Il vino nella tradizione ebraica

Cucina e Kasherut

Kesher ha accolto un ospite d’eccezione, rav Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma, per una serata dedicata al vino nella tradizione ebraica. Con una esposizione spumeggiante, ricca di battute, rav Di Segni ha eseguito il lungo escursus che descriveva i numerossimi riferimenti ebraici alla bevanda alcolica.
Il vino, infatti, proprio per le sue caratteristiche inebrianti era considerato la “droga” mediorientale per eccellenza dei tempi passati, eppure la tradizione ebraica, pur constatandone e sottolineandone la problematicità, non ne vieta l’uso, come nella cultura musulmana, ma al contrario lo pone obbligatoriamente al centro di rituali di “passaggio” come kiddush e havdalà recitati di shabbat e nelle feste, come il matrimonio, o come il brit milà. In alcune feste, Purim (il banchetto festivo) e Pesach (i quattro bicchieri), il vino è addirittura uno dei protagonisti rituali indispensabili.
Abbiamo imparato da rav Di Segni che il vino rosso è preferibile a quello bianco e che quello non pastorizzato (non mevushal) è preferibile a quello pastorizzato, perché mantiene intatte le sue qualità organolettiche, pur presentando maggiori problemi halakhici. Successivamente veniva chiarito che il paragone simbolico del vino rosso con il sangue non è estraneo alla tradizione ebraica, ma rimane solo un accenno esegetico e non diventa, come nella tradizione cristiana, il leitmotiv, di fisicità e sofferenza.
Avendo di fronte poi una tavolata ricca di vini kasher israeliani di qualità, non è mancato infine il bonario accenno al fatto che, dopo che per anni chi beveva vino kasher fosse costretto a bere vini di qualità scadente, ora non ha più scuse: la terra d’Israele produce ottimi vini che si fanno onore in tutto il mondo.
Infine i più di 200 spettatori attenti hanno potuto godere di una degustazione gratuita offerta dalla ditta Supergal, importatrice di vini israeliani, nella bella cornice della sala del Noam appena restaurata, in via Montecuccoli, gentilmente concessa alle attività di Kesher.
Ancora una volta si è dimostrato che con un’organizzazione adeguata e coinvolgendo pubblici diversi anche a Milano si riesce a “fare cultura” ad alto livello unita a convivialità e voglia di stare assieme.