Cinema | Magic in Moonlight, Woody Allen ci riprova ancora

Taccuino

di Roberto Zadik

Magic Woody-moonlightSi dice spesso e volentieri “largo ai giovani” ma qui invece in questo periodo sono i registi anziani che vanno per la maggiore. Fra dicembre e gennaio escono Ken Loach, Clint Eastwood e da parte ebraica anche l’inossidabile e inarrestabile Woody Allen che ha sempre qualche idea in serbo per il pubblico adorante europeo e per quello più scettico del suo Paese.

Ma non farò la solita sinossi, temine un po’ ostrogoto che in linguaggio semplice significa riassunto della trama e né una recensione su questo “Magic in Moonlight” in uscita i primi di dicembre bensì una retrospettiva breve su questo genio del cinema con qualche chicca caratteriale e personale che non guasta, un po’ di gossip ci vuole sempre per vivacizzare eccessi di formalismo e “didascalismo” neologismo zadikiano. Icona del cinema ebraico americano, colto, laico e esistenziale e non solo, ateo eppure molto legato alla propria identità, pessimista sebbene estremamente vitale e pungente, Woody Allen ha una personalità che definire schiva e contraddittoria è un eufemismo e lo confermano anche varie biografie e ex partner come Diane Keaton e Mia Farrow che lo definivano “poco divertente nella vita privata”.

Ma com’è cambiato il suo cinema? E chi è davvero Woody Allen? Un comico, un depresso, un genio, uno psicologo come nel suo capolavoro “Zelig” brillantissima satira della psicanalisi? Non si può negare che dagli inizi scoppiettanti di “Provaci ancora Sam “ diretto dal suo amico Herbert Ross nel 1972 e “Prendi i soldi e scappa”, Stuart Allen Konigsberg, questo il suo vero nome, non sia cambiato tantissimo. Sarà l’età, la voglia di commercializzarsi a tutti i costi, ben visibile in filmetti come “Tutti dicono i love you” o nel suo successone “Matchpoint” e quello stile sempre più ovattato e patinato che con l’andare degli anni il regista newyorchese ha adottato sempre di più assieme all’utilizzo di attori famosi e piuttosto bellocci, da Colin Firth a Scarlett Johansson a Marillon Cotillard che all’inizio non sembravano interessargli.

Meno profondità e più banalità. Meno apparizioni fisiche con quella sua favolosa aria dimessa e sorniona, gli occhialoni spessi e i vestiti anonimi, sceneggiature sempre meno pungenti e temi esistenziali molto meno trattati, è evidente che l’arte di Allen ha subito notevoli mutamenti e in un certo qual senso si è snaturata e deprezzata anche se qualche scintilla di genio risplende sempre. È il caso di “Scoop” interpretato assieme alla bella ma scialbissima Scarlett Johansson, mezza svedese e mezza ebrea americana e di questo nuovissimo o del discreto “Midnight in Paris” omaggio a una Parigi vecchio stile e un po’ plastificata e snob lontana anni luce dalle resse rissose e dal clima sgangherato e sgarrupato delle periferie de “L’odio” di Kassoviz.

Ma questo nuovo film di cosa parla? A 79 anni compiuti lo scorso primo dicembre, Sagittario ascendente Vergine per gli amanti dell’astrologia, scende in campo, metafora calcistica o agricola che si usa in politica, con la sua passione per i giochi di prestigio, molto autobiografica e utilizzata per vincere la sua innata timidezza. Ebbene, protagonista di questa sua nuova fatica è un prestigiatore “cinese” nella Berlino del 1928 che si trova alle prese con tutta una serie di personaggi e di situazioni rispolverando il reale interesse di Allen per i giochi di prestigio e i trucchi. Ma anche, ovviamente, per l’amore. Come si vede anche in una scena di “Scoop”, il regista ebreo newyorchese in gioventù, quando era uno studente ribelle e svogliato che preferiva Bergman e Freud ai libri di scuola, e forse anche attraverso questo, è diventato il mago del cinema che tutti conosciamo e amiamo.