Safran, il Rabbino Capo di Romania che salvò gli ebrei del suo Paese dalla Shoah

Ebraismo

di Roberto Zadik

safran-alexandru-okDue giorni, il 26 e il 27 gennaio, dedicati al grande Rabbino, pensatore e coraggioso difensore degli ebrei del suo Paese e precursore del dialogo ebraico-cristiano, Rav Alexandre Safran, una figura umana e religiosa di assoluto spessore e attualità, dieci anni dopo la sua morte, a 96 anni nel 2006.

L’importante convegno si è tenuto presso la Sala Napoleonica di via Sant’Antonio 12, nei pressi dell’Università degli Studi di Milano e ha coinvolto una serie di importanti relatori e parenti di Safran, come sua figlia Esther Starobinski Safran. Introdotti da Silvio Ferrari, docente universitario della Statale e dal direttore del Cdec Michele Sarfatti, i relatori, fra questi anche il Rabbino Capo, Rav Alfonso Arbib hanno omaggiato il personaggio intenso e coraggioso di Safran ricordando le atrocità della Shoah in Romania e dello spietato dittatore Antonescu.

Nella sua introduzione Sarfatti ha evidenziato alcune tappe importanti della vita di Safran che “a 30 anni era già Rabbino Capo della sua città in anni particolarmente difficili per gli ebrei rumeni, successivamente alla Prima legge antisemita a causa della quale a molti di loro venne revocata la cittadinanza. Nonostante questo riuscì a proteggere il popolo ebraico e a battersi contro i totalitarismi.”

Organizzata dall’Università Statale, dal prestigioso Centro di Judaica Goren Goldstein, presente la presidente Micaela Goren Goldstein figlia del fondatore Avraham Goren Goldstein, “un centro, specializzato da vent’anni nella promozione della cultura ebraica con grandi risultati” come ha sottolineato Ferrari e dall’Università Teologica di Lugano, l’incontro ha alternato una serie di interventi e testimonianze. Nell’ultima parte della giornata di martedi 26 gennaio, hanno parlato Rav Arbib, la figlia di Safran e Rav Ariel Messas ha ricordato l’amicizia fra suo padre, David e suo nonno Chalom e Safran introducendo un emozionante video “La Shoah, un temps au delà du temps” (La Shoah un tempo al di là dei tempi) che ha riassunto la vita e il pensiero molto spirituale di Safran sugli orrori dell’Olocausto nazista e alcuni suoi preziosi insegnamenti. Dopo essere stato dimenticato per tanti anni e sconosciuto ai più, ora la sua figura versatile, spirituale e coraggiosa, che salvò 11mila ebrei dai lager e attualmente a lui vengono dedicate Piazze e strade, come accaduto a Bucarest recentemente.

Una giornata, dunque, molto intensa quella di martedì 26 gennaio, in cui i relatori hanno ricordato diversi aspetti della vita e del personaggio di Safran, fondamentale sia per il pensiero ebraico contemporaneo che per il mondo esterno e non ebraico e per i suoi rapporti con preti, vescovi e figure di punta del clero che lo aiutarono nella sua complessa missione di proteggere e far espatriare più ebrei possibili. Come  diceva il celebre film di Spielberg “La lista di Schindler” “Chi salva una vita salva il mondo intero” (citazione dal Talmud) e fu quello che questo rabbino riuscì a fare fra il 1940 e il 1944 e che poi intraprese varie battaglie, prima col nazismo e la dittatura di Antonescu e poi con il comunismo, in Romania e in altre nazioni europee dove andò a vivere. In quale maniera? Safran mobilitò la Chiesa, scrisse a importanti arcivescovi come il patriarca Nicodim e assieme a diversi dirigenti e uomini di Stato riuscirono a fermare “la soluzione finale” in Romania impedendo che gli ebrei romeni venissero consegnati da Antonescu ai nazisti. Tanti gli episodi eroici e straordinari della sua vita, come la sospensione delle deportazioni fra il 1942 e la fine del conflitto quando attraverso il potente nunzio apostolico Nato il 12 settembre 1910 nella cittadina romena di Buchau, a riassumere la vita di Safran, ci ha pensato il professor Carol Jantu, docente di Storia Contemporanea all’Università di Montpellier e Direttore della Scuola di Studi ebraici.   “Era un ragazzo prodigioso, figlio dio una grande autorità halakhica del suo Paese. Divenne presto il segretario di fiducia di suo padre e cominciò i suoi studi religiosi molto giovane. Andò a Vienna e ottenne un dottorato universitario discutendo di sionismo, e intraprendendo seminari rabbinici e studi di grande valore” ha ricordato Jantu. Rav Safran ebbe grandi contatti con scrittori e intellettuali ebrei di rilievo come lo scrittore e saggista Martin Buber e il poeta Bialik che divennero suoi amici così come Sigmund Freud e dopo la morte di suo padre, a 72 anni, ha fatto sapere Jantu “è diventato Rabbino Capo della sua città, era un eccezionale conferenziere e scrisse moltissimi articoli di filosofia, psicanalisi e teologia, soffermandosi sui personaggi biblici e sulla loro personalità, da Balak a Bilam alla Regina Ester che vennero pubblicati su autorevoli riviste e giornali. Nel 1936 si sposò con la moglie Sarah ed ebbe due figli, Avinoam e Ester e continuò le sue battaglie con impegno e dedizione”.

Definito all’unanimità dei relatori, un esempio “di resistenza spirituale” e di amore per il prossimo, Rav Safran, rappresentò un ponte fra ebraismo religioso e laico, fra mondo ebraico e cultura cristiana. Egli seppe battersi contro l’antisemitismo rumeno e europeo sia durante gli anni Quaranta, dove si oppose con tutte le sue forze al Pogrom del 1941 e alle leggi antisemite di Antonescu che successivamente nella difesa degli ebrei russi e di Israele, specialmente durante fasi di tensioni cruciali come la Guerra dei Sei Giorni, del 1967. Interessanti sono stati anche gli interventi di Felice Waldman e del professor Alexander Florin Plato che più che soffermarsi su Safran ha analizzato il rapporto fra Storia e Memoria nel suo Paese. Plato ha analizzato la lunga dimenticanza della Shoah in Romania fino al 1949 e come la Memoria sia complessa e difficile da affrontare per stati come il suo che fino agli anni ’90 cercò di nascondere quanto accaduto agli ebrei locali. Lo studioso ha messo in luce come dal 1989, dopo la caduta del Muro di Berlino, ci fu una lenta riscoperta e presa di coscienza di quanto avvenne ma fu molto complesso per la popolazione accettare che la concezione eroica della loro storia instillata dal regime comunista fosse solo propaganda. Notevole anche il discorso del Rabbino Capo, Rav Alfonso Arbib che è partito citando la parasha di Bechaalotecha. In quel brano di Torah, Mosè sta affrontando una delle consuete proteste del popolo ebraico nel deserto e Dio gli dice che dovrà occuparsi degli ebrei come una madre tiene in  braccio il suo bambino. Così nomina settanta uomini saggi che li terranno sotto controllo e li consiglieranno e lui assieme a loro si sacrificherà per salvare il popolo dall’Egitto del Faraone. Ecco Safran è stato una persona che ha scelto di sacrificarsi per gli altri” ha sottolineato Rav Arbib. “Ha salvato dalla Shoah una quantità enorme di persone, rivelandosi un esempio per tutti noi, egli è stato tante cose. Un talmid haham, uno studioso della Torah, che ha avuto una straordinaria capacità di dedicarsi al suo popolo”.

In conclusione è stato proiettato il toccante film “La Shoah un temps au delà du temps” girato negli ultimi anni della vita di Safran a Ginevra dove egli viveva da lungo tempo. Presentato da un commosso Rav Ariel Messas amico di Safran, che si è intrattenuto sulla natura “soprannaturale e inspiegabile di quello che è successo in quelli anni,” il filmato ha raccontato aneddoti della vita di Rav Safran. La paura durante gli interrogatori della polizia romena, i colloqui con Antonescu  e vari riferimenti ai Salmi, alla Torah e all’attesa del Mashiach. “Un ebreo deve  avere pazienza e non cercare risposte all’immediato” ha detto “la prospettiva dell’ebreo è rivolta all’infinito e all’eternità dove il tempo si trasforma e diventa spirituale e sublime”. “”Dobbiamo fare le mitzvot e eseguire i precetti fin dove possiamo e la Golah, l’esilio è una prova che dobbiamo affrontare e la Gheullà che è la Redenzione e sarà la nostra liberazione.” Un discorso profondo e una lucida riflessione confermata da Rav Messas che l’ha collegata alla Shoah “non possiamo capire quello che è accaduto e dobbiamo andare avanti nonostante tutto senza mai perdere la speranza”.