Marilyn e gli ebrei

Taccuino

di Roberto Zadik

A 55 ANNI DALLA MORTE, IL SUO RAPPORTO COL MONDO EBRAICO

Su Marilyn Monroe, bella e tormentata icona del ventesimo secolo si è detto e scritto di tutto e, con quel misto di fragilità e leggerezza, Norma Jean Baker, questo il suo vero nome, continua a alimentare schiere di fans e quintali di libri e di dietrologie sulla sua misteriosa morte, 55 anni fa, in una calda notte fra il 3 e il 4 agosto 1962. Un anno prima della tragica fine del suo illustre amante John Kennedy con cui intrattenne una complicata e chiacchierata storia d’amore dopo la quale conobbe, come ultimo dei suoi tanti flirt, molto approfonditamente anche suo fratello Robert, detto Bob, ucciso nel 1968.

Ma cosa c’entra Marilyn con gli ebrei? A prima vista, nulla ma invece il suo legame col mondo ebraico è strettissimo. Nata da famiglia povera, di probabili origini norvegesi, un certo signor Mortenson che mai la riconobbe, ma californiana Doc, nata a Los Angeles il primo giugno 1926 (Gemelli ascendente Leone) l’attrice ebbe un’infanzia instabile, inquieta e dolorosa, con una madre schizofrenica e lunghi anni in orfanotrofio e in case-famiglia che la segnarono profondamente. Vissuta solo 36 anni, l’attrice, sensibile e ambiziosa, voleva affermarsi disperatamente prima come modella, e fece una serie di servizi fotografici decisamente audaci per l’epoca, sia come interprete impegnata, ed era una ragazza molto curiosa con un lato vitale e volitivo e un’altra parte oscura, depressa e viziosa. Sposatasi tre volte,  fra cui il matrimonio solido ma burrascoso col campione di baseball Joe Di Maggio che durò solo un anno, il suo legame più celebre fu quello con il drammaturgo ebreo americano Arthur Miller che sposò nel 1956 e dicono che si sia convertita, per amore di lui, all’ebraismo; ma l’unione durò solo 4 anni e pare che alla fine lei non sopportasse il carattere distaccato e sornione dello scrittore e commediografo che le dedicò il suo dramma “La caduta”. Anche professionalmente la sua vita fu segnata indelebilmente dallo stretto contatto con l’establishment ebraico del cinema holllywoodiano.

Chi sono stati gli ebrei della stimolante vita professionale di Marilyn?

Primo fra tutti il produttore Darryl Zanuck che però la scartò perché non la reputava all’altezza di ruoli drammatici di livello, difatti spesso si lamentava delle parti di  bionda svampita che la resero celebre, poi coi coniugi Strasberg, proprietari del celebre Actor’s Studio, in cui si formarono grandi nomi come Marlon Brando e Al Pacino  che le insegnarono a recitare nel vero senso della parola, anche se a causa dello stress e dell’introspezione, iniziò a sottoporsi alle cure di vari psicologi e a assumere dosi ingenti di tranquillanti.

Dotata di espressività, carisma e senso dello humour, mostrato anche in diverse interviste e dell’abilità di mischiare commedia e film drammatici, la Monroe lavorò con grandi registi, da John Huston a Howard Hawks, anche se i suoi maggiori successi li realizzò con registi ebrei. E ci risiamo. Incontrò il “Re della commedia” Samuel, detto Billy, Wilder, che la volle per due suoi successi “Quando la moglie è in vacanza” del 1956 e tre anni dopo “A qualcuno piace caldo” campione d’incassi nel 1959. Wilder, preciso e metodico austriaco, e la “svanita” e inquieta Monroe ebbero un rapporto molto difficile con frequenti liti perché lei arrivava con ore di ritardo sul set, stravolta da alcol e sonniferi e stralunata dall’insonnia e dalle pillole, dimenticava le battute e non migliore fu la relazione con il coprotagonista del film Tony Curtis, anche lui ebreo, che quando la baciò disse sarcasticamente che è stato “come baciare Hitler”.

Non solo attrice ma anche cantante dotata, notevoli le sue interpretazioni di brani come “I wanna be loved by you” o “Diamons are the girl’s best friend” l’attrice nascose dietro modi garbati e maliziosi sorrisi, segreti, inquietudini e varie turbe psichiche. Famosa per rifare continuamente le scene in cui recitava, per la sua distrazione e il suo costante bisogno di attenzione ma anche di eccesso e di situazioni rischiose, amica del controverso Peter Lawford una sorta di “spacciatore” del “Bel mondo”, la  Monroe, ebbe diversi flirt, da Frank Sinatra, a Clark Gable, a Ives Montand, che probabilmente era di religione ebraica con quello strano cognome Livi, che potrebbe essere una storpiatura di Levi.

Tanti film, eccessi, sonniferi e whisky, dichiarazioni provocanti, per la Monroe, che girò diversi  capolavori. Come i citati film con Wilder, “Il principe e la ballerina” con il raffinato Laurence Olivier e con Huston, il bellissimo e dolente “Gli spostati”, un western molto cupo che sembra presagirne la tragica fine o “Eva contro Eva” di un altro ebreo come Jospeh Mankiewicz; e che dire de “La magnifica preda” di Otto Preminger, passato alla storia per il suo “Exodus” con un Paul Newman in stato di grazia. Nella sua lunga filmografia, ci sono anche filmetti debolucci come “Facciamo l’amore” del suo correligionario George Cukor, autore di grandi film come “Il mago di Oz”.

La Monroe e il mondo ebraico sembrano davvero legati a doppio nodo, perfino due dei vari fotografi che la immortalarono erano ebrei, Richard Avedon e poi Bert Stern per gli ultimi scatti che la ritraggono sempre bella ma segnata dalla malattia psicofisica che la torturò dal 1960, dalla fine del matrimonio con Miller. Marilyn è stata un’icona, un simbolo di una bellezza moderna negli antiquati anni ’50, la prima morte misteriosa del mondo dello spettacolo, prima dei complottismi che hanno segnato le scomparse di altre stars, da Jim Morrison, a Elvis Presley, da Bruce Lee a Jimi Hendrix e un mito che attraversa indelebile epoche e generazioni, un po’ dimenticata attualmente ma sempre attuale e coinvolgente, che ispirò grandi autori, dal pittore Andy Warhol scopritore nientemeno che di Lou Reed, che la dipinse nei suoi ritratti, al cantautore inglese Elton John che nel 1980 le dedicò la sua “Candle in The wind” (Una candela nel vento). Definizione perfetta per questa grande e immortale attrice.