?”

Dopo i bambini si è parlato degli adolescenti con Martina Bergomi, che gestisce lo sportello di ascolto psicologico della Scuola Ebraica, la quale è partita con una riflessione: “Il concetto di resilienza, molto usato in psicologia, indica la capacità di un oggetto di resistere a un urto, deformandosi ma senza spezzarsi. Ci siamo chiesti se fosse questo l’effetto che sta avendo sui nostri giovani questa situazione.”

Siccome nell’adolescenza si tende a crearsi una compagnia al di fuori della famiglia, i genitori tendono a pensare che i ragazzi pensino diversamente da loro, ma “in realtà in questo periodo le preoccupazioni di noi adulti sono simili alle loro: sicurezza, salute, fatica nel vedere limitata la nostra libertà. Accanto a queste, gli adolescenti hanno anche preoccupazioni loro, che i genitori fanno fatica a capire.” Spesso i genitori si preoccupano giustamente per l’eccesso nell’utilizzo di internet, “ma in questo periodo sono emersi anche lati positivi: questi ragazzi si sono dimostrati più resilienti degli adulti, mantenendo vivi i rapporti con l’esterno grazie ai mezzi. A volte sono diventati delle risorse per la famiglia, insegnando ai nonni a fare le videochiamate, o hanno aiutato i fratelli più piccoli per la didattica a distanza.”

In merito a questi strumenti ha ricordato che “sono solo dei mezzi, come influenzano la vita di un adolescente dipende anche da com’era questa prima. Si sono aperti due scenari principali: ci sono quelli che avevano buone reti di amicizie e grazie a questi mezzi le hanno mantenute anche nella Fase 1, sentendosi isolati sul piano fisico ma non quello emotivo. Diverso è lo scenario dei ragazzi che prima non avevano una buona rete ma a scuola avevano comunque delle relazioni, ma in questa situazione si sono sentiti isolati anche sul piano emotivo, poco voluti.”

Ha consigliato a i genitori come comportarsi: “Con gli adolescenti non è necessario fare grandi discorsi, e molto dipende anche dal dialogo che c’era già o meno prima della quarantena. Occorre provare a parlare con loro, e interessarsi a ciò che fanno o, se non ce lo permettono, a fare attività insieme. Tanti genitori sono abituati a voler esercitare la funzione educativa per rimproverare il loro eccessivo attaccamento agli schermi, ma in questo momento varrebbe la pena di coltivare una curiosità vera su chi sono loro e su quello che gli passa per la testa.”

In seguito ha consigliato due libri, scaricabili gratis sul sito dell’associazione EMDR, per aiutare i genitori e i ragazzi: La storia dell’ostrica e della farfalla e Noi, adolescenti ai tempi del coronavirus.

Anna Haddad Gruner: la situazione in Israele

L’ultima relatrice a parlare è stata Anna Haddad Gruner, in collegamento da Gerusalemme, che ha parlato della situazione in Israele dove si occupa di terapie famigliari: “Dal punto di vista dell’organizzazione scolastica, abbiamo fatto quello che si fa nelle situazioni di stress. Abbiamo cercato di trasmettere agli adulti e ai bambini informazioni semplici, senza tenerli all’oscuro di niente ma neanche inondarli di troppo informazioni che non riescono a elaborare. Abbiamo dato la possibilità a tutti di esprimere quello che provano e di capire come andare avanti.”

Ha spiegato che “quello che vogliamo fare nella comunità è non lasciare nessuna persona isolata. Ci sentiamo spesso soli con quello che sentiamo, e le cure migliori sono il dialogo e il sentirsi presi in considerazione. In Israele le scuole si sono organizzate in modo tale che tutti i bambini sono rimasti in contatto continuo con le figure che li guidavano a scuola. Tutte le famiglie hanno ricevuto telefonate da parte di maestri e psicologi per offrire sostegno.”

Ha spiegato che al momento Israele è nel pieno della Fase 2, in quanto ha avuto molti meno contagiati e morti rispetto ad altri paesi, ma in ogni caso si stanno studiando sistemi per permettere ai bambini di vedersi e stare di nuovo in classe pur mantenendo le dovute misure di sicurezza.