Un anno di riposo

_MG_1580All’inizio della parashà della settimana troviamo le regole riguardanti l’anno sabbatico, shemità. La Torà ordina di lasciare riposare il campo il settimo anno, di non lavorare la terra, impone di non trarre profitto da ciò che il campo produce naturalmente nel settimo anno e regola le compravendite di terreni sulla base del Giubileo, ossia al compimento del ciclo di 7 anni sabbatici.
La Torà pone una logica domanda (Levitico 25, 20): se non è consentito lavorare la terra nel settimo anno di cosa vi ciberete? La Torà stessa ci offre la risposta: “Io (D-o) disporrò che nel sesto anno la terra farà crescere prodotto sufficiente per 3 anni “ ossia, per il sesto anno, per il settimo (in cui non è permesso lavorare la terra) e per l’ottavo (anno in cui si ricomincia a lavorare la terra che dunque darà frutti solo l’anno successivo, ossia il nono).
Da questi versetti si evince come il sostentamento delle persone sia esclusivamente nelle mani di D-o e non dipenda (solo) dai nostri sforzi. A questo proposito alcuni si domandano cosa succeda nel caso in cui qualcuno decida di approfittare a proprio tornaconto di questo beneficio del sesto anno: un agricoltore potrebbe decidere il sesto anno di osservare la shemità dell’anno successivo per godere della benedizione promessa da D-o di avere un raccolto ricco e abbondante sufficiente per coprire tre anni di vita. Quindi, una volta riempiti bene i magazzini, il settimo anno decide intenzionalmente di non rispettare la shemità e di lavorare il campo vendendo i prodotti a un mercato che non teme concorrenza!
I Maestri ci spiegano che la benedizione divina non è una cosa oggettiva, bensì assolutamente soggettiva: a parità di buone intenzioni, ogni agricoltore potrà il sesto anno immagazzinare cibo a sufficienza per tre anni. Tuttavia, solamente colui che il settimo anno rispetterà la shemità potrà goderne i benefici, mentre colui che malauguratamente decidesse di non osservarla, vedrà i suoi prodotti deperire inesorabilmente.
Da questo insegnamento possiamo facilmente dedurre come i nostri averi, anche una volta che sono effettivamente in mano nostra, sono comunque soggetti alla benedizione divina e il loro godimento dipende esclusivamente dalla nostra fede in Dio che tutto possiede e tutto dispone.