Il fuoco perpetruo di cui si parla nella parashat Tzav

Parashat Tzav – Shabat HaGadol

Appunti di Parashà a cura di Lidia Calò 
Leggiamo nella parashà di questa settimana che un fuoco perpetuo doveva bruciare sull’altare e non doveva mai spegnersi (Levitico 6,6). Ovviamente non stiamo parlando di un fuoco qualunque ed il Talmud ci insegna che le fiamme avevano la forma di un leone e brillavano come raggi di sole (Yoma 21b). Secondo il Midrash questo fuoco ha bruciato ininterrottamente per 116 anni e non ha mai causato danni agli utensili sacri del Tempio o al legno dell’altare. Un fuoco naturale al di là della natura che era capace di bruciare, ma non incendiare, di consumare ciò che andava consumato, come la carne dei sacrifici, senza creare danni collaterali.
Un fuoco perpetuo che traducendo la Torà in italiano siamo portati a vedere come una fiamma che bruciava sull’altare, ”in esso”, ma che può anche essere visto come un fuoco che bruciava in “lui” cioè all’interno della persona del kohen. Un fuoco che quindi bruciava nel ruolo del kohen, bruciava all’interno della sua consapevolezza del ruolo sacro che aveva per se stesso e per il popolo ebraico, un fuoco che allo stesso tempo era identità viva, ininterrotta ed azione vitale. Un fuoco che significava la capacità di rinnovare quotidianamente il senso del sacrificio, della ritualità, facendo in modo che non diventasse mai uno sterile rito quotidiano, proprio perché il kohen aveva la consapevolezza del calore di quello che faceva e della luce brillante, Superiore, alla quale si riferiva.
Un fuco che brucia per 116 anni è il miglior antidoto per comprendere che al di là della precisione del rito esiste la nostra relazione con Dio che nel rito deve trovare il proprio spazio di espressione e non il proprio limite. Di Rav Pinhas Punturello

Shabbat Hagadol

E’ il Sabato che precede Pesach e si legge una haftarà speciale. L’origine del nome non è certa: forse significa “il Sabato del grande (miracolo)” oppure il Sabato in cui si va ad ascoltare il discorso del “grande” (nel senso del più colto) rabbino della Comunità.
Il motivo di questo nome deriva anche dal fatto che subito prima dell’uscita dall’Egitto, il 10 di Nissan, venne comandato al popolo d’Israele di prendere un agnello o un capretto da offrire come korban Pesach (sacrificio pasquale) la vigilia di Pesach (Shemot 12, 3-13).
L’uscita dall’Egitto avvenne la sera del 15 di Nissan che era un giovedì (Seder Olam, 5) e quindi il 10 di Nissan era Shabbat. Dopo aver preso gli agnelli o i capretti, gli ebrei li condussero nelle proprie abitazioni e li legarono al letto. Gli egiziani chiesero cosa stessero facendo e la risposta fu che Ha-Kadosh Baruch-Hu aveva comandato di offrirli come sacrificio. Sentendo che intendevano sacrificare il proprio dio, gli egiziani digrignarono i denti, ma non poterono far nulla. E per il fatto che venne loro miracolosamente impedito di reagire, chiamiamo lo Shabbat che precede Pesach, Shabbat Ha-Gadol (Tur 430, 1; Kol-Bo 47; Shibole’ Ha-Leket 205).
Di Michele Cogoi
“Metti passione nel cercare di cambiare il mondo in meglio”
Un aspetto interessante della nostra parashah riguarda il fuoco che ardeva nell’altare esterno del mishqan, il nostro mini tempio portatile, fuoco che non doveva mai spegnersi. Cosa implica questo fuoco riguardo al nostro io interiore? Parla delle nostre emozioni. Le nostre emozioni possono diventare impetuose, passionali (e questo rappresenta un plus) se vengono usate con saggezza; quindi non sono necessariamente dannose. Se le emozioni vengono guidate dalla mente, non sono cieche. Se invece sono cieche, possono certamente ferire (il fuoco può divorare), ma se vengono guidate dalla saggezza della mente allora il nostro io emozionale riesce a stabilire stati di vicinanza, di armonia, e a cambiare le cose attorno a noi in modo benefico. Dovremmo essere passionali, abbastanza passionali da riuscire a cambiare la società in meglio, a cambiare noi stessi per diventare individui migliori. Il fuoco interiore non deve mai spegnersi; Tuttavia dobbiamo essere capaci di controllare questa emozione e di conseguenza creare il bene, ma per questo abbiamo bisogno della bussola della saggezza. Non temete le emozioni, siate solamente saggi con le emozioni. Emozioni si con più intelligenza.
Questo Shabbat si chiama “Shabbat HaGadol”, ricordiamo il “grande Shabbat”, nel quale il popolo d ‘Israel fu allora testimone di grandi miracoli proprio durante lo Shabbat 10 Nissan, 4 giorni prima dell’uscita dall’ Egitto, nell’anno 2448, data dalla creazione del mondo.
Simy Elmaleh