Parashat Mishpatim

Parashat Mishpatim. La rivelazione del Sinai

Appunti di Parashà a cura di Lidia Calò
La grande ed epica esperienza della rivelazione sul Sinai attraverso la promulgazione dei Dieci Comandamenti costituisce, paradossalmente, un pericolo per il popolo ebraico e per l’uomo di fede in genere.

Il pericolo risiede nel fatto che quel momento elevato può essere interpretato come onnicomprensivo di tutti gli obblighi religiosi e morali, in poche parole l’uomo di fede potrebbe pensare che nei Dieci Comandamenti ci sia tutto quello che serva per seguire un percorso religiosamente e moralmente valido.
La parashà di Mishpatim nega totalmente questa ipotesi e questo approccio e proponendoci i dettagli di un comportamento morale e pratico afferma con forza che  per essere un uomo con una morale non basta osservare i Dieci Comandamenti, né tantomeno questa può essere la totalità degli obblighi religiosi dell’uomo ebreo.
La Vav che collega le due parashot, quella congiunzione grammaticale, è un segno di unione tra un giusto livello spirituale ed un corretto comportamento morale. Un comportamento che ha bisogno di rivolgersi ad un uomo libero e non schiavo. Se il popolo di Israele avesse ricevuto la Torà prima dell’uscita dall’Egitto, questo avrebbe rovinato il progetto divino, per il quale lo scopo della Torà coincide con quello della libertà. Lo scopo della libertà è, infatti, quello di aiutare l’uomo a raggiungere un livello di moralità in maniera autonoma. La Torà non è altro che una ricetta dell’Eterno, attraverso la quale, l’uomo raggiunge il proprio obbiettivo, diventando in questo modo degno della sua immagine e somiglianza di Dio.
La parashat di Mishpatim ci pone di fronte ad una serie di leggi collegate con la vita: tra l’uomo ed il suo prossimo, tra l’uomo e la società, tra l’uomo e Dio, cose che unite insieme sono la base della religione ebraica.
Non esiste nel Tanach un concetto teorico, astratto, capace di definire cosa sia la moralità. A differenza del concetto greco della moralità, che si accontenta di definire quali siano le caratteristiche necessarie per l’uomo di bene:  valenza, compassione e giustizia, l’ebraismo esige che ogni persona porti a termine alcune azioni che sono considerate come giuste per una condotta morale e che non si conformi semplicemente ad una descrizione in termini generali.
Il sistema delle leggi morali nell’ebraismo non richiede un allontanamento dalla vita attiva, né proibisce all’uomo di utilizzare i piaceri del mondo materiali, così come fanno altri credi religiosi.

Una delle principali conclusioni di questo sistema halachico-morale è che il monoteismo ha un significato più profondo di rappresentare la fede in un solo Dio. Il monoteismo biblico è il monoteismo etico. Nell’ebraismo, una religione monoteista, la relazione tra uomo e Dio si basa sul nostro comportamento etico, sulle nostre azioni. L’etica si trasforma in questo modo nel primo ponte di comunicazione con Dio. Il monoteismo si esprime attraverso un contatto tra l’uomo e Dio,  un contatto etico con Dio che passa per il mio prossimo.

Di Rav Pinhas Punturello