Una Sinagoga cosmopolita: quando il mondo diventa famiglia

Ebraismo

di Marina Gersony

▶ Viaggio nelle sinagoghe di Milano 3a puntata

Il Centro Enzo e Esther Modena, per tutti il “Tenca”

Da più di vent’anni, è un Tempio di frontiera. Di rito sefardita orientale, riunisce italiani, tripolini, siriani, egiziani, russi, polacchi, americani, canadesi… Lontano dal quartiere della Scuola ebraica, è una alternativa accogliente, conviviale e poliedrica, che sa ricevere turisti e uomini d’affari, insegnare, avvicinare all’Ebraismo e tramandare storie e tradizioni. Soprattutto ai bambini

 

Incastonato in una zona strategica della città, tra vie del lusso, Piazza della Repubblica e Stazione Centrale, il “Tenca”, con Sinagoga e Talmud Torah, da oltre vent’anni è il punto di riferimento dell’ebraismo milanese, diasporico e internazionale di quartiere e non solo. In questa zona vitale e produttiva, pulsa la Milano patinata e cosmopolita della buona borghesia meneghina e dei businessmen di passaggio. Il Centro Enzo ed Esther Modena è stato fondato nel 1980 da Rav Avraham e Rivki Hazan insieme a Bruno Modena in un appartamento di via Soperga, come Sinagoga per gli ebrei della zona. In seguito è stato trasferito in via Tenca 10 ed è diventato per tutti il “Tenca” tout court. Commercianti all’ingrosso, ristoranti alla moda, botteghe etniche, negozi di fumetti introvabili e quartieri signorili alternati a case di ringhiera della Vecchia Milano, tutto ruota intorno a quest’area melting pot a ridosso di Corso Buenos Aires, arteria del commercio e crocevia di popoli e culture: via Turati, piazza della Repubblica, via Vittor Pisani, viale Tunisia, viale Vittorio Veneto, via Tadino, via Boscovich e non ultima via Carlo Tenca, dedicata all’omonimo letterato e patriota italiano, animatore del salotto della contessa Clara Maffei del tempo che fu.

Tempio di frontiera, di rito sefardita orientale, raccoglie italiani, tripolini, siriani, egiziani, russi, polacchi, americani e canadesi che non gravitano intorno all’area “Soderini”, dove è dislocata la maggior parte delle schul cittadine. Qui, nella Bajit ha’Elohjm, nella casa del Signore dove si respira la Shekhinah, i fedeli sperimentano la gioia di ritrovarsi in uno spazio sacro, esclusivo e sapienziale. Si tratta di un appartamento sobrio e spazioso che ha visto passare generazioni di miŝpahah stanziali e di moderne tribù in transito. Del resto, chi lo sa, un ebreo milanese tipico forse non esiste nemmeno e probabilmente nessun tempio in città ha saputo mantenere la fedeltà a un rito antico, cogliendo invece le anime ebraiche più poliedriche e sfaccettate.

«Sono sempre più numerosi i turisti e i businessmen che vengono nel nostro tempio – osserva Rav Menachem Mendel Kaplan, guida spirituale del Tenca e autorevole insegnante di Torà -. L’Expo ha dato un forte impulso alla città e anche il nostro centro ne ha beneficiato. A differenza della maggior parte dei templi a Milano, grazie alla sua posizione centrale, il nostro è facilmente raggiungibile da turisti e uomini di affari, circa il trenta per cento dei nostri frequentatori di Shabbat». Nato a Seattle, Washington, nel 1976, dopo essersi distinto per gli studi in Inghilterra, Stati Uniti, Canada e Australia, Rav Kaplan è stato ordinato rabbino presso il Rabbinical College di Melbourne. Esperto nell’assistenza alle aziende lungo tutto il processo di certificazione kosher, dal 2006 guida il Tenca affiancato dall’affabile e dinamica moglie Chanci Kaplan Hazan. La giovane coppia ha sei figli e fa parte dei Chabad Lubavitch, la corrente ultra-ortodossa chassidica che si distingue anche per l’apertura verso gli ebrei non osservanti. «Mio marito ed io siamo degli shluchim – spiega la Rabbanit con un sorriso –. Siamo uniti ad affrontare il mondo. La nostra missione è aiutare gli ebrei a scoprire il loro ebraismo».
Oggi, con i suoi membri, la Sinagoga forma una grande famiglia che condivide ogni occasione: le cene del venerdì sera, la mascherata di Purim, il seder di Pesach e il settimanale Kiddush che segue le preghiere dello Shabbat, preparato dalle signore della sinagoga.

C’è da chiedersi come Rav Kaplan, rabbino americano-ashkenazita, riesca a destreggiarsi nella guida di un tempio frequentato soprattutto da ebrei spagnoli-mediorientali di rito sefardita e da fedeli di rito italiano. «Indubbiamente all’inizio per me si trattava di una situazione particolare – conviene il Rav, maestro molto amato e rispettato dai suoi fedeli -. Tuttavia l’idea prioritaria era di riempire uno spazio vuoto e di pensare soprattutto alle esigenze della Comunità. È stata un’esperienza che mi ha arricchito e mi ha consentito di capire alcuni aspetti dell’ebraismo che non conoscevo. Non dobbiamo dimenticare che all’interno del mondo sefardita esistono molte differenze: la ritualità di un libanese è diversa da quella di un tripolino. Nonostante qualche nostalgia occasionale, la mia identità americana-ashkenanzita convive molto bene e va di pari passo con la realtà italo-sefardita, a sua volta frammentata al suo interno: tutto questo è arricchente e stimolante. Da quando ho assunto l’incarico di portare avanti questo tempio, provo sempre una grande soddisfazione…».

Il Beit Haknesset di via Carlo Tenca non è tuttavia soltanto un luogo di culto dove assistere ai riti, studiare, seguire gli insegnamenti e la meditazione della Legge. Il coinvolgimento emotivo convive con il rigore della ritualità: le funzioni sono particolarmente sentite, come quella officiata sotto la sapiente guida di Giorgio Haioun, hazan instancabile; o come la liturgia sefardita cantata durante le feste da tutto il kahal con autentico trasporto. La vita religiosa e rituale di ogni frequentatore è seguita con affetto e partecipazione per tutto il ciclo della vita, dalla nascita alla morte. Aperto di Shabbos e festività, tra le attività del centro (Bar e Bat Mitzvah, programmi di sensibilizzazione alle feste, conferenze, Mezuzah e Tefillin checking, cucina koshering, organizzazione di Shabbaton, preparazione al matrimonio e studi individuali) si distinguono in particolare le lezioni destinate alle donne, al benessere e allo spazio riservato ai bambini.

Cosa aggiungere a proposito di questa Sinagoga, ricca di aneddoti, fatti e suggestioni? Un Tempio, dove sono passati numerosi personaggi interessanti e più di una neshamà splendida e indimenticabile? «Il Tenca è una forma di bar spirituale, un punto di incontro di persone che nella vita quotidiana non si avrebbe occasione di incontrare – riflette Luciano Bassani, noto medico fisiatra milanese – . Ci sarebbero molti aneddoti da raccontare. Per esempio la storia di chi è riuscito a fuggire dalla Libia dopo essere stato incarcerato e torturato nelle prigioni di Gheddafi. Si tratta di un uomo coraggioso e arguto che ha saputo conquistare i detenuti e le guardie del carcere diventando una sorta di eroe. Mi è capitato di ascoltare questa e altre storie di personaggi incredibili che sono passati qui dal Tenca. Difficilmente avrei potuto incontrarli nella vita di tutti i giorni. Mi viene in mente anche il Signor Viktor Machnouz che, nonostante la veneranda età, sa recitare tutta la tefillah di Kippur a memoria, una melodia antica e incantevole che fa parte del nostro Tempio. Un Tempio unico nel suo genere dove si respira una grande emunà, una grande spiritualità».
Un comitato di signore molto dedito e attivo tiene vivo il Tempio insieme alla Rabbanit. Da Yardena Laras a Willis Meghnagi, Tania Guetta, Sara Modena e tante altre amiche, la vita fluisce vivace in queste stanze ricche di storia e di memoria. «È un Tempio da noi sostenuto e curato con amore, visione e accoglienza – rileva con orgoglio Yardena Laras –. È come se fosse la nostra bait, la nostra casa; un luogo sacro dove ci sosteniamo reciprocamente condividendo gioie e dolori in modo sentito. Non solo: questo Tempio è noto per i suoi kiddushim più generosi». Quando si parla del Tenca, rammenta Tania Guetta, «non si può non menzionare Nadine ed Emanuele Funaro, il cui contributo all’avviamento della Sinagoga è stato fondamentale. Tanti sono i ricordi di quando Nadine organizzava pranzi gratuiti giornalieri per permettere a chi lavorava in zona di mangiare cibo kasher, preparato con sapienza dalla scomparsa cuoca Annamaria». Aggiunge Willis Megnaghi: «qui troviamo sempre uno straordinario clima di familiarità. Anche se ho cambiato zona, resto sempre molto legata a questo Tempio, così come lo sono mio figlio e le mie nipoti. È un Tempio povero ma ricco di amore, tradizione, cibo e accoglienza. È una Sinagoga cosmopolita con l’obiettivo di creare affetti, amicizie e tanta solidarietà». Osserva a sua volta Susanna Zevi, nota agente letteraria: «Frequento volentieri il Tempio di via Tenca perché è un luogo semplice e accogliente dove ascoltare il Rabbino Mendel Kaplan e il mio maestro Haim Baharier». Ogni sabato, in occasione di Minhà, Haim Baharier, pensatore e studioso di ermeneutica biblica, tiene delle preziose e affollate elezioni di approfondimento su vari temi.

Finanziato da alcune famiglie, il Tenca è rinomato soprattutto per pranzi, cene e le tavolate magnificamente imbandite in un clima festoso e solenne. «Il cibo è importantissimo e aggregante, unisce le persone – spiega la Rabbanit –. Quando lo stomaco è soddisfatto, anche l’animo è tranquillo e disposto a dialogare con D-o e ad ascoltarlo. Non a caso le lezioni di challot riscuotono sempre molto successo. Il cibo è uno strumento educativo sostanziale. Queste lezioni sono un vero bestseller». E sono effettivamente divertenti e istruttivi questi incontri in cui s’impara a fare challah e mitzvà. Oltre agli ingredienti, anche la forma può avere i suoi significati simbolici, come la challah di Rosh haShanà, che viene preparata in forma rotonda per raffigurare la circolarità dell’anno e della vita…
Oltre al cibo, inteso sia come sostentamento per il corpo a livello individuale sia come nutrimento di Am Israel a livello collettivo, anche la consolidata “Lezione del Mercoledì” è l’occasione per studiare la parashà settimanale ascoltando gli insegnamenti di Rivki Hazan. «Da anni sono lezioni molto amate e seguite con grande interesse da un gruppo affezionato di signore», racconta Rivki, moglie di Rav Avraham Hazan, oggi rabbino della sinagoga ashkenazita di via Cellini. «La peculiarità del Tenca è di aver saputo creare fin dall’inizio un clima molto ospitale, migliorare la qualità della vita e avvicinare anche quegli ebrei che si sono allontanati dalla fede e dalla tradizione per la quale nutrono un sentimento di nostalgia e di forte attrazione. Di fatto questo Tempio ha formato almeno due generazioni di ebrei osservanti, grazie alla sua atmosfera famigliare, cordiale e inclusiva», afferma la morà Hazan.
Tempio cosmopolita, Tempio miŝpahah, Tempio di passaggio, Tempio di frontiera…, ognuno ha una sua definizione per questo amatissimo luogo di culto e di fratellanza/sorellanza. «Io lo chiamo il Tempio boutique: è piccolo ma c’è tutto quello che serve, dal Kiddush, ai programmi per bambini; è unico nel suo genere. Qui tutti lavorano e danno il loro contributo, ognuno si sente responsabile e ci tiene a questo spazio – sintetizza Chanci Kaplan -. Ma potrei definirlo anche Tempio trampolino, perché da qui sono passate persone che, da poco osservanti, sono cresciute nell’ebraismo e hanno fatto aliyah, mentre altre ancora si sono trasferite in altre zone della città e sono diventate osservanti».

Oltre a tutte queste definizioni, il Tenca merita indubbiamente l’appellativo di Tempio dei bambini. In questo delizioso Kindergarten ebraico, i piccoli hanno a disposizione un’area funzionale che li accoglie a trecentosessanta gradi. «La zona a loro destinata è stata rinnovata – racconta Chanci -. È uno spazio che ha preso l’avvio una decina di anni fa. Abbiamo una piccola biblioteca su temi ebraici e una serie di attività destinate ai piccoli. Qui giocano, pregano, sono accuditi, sono coinvolti nelle feste e assorbono i nostri valori e principi. Sono i muri che parlano, l’educazione avviene in modo naturale, respirando quest’atmosfera».
Vero è che l’educazione inizia da bambini, concetto condiviso anche dalla psicologia moderna e che generazioni di donne ebree hanno già messo in pratica nel corso dei secoli. Come dire, l’educazione ebraica, ovvero il chinukh, comincia quando s’imparano i canti a memoria… «L’anno scorso abbiamo ideato un progetto in memoria del nonno Hazan che era sempre molto presente nelle loro vite – prosegue la Rabbanit –. Abbiamo realizzato un programma che abbiamo chiamato “I Giovani Chef” e i bambini erano entusiasti. Per il mese della pioggia hanno preparato i cupcakes colorati e, in occasione delle altre feste, i bomboloni, i fiori a base di frutta, le Orecchie di Haman e altre prelibatezze. I bambini adorano le feste. Il Kiddush per esempio è un momento sempre molto bello. Ogni settimana tutti aiutano, anche i bambini, così imparano le tradizioni. In queste occasioni si sente tutto il popolo ebraico unito».
Conclude Rav Kaplan: «nell’ebraismo bisogna trovare il senso della fede oltre al senso economico e materiale. La Torà dà il significato della vita, così come le celebrazioni e le ripetizioni di una certa ritualità. Sukkot per esempio celebra la gioia. Ma la gioia non consiste soltanto nell’avere e nell’ottenere beni materiali, è molto di più. Bisogna spiegare ai bambini e ai ragazzi il senso della propria esistenza secondo l’ebraismo. Per questo l’educazione è fondamentale fin dalla più tenera età».

 

Foto: Serena e Davide Sutton – Queen photo