La Bocconi ebraica e i suoi rettori, dalla fondazione alle leggi razziali

di Anna Lesnevskaya (@alesnevskaya)

bocconi1Fin dai primi anni della fondazione dell’Università commerciale Luigi Bocconi, avvenuta nel 1902, gli studiosi di origine ebraica hanno contribuito a scrivere una pagina importante nella storia di uno dei più prestigiosi atenei milanesi. Questo contributo, ma anche gli anni delle leggi razziali e delle persecuzioni contro gli ebrei che hanno segnato anche la vita della Bocconi, è stato al centro dell’incontro “La Bocconi ebraica e i suoi rettori”, che ha aperto la mattinata degli eventi del festival Jewish in the City #150 in Piazza Sraffa. Così, in onore di uno dei suoi più importanti rettori, l’ebreo Angelo Sraffa, si intitola il luogo dove oggi sorge il campus universitario bocconiano.

“La Bocconi, fin dall’inizio, poteva prestarsi a uno scambio di persone di varie formazioni e provenienze, perché nasceva come Università che si occupava di scambi commerciali”, ha detto, introducendo l’incontro, Piergaetano Marchetti, professore emerito di Diritto commerciale. Anche oggi all’ateneo “si respira un clima di rispettoso pluralismo”, ha proseguito Marchetti. “Saper rispettare l’identità e l’origine è una ricchezza e un impegno quotidiano di tanti in Bocconi”, ha aggiunto l’ex presidente di Rcs, anche lui di madre ebrea (“Mio zio laureato in Bocconi fu catturato come azionista e morì a Mauthausen”, ha raccontato).

A raccontare il ruolo di quel grande rettore bocconiano che fu Angelo Sraffa è stato Marzio Romani, professore ordinario di Storia economica. Diventando rettore nel primo dopoguerra, nel 1917, Angelo Sraffa, tra i fondatori del moderno diritto commerciale italiano, continuò l’opera della riforma avviata dal primo rettore della Bocconi e suo amico, Leopoldo Sabbatini. Rinnovò quindi la didattica, cancellando corsi obsoleti. Aprì l’ateneo alla dimensione internazionale, attivando una partnership con la Fondazione Serena nella Gran Bretagna.

Per Sraffa, di origine sefardita pisana, Milano diventò la città d’adozione, ha raccontato nel breve excursus biografico la storica del diritto Annamaria Monti. Non fu solo il rettore della Bocconi, ma anche uno dei primi avvocati d’affari con studio in Via della Moscova 18.

Nel 1921 Sraffa represse duramente le manifestazioni degli ex combattenti della Prima guerra mondiale, scatenando le critiche del Popolo d’Italia, e diventando vittima di un’aggressione fascista all’ingresso della Bocconi. Le tensioni col regime proseguirono quando il rettore fu ripreso da Mussolini a causa di un articolo sul sistema creditizio italiano comparso sul Manchester Guardian e firmato dal figlio di Angelo Sraffa, Piero. Quest’ultimo, a sua volta, fu illustre economista, frequentatore degli ambienti socialisti milanesi e amico di Antonio Gramsci. Alla fine, per il bene dell’ateneo, quando le frizioni con il fascismo diventarono insostenibili, Angelo Sraffa lasciò l’incarico nel 1926. Morì nel 1937 nella sua villa di Rapallo, a un anno dall’entrata in vigore delle leggi razziali nel ’38.

Marzio Romani si è soffermato poi sulle figure dell’economista Gustavo Del Vecchio, rettore della Bocconi dal 1934 al 1938, riuscito a fuggire in Svizzera nel ’43 e rientrato poi in Italia per diventare un importante statista, e di Giorgio Mortara, titolare della cattedra di Statistica alla Statale e direttore dell’Istituto di statistica della Bocconi, espatriato in Brasile nel 1939 e tornato a Roma solo nel ’56.

“I conti di quello che hanno voluto dire le leggi razziali nel settore economico in Italia sono ancora da fare”, ha sostenuto l’economista e politico Piero Barucci nel suo intervento, facendo una panoramica degli economisti italiani e delle loro posizioni rispetto al regime fascista. Se si può parlare dell’ebreo Carlo Rosselli, l’assistente alla Bocconi, che poi fondò il movimento antifascista “Giustizia e Libertà” e morì per mano fascista in Francia nel ’37, “nella media non si può dire che gli economisti italiani ebrei erano antifascisti, anche se in realtà è un capitolo storico ancora da scrivere, con rigore e senza cedere alle tentazioni”.

A concludere l’incontro una bella testimonianza di Stefano Liebman, professore ordinario di Diritto del lavoro e Direttore della Scuola di Giurisprudenza, che ha parlato di suo padre, il giurista Enrico Tullio Liebman. Quest’ultimo, nato a Leopoli da un funzionario delle Assicurazioni Generali, fu voluto da Del Vecchio alla Bocconi, ma non poté mai entrarci a causa dell’opposizione del filosofo fascista Giovanni Gentile (a suo avviso la Bocconi stava diventando “un’università israelitica”). Liebman emigrò poi in America del Sud nel ’38 dove fondò la “Scuola processuale brasiliana”.