Book Pride 2017. Conferenza sullo straniero nella tradizione ebraica

di Paolo Castellano

La locandina dell'evento del 26 marzo
La locandina dell’evento del 26 marzo

Il 26 marzo presso l’Auditorium Mudec di Milano si è svolto l’incontro intitolato Lo straniero nella Torà e nel Talmud organizzato da Shulim Vogelmann, editore di Giuntina in occasione del festival letterario Book Pride 2017. Sono intervenuti Rav Roberto Della Rocca e il saggista e professore del Politecnico di Milano Stefano Levi Della Torre.

Dopo una prima introduzione di Vogelmann, ha preso la parola Rav Della Rocca che ha spiegato le valenze del termine “straniero” nei testi sacri: «Le fonti ebraiche sono numerosissime sullo straniero. Il termine corrispettivo in ebraico ben-nekhàr si può tradurre come “colui che abita in un posto”, comprendiamo che la parola non indica un’occupazione ma si fa riferimento ad abitanti estemporanei. Il luogo che abito è temporaneo. La terra infatti non è degli uomini ma è di D-o. Ashem infatti ha dato agli uomini una missione specifica e ciò che raccogliamo in questo mondo è solo un prestito.

Nella Bibbia il termine “straniero” lo si trova 36 volte e inoltre il testo sacro specifica che tutti noi dobbiamo “amare lo straniero”. È presente questa indicazione perché lo straniero ha la necessità di essere adottato dato che ha perso tutto. Ricordiamo inoltre che “non ci sarà festa, se al tuo tavolo non c’è un forestiero”».

Rav Della Rocca ha poi  dichiarato che la teologia cristiana antiebraica ha coniato il termine di “ebreo errante” facendo intendere che per loro gli ebrei fossero condannati a vagare per il mondo intero. Questa convinzione è sbagliata perché tale peculiarità non è una specifica caratteristica del popolo ebraico ma rappresenta la condizione umana in generale. Come dice il salmo 119 – “Straniero io sono sulla terra” – tutto il genere umano è forestiero.

«Sin dalle Origini, l’uomo è in cerca di un centro e questo è indubbiamente un sintomo di maturità. Però quando un uomo considera se stesso o la propria nazione come centro dell’universo commette una sorta di idolatria di sé stesso. La storia del popolo ebraico è stata uno storia molto decentrata: c’è stato un esilio non solo geografico. Il verbo assimilare ha valenze diverse a seconda di come lo uso; se lo utilizzo all’attivo ciò che assimilo diventa parte di me stesso; mentre come riflessivo, l’assimilarsi a qualcosa significa diventare l’identica cosa a ciò a cui mi assimilo. Naturalmente è una differenza molto importante. L’identità ebraica è un aspetto molto complicato. A noi ebrei spesso viene chiesto da che parte siamo. Con tale domanda s’insinua l’accusa di doppia lealtà che è solamente un’etichetta preconfezionata».

Rav Della Rocca ha terminato il suo discorso affermando che si può essere cittadini leali e allo stesso tempo si può essere portatori di una cultura diversa. Una minoranza come quella ebraica rappresenta perciò un arricchimento che porta grandi stimoli culturali ad una società. «Gli ebrei hanno sempre lottato affinché ci fossero culture di minoranza: la kippah e lo shabbat non tolgono nulla alla società», ha aggiunto il Rav.

Dopo il primo intervento di Rav Della Rocca, ha preso la parola lo scrittore Stefano Levi Della Torre. Quest’ultimo ha dato inizio al suo contributo analizzano un versetto dell’Esodo (23.9): «“Tratterai bene lo straniero perché conosci bene lo stato d’animo dello straniero perché in Egitto sei stato straniero”, questo versetto si rivolge ad un gruppo umano insediato e chiede di provare empatia per lo straniero.  L’empatia viene elaborata sulla base di una memoria tramandata. Il popolo ebraico ha coscienza di essere una minoranza: si è formato in mezzo a due grandi imperi e fu portatore di una nuova concezione del divino rispetto alla maggioranza”. Da questo versetto però emerge la responsabilità di chi è insediato ovvero quella di ripercorrere la propria memoria. L’insediato è in maggioranza mentre il non insediato è sempre in minoranza.
“Ci sono due modi per affrontare la minoranza – continua Levi Della Torre -: farci i conti dialogando o scacciarla sentendola come una minaccia. Allora possiamo dire che c’è una responsabilità di chi detiene il potere. Essere insediato porta dei difetti e l’antidoto è la memoria di sé stessi. Tutti noi siamo stranieri dentro noi stessi. Quando siamo bambini nasciamo in un Paese straniero, non essere accolti per noi è la morte, non imparare la lingua ci esclude e non ci permette di essere autosufficienti. In questo versetto ci si rivolge al debole e al forte. C’è necessità di mettersi nei panni altrui per un motivo direttamente umano ed etico».

Levi Della Torre ha concluso il suo intervento dichiarando che il concetto di maggioranza oggi è stato messo in crisi dalla globalizzazione. Di fronte al mondo intero ci sentiamo una minoranza e alcuni hanno reagito a questo timore attraverso il sovranismo e il nazionalismo. Altri invece hanno utilizzato il trascendente per combattere questo spaesamento.

«Nella Torah dunque è presente questa intensa dialettica tra maggioranza e minoranza. Le indicazioni che troviamo nel testo religioso sono di un’attualità travolgente nella nostra società», ha concluso.