Ebrei a Milano: da 150 anni protagonisti della vita cittadina

di Roberto Zadik (RobertoZadik1)

Fiona Diwan
Fiona Diwan, direttore del Bollettino della Comunità Ebraica di Milano e del sito Mosaico, e Rony Hamaui, autore del libro “Ebrei a Milano. Due secoli di storia fra integrazione e discriminazione”

Mattinata ricca di stimoli e che nonostante la pioggia battente tutta la giornata è stata vivacizzata dal festival Jewish in the City #150 e dalle riflessioni sul passato, presente e futuro della Comunità ebraica milanese in occasione del suo 150esimo anniversario.

Fra gli appuntamenti di domenica 29 maggio, nel giardino della Rotonda della Besana, dopo i saluti istituzionali delle varie autorità presenti, la direttrice del Bollettino Fiona Diwan ha presentato il libro di Rony Hamaui Ebrei a Milano. Due secoli di storia fra integrazione e discriminazione (320 pagine, Il Mulino, costo 28 euro , introduzione di Gad Lerner) assieme all’autore e a Rav Elia Richetti che la giornalista ha definito “un testimone della storia di Milano e della Comunità come pochi altri”.

Un dibattito ricco di riflessioni, tematiche storiche, culturali e comunitarie in cui, oltre alla Comunità milanese, celebriamo, ha detto la Diwan, anche i “71 anni del Bollettino della Comunità che nasceva nel giugno del 1945, subito dopo la tragedia della Shoah come lista di persone, mariti, padri, mogli che cercavano i loro parenti e di rimettere in piedi il loro mondo privato e le loro radici ebraiche lascerete dopo la Seconda Guerra Mondiale”.

Il Bollettino, da 71 anni la voce della Comunità Ebraica di Milano
Qual è stata la storia della presenza ebraica a Milano e come sono nati i media ebraici del capoluogo lombardo? Quali sono stati gli elementi caratterizzanti e le criticità vissute dagli ebrei milanesi  e di cosa tratta il libro di Hamaui? Nella prima parte dell’incontro, Fiona Diwan ha raccontato la nascita del giornale comunitario che era “un elenco di nomi, di sopravvissuti e dei morti nei lager, che arrivavano in via Unione senza sapere una parola di italiano per ricominciare da zero”. In questi anni è cominciato un doloroso processo di ricostruzione  identitaria spinto dal bisogno di ricominciare e grazie a Gualtiero Morpurgo, a Raoul Elia e a Raffaele Cantoni, primo presidente della Comunità dopo la Shoah è nato questo giornale che “per settantun’anni ha documentato con passione, entusiasmo e partecipazione la storia e l’evoluzione di questa comunità, che ha avuto come suoi preziosi collaboratori nomi eccellenti come Arrigo Levi, Enrico De  Aglio e Natalia Aspesi, testimoniando nelle sue pagine sia i momenti gloriosi così come le fasi di crisi e di difficoltà della Comunità di Milano e i suoi dibattiti e le contrapposizioni all’interno e all’esterno di essa.”

Tracciando una sintetica e efficace storia del Bollettino, la direttrice ha parlato anche dei periodi critici per la testata e per la comunità ricordato la Guerra del 1967 e le difficoltà nel sostenere le ragioni di Israele con una certa parte della sinistra, la crisi col Governo Craxi e il caso Klinghofer quando un gruppo di terroristi palestinesi assaltò la nave Achille Lauro, gettando in mare senza pietà di Leon Klinghoffer, americano di religione ebraica e invalido e Craxi si mostrò costantemente favorevole ai palestinesi, o, ancora, nel 2000 con una serie di contrasti su Israele.

Molto importanti e di grande significato sono state, invece le tre visite dei Papi, Woytila, Ratzinger e Papa Francesco al Tempio Centrale di Roma che furono il consolidamento del cammino fondamentale di dialogo interreligioso avviato dal Rabbino Elia Kopciowski assieme al Cardinal Martini e a Rav Laras.

Il Bollettino ha dunque raccolto e documentato gli avvenimenti e gli stati d’animo del microcosmo ebraico mettendolo in relazione col macrocosmo italiano e milanese essendo lo specchio e il megafono di una comunità complessa, molto eterogenea e anomala nel panorama italiano come quella milanese che dalla sua nascita è sempre stata un crogiolo di culture e di etnie, con ebrei italiani e askenaziti, prima a cui si sono aggiunti dalla fine degli anni ’70 gruppi e famiglie di ebrei sefarditi provenienti dal bacino del Mediterraneo, dal Medio Oriente e dal Nordafrica. Come ha sottolineato la Diwan: “il Bollettino ha documentato e messo in luce i dibattiti comunitari che sono l’anima del Paese, riassunto importanti questioni identitarie su come essere al tempo stesso ebrei e italiani e la dialettica fra la parte più osservante e quella più laica e sganciata da problematiche religiose”. “Negli ultimi dieci anni” ha ricordato la giornalista “ha mostrato una vitalità senza precedenti e il Bollettino ha contributo a creare un tessuto connettivo fra il mondo ebraico e la realtà circostante milanese, fra la vita politica e economica della città e la Comunità ebraica”. A questo proposito” ha affermato “vorrei ringraziare pubblicamente Ester Moscati che da trent’anni lavora in questo giornale e conosce molto bene la realtà di questa comunità”.

Ebrei a Milano, 150 anni di storia
Ma qual è stata la storia e la genesi della comunità milanese? Su questo argomento si è espresso Rony Hamaui, Direttore Generale di Mediocredito  Italiano e Docente di Economia e Finanza all’Università Cattolica e autore del testo che la Diwan ha descritto come ” un excursus appassionante sulla storia della comunità ricco di aneddoti”. “Ho scritto il libro Ebrei a Milano. Due secoli di storia fra integrazione e discriminazione ha esordito Hamaui – per riconoscenza alla città e alla comunità, imparando molte cose che anche io stesso prima non sapevo. Sono arrivato dall’Egitto a 3 anni assieme ai miei genitori nel 1956 che erano anziani e non parlavano una parola di italiano e ci siamo integrati rapidamente con l’aiuto della Comunità. La scuola è stata un fattore di aggregazione fantastico e la città è stata da subito molto accogliente. Nello scrivere questo libro ho voluto mettere assieme tutti i vari frammenti delle mie memorie per dare all’esterno e ai nostri figli qualcosa da ricordare”.

“Nella tradizione ebraica – ha aggiunto il docente – ricordare è fondamentale e quando leggiamo nella Torah rievochiamo quello che hanno fatto i nostri padri, Abramo, Isacco e Giacobbe. Il ricordo ha un’importanza determinante e luoghi come il Cdec e il Memoriale della Shoah, lo dimostrano quotidianamente. Io penso che ognuno di noi abbia dei ricordi e delle esperienze straordinarie. Questo libro è la raccolta delle storie degli ebrei milanesi, presenti sul territorio da duecento anni in verità, ma ufficialmente registrati da 150 anni, successivamente all’Unità d’Italia”.

Notevole anche la testimonianza di Rav Richetti che con la sua preparazione e conoscenza rabbinica e della storia milanese ha collaborato alla realizzazione di questo volume. Ma come si sono integrati gli ebrei a Milano e perché hanno deciso di venire qui? Quali sono stati i loro punti di forza? Incalzati dalle domande della Diwan che dopo aver introdotto il dibattito ne è stata la moderatrice, i due relatori, Hamaui e Richetti si sono soffermati sul passato e sul presente della realtà ebraica milanese, esprimendo, soprattutto Hamaui, preoccupazione sulla situazione e sul visto calo demografico registrato negli ultimi anni. “Milano è sempre stata una città aperta dove si respirava un’aria di libertà e di dinamismo e molto accogliente verso le minoranze” ha sottolineato Hamaui segnalando storie di grande integrazione e cooperazione con la società e le autorità italiane da parte di due figure femminili di rilievo come la dottoressa Anna Kuliscioff  scappata dalle persecuzioni antiebraiche in Russia che si è affermata in campo medico e che forniva aiuto sanitario e psicologico ai suoi pazienti e la raffinata Margherita  Sarfatti, facoltosa ebrea veneziana che arrivata a Milano divenne protagonista della vita culturale della città. Sposata con l’avvocato Sarfatti, ebbe una turbolenta e controversa relazione con Benito Mussolini che si innamorò di lei, salvo poi rinnegarla e lasciarla quando divenne capo del regime fascista. Gli ebrei a Milano, sono stati da subito una presenza importante nella vita culturale e economica della città che nonostante le sofferenze della Shoah hanno saputo ricominciare con coraggio e determinazione.

Su questo tema, Rav Richetti ricorda la rinascita del mondo ebraico, l’arrivo dei sopravvissuti dai lager che spesso non sapevano la lingua, l’iniziale disorientamento dei tanti sfollati e scampati alle persecuzioni in vari punti del mondo, la combattività di coloro che senza mezzi decisero di venire qui e di formare una famiglia e i tanti matrimoni avvenuti in quei tempi. “Mio nonno, Rav Friedenthal, celebrò 386 matrimoni solo nel 1946: c’era tanta speranza e tanta voglia di ricominciare nonostante tutto”. Il Rabbino ha evidenziato la costante capacità di accoglienza del tessuto sociale milanese e la crescente eterogeneità della Comunità, non solo negli anni Quaranta, ma in tempi recenti, con l’arrivo degli ebrei persiani o ungheresi, che intonavano le recite e i canti di Purim col loro accento e questo ci faceva sorridere bonariamente”.

Dopo il passato e i media comunitari si è parlato anche della situazione presente e degli sviluppi futuri. Cos’è cambiato in questi anni e quali prospettive per gli anni che verranno? Tanti sono stati i mutamenti in questi 71 anni e su questo argomento Rav Richetti ha ricordato come “nel Dopoguerra gli ebrei milanesi non erano molto osservanti e la parte religiosa era in minoranza anche se c’era grande rispetto fra tutti i componenti e le opinioni. Oggi c’è una maggiore osservanza ma la comunità si sta sfaldando sotto altri aspetti e sta diminuendo la centralità della Comunità come organismo unitario mentre sono in aumento divisioni e frammentazioni”.

In tema di scenari del presente, Hamaui si è soffermato sulla sparizione di alcune comunità italiane un tempo gloriose come Livorno e sulla necessità di “non perdere l’attaccamento alla propria identità e il patrimonio umano e culturale che essa rappresenta. Oggi la gente fa meno figli per mancanza di lavoro e spesso si sposa con non ebrei. Non dobbiamo permettere che Milano scompaia, prima eravamo grandi e oggi siamo più piccoli e la storia può insegnare qualcosa di importante a tutti noi”.

Rav Richetti è stato leggermente più ottimista, sottolineando che “I numeri mi interessano relativamente anche se confermo che Milano non sia più il volano di un tempo. E’ fondamentale concentrarci sulla qualità della trasmissione della nostra tradizione ebraica e non sulla quantità numerica e la Torah ci insegna che Dio ci vuol bene non perché siamo tanti ma perché siamo pochi. Puntando sul fattore qualitativo possiamo tornare a essere un punto di forza per l’ebraismo italiano”.

In conclusione ha parlato anche Ferruccio De Bortoli, vicepresidente del Memoriale della Shoah, Presidente della Longanesi e al centro dei dibattiti della mattinata alla Besana. Il giornalista ha espresso la sua stima e la sua vicinanza verso la Comunità milanese ricordando quando da bambino “giocavo coi miei amichetti ebrei che vivevano qui vicino in via Pantano e in Largo Richini, eliminando qualsiasi barriera e pregiudizio”.