Memoriale alla Stazione Centrale

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Lunedì 17 settembre la firma. A Milano la convenzione dà l’avvio ufficiale ai lavori per il Memoriale della Shoah alla Stazione Centrale.
Abbiamo incontrato Liliana Picciotto, storica della Fondazione Cdec, per parlare del significato di questo progetto che vede coinvolte per la sua realizzazione enti e istituzioni diverse.

Quali saranno le caratteristiche peculilari del Memoriale di Milano?
Il progetto di memoriale della Shoah alla stazione centrale di Milano sottoscritto dai 9 soci fondatori: Ferrovie dello Stato, Comune di Milano, Provincia di Milano, Regione Lombardia, Comunità ebraica di Milano, Unione delle Comunità ebraiche italiane, Associazione Figli della Shoah, Fondazione CDEC (Centro di Documentazione ebraica contemporanea), Comunità di Sant’Egidio, ha, rispetto agli altri musei e memoriali sparsi in Europa, in Israele e negli Stati Uniti, una valenza tutta particolare poiché sorge non solo in una città come Milano che ha visto, tra il 1943 e il 1945 centinaia di arresti di ebrei, ma nel luogo stesso teatro delle deportazioni. Non avrà quindi bisogno di vero e proprio percorso espositivo, ma sarà esso stesso una struttura espositiva ed evocativa.
Naturalmente, si dovrà sviluppare al suo interno, attraverso la memoria del genocidio degli ebrei, una attività didattica tesa ad un discorso universale di condanna dell’intolleranza e dei razzismi e una scuola di moderno concetto di cittadinanza globale.

La Shoah quindi come oggetto non solo di memoria ma anche di studio e di insegnamento?
Fino agli Anni Ottanta nessuno si sognava di includere nei programmi di insegnamento la Shoah, ora c’è invece una esplosione di interesse per questo tema.
Il genocidio degli ebrei occupa infatti un posto centrale nella storiografia contemporanea, con centinaia di convegni dedicati, pubblicazioni di alto livello, ricerche approfondite. Ciò che viene prodotto dalla comunità degli storici e dagli ambienti che elaborano il sapere viene poi divulgato dai facilitatori e diventa, tramite luoghi come il memoriale di Milano, occasione pedagogica per la gioventù.


C’è qualcosa di nuovo che si deve dire della Shoah, qualche messaggio che non è ancora stato recepito appieno?

Sì, il rapporto tra storia degli ebrei e storia nazionale, mettendo la prima in prospettiva della seconda. Va dato il giusto peso ad una vicenda ancora largamente sconosciuta, come quella della privazione dei diritti per i cittadini ebrei, la loro marginalizzazione sociale, economica, politica, la loro consegna nelle mani dei carnefici.


Sono diversi i momenti e le forme che contribuiscono a tenere viva la memoria della Shoah. Cosa potrà dare in più il Memoriale di Milano?

La memoria pubblica è composta da celebrazioni, ricorrenze, rappresentazioni teatrali, presentazioni di libri, concerti, viaggi-pellegrinaggio, luoghi-testimonianza, premi letterari, effigie su francobolli e banconote. Sono tutte forme di cadenza del tempo collocate nello spazio della memoria, che così si struttura attraverso di esse. Un museo o un memoriale non è che una di queste forme, anche se forse la più impegnativa a livello di investimento economico, ma appunto come investimento va vista e non come spesa. Ne risulterà una migliore consapevolezza civile e una migliore predisposizione da parte delle persone ad ascoltare “l’altro”, a conoscerlo e a capirlo.


Nella tua esperienza di storica, quali sono gli aspetti della tragedia nazifascista che vanno ancora approfonditi?

Usare la storia della Shoah come terreno di incontro della rappresentazione della storia del Novecento è un uso positivo, a patto che la ricerca scientifica sulla Shoah continui a essere praticata: è indispensabile sapere chi erano le vittime, a che ceto sociale appartenevano, quali erano i loro valori civili di riferimento, che grado di integrazione con la società avevano raggiunto, se c’era o non c’era ostilità sociale e psicologica nei loro confronti, quale era l’immagine che il resto della società aveva degli ebrei, la cronologia della persecuzione, da chi venne messa in atto e altro ancora.
Solo con la ricerca abbiamo potuto appurare che la maggior parte degli arresti fu effettuata da polizia regolare, o da carabinieri, che la decisione di arrestare tutti gli ebrei in Italia venne dal nostro Ministero degli Interni, che gli ordini partivano dalle questure, che tutto l’apparato burocratico italiano fu coinvolto.


Che cos’è, infine, la memoria: mero ricordo o azione civile?

In una esposizione sulla Shoah, la memoria deve essere un’esperienza che cresce dentro gli animi, una sorta di cammino verso la coscienza, deve insegnare a vedere più nel profondo a conoscere l’uomo in quanto tale con le sue possibilità di fare della propria vita qualcosa che fa progredire la civiltà o che l’arresta e la fa regredire.

a cura di Ester Moscati

L’incontro per la firma
L’Unione delle Comunità ebraiche italiane e Comunità ebraica di Milano in
prima fila nell’impegno per il Memoriale della Shoah alla Stazione Centrale
di Milano.
Alla firma dell’intesa di stamane, con la quale prende il via, nel cuore
dello scalo ferroviario milanese, la realizzazione di un perenne luogo di
memoria, studio e meditazione proprio lì dove migliaia di deportati furono
avviati verso i campi di sterminio, hanno partecipato i massimi rappresentanti
delle realtà ebraiche italiane assieme a Ferrovie dello Stato, Comune di
Milano, Provincia di Milano, Regione Lombardia, Associazione Figli della
Shoah, Fondazione Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea e Comunità
di Sant’Egidio.
“L’importanza del Memoriale”, ha affermato il presidente dell’Unione
delle Comunità ebraiche Renzo Gattegna “è insita nella sua diversità
rispetto ai Monumenti già esistenti o ai Musei della Shoah in corso di
realizzazione. Il Memoriale sarà sempre un pezzo autentico della memoria
storica, un documento che non potrà più scomparire, una prova salvata dal pericolo della distruzione”.

“Questo luogo”, ha aggiunto Gattegna “questa Stazione Centrale ospitò per mesi, contemporaneamente il dinamismo della vita e il buio della morte. Separati solo dal sottile diaframma di un muro che rimase impenetrabile. Il Memoriale, dopo oltre 60 anni, rompe definitivamente quel silenzio e apre una finestra sul passato”.
“I promotori ed i sostenitori di questo progetto”, ha ancora affermato il presidente dell’Ucei “sono veramente rappresentativi di tutte le componenti della società italiana, ma va ricordato che l’idea originaria nacque da un rapporto speciale e dal comune sentire di due associazioni, una ebraica, i Figli della Shoah, e una cattolica, la Comunità di Sant’Egidio. A queste si affiancò subito il Centro di documentazione ebraica contemporanea di Milano, che ha contribuito all’impianto storico del progetto. Infine è giunto il fondamentale apporto delle Ferrovie dello Stato che, uscendo dalla loro funzione istituzionale e abituale, hanno assunto un ruolo eccezionale, forse unico, di promozione culturale”.

“Questo luogo del disonore”, ha aggiunto il presidente della Comunità ebraica di Milano Leone Soued “questo luogo di lutto e deportazione che fece da scenario al tentativo di cancellare la comunità ebraica milanese, diviene oggi la casa dell’onore e dell’estrema difesa dei valori di pacifica convivenza che contrassegnano ogni società progredita. Oggi che i temi dell’integrazione, della tolleranza e della multiculturalità si fanno determinanti per affrontare il futuro del nostro Paese e soprattutto della nostra città di Milano, gli ebrei milanesi continuano a costituire una componente insostituibile nella vita della metropoli”.
“Questo straordinario memoriale – ha concluso Soued – sarà un centro di vita, di confronto e di educazione destinato a crescere in una società dove la comunità ebraica continua a esistere e a costruire. Continua a offrire il proprio contributo di valori e di esperienze alla vita e alla crescita della città”.