Sulle orme di Hannah Arendt

Il trentesimo anniversario della morte di Hannah Arendt ha visto un fiorire di studi e approfondimenti nel mondo letterario francese: in coincidenza con questa data è uscita di recente una biografia, “Sulle orme di Hannah Arendt”, Edizioni Gallimard), della giornalista e scrittrice Laure Adler che ripercorre la vita e l’opera di questa figura prestigiosa di pensatrice morta a New York nel 1975.

Nata in Germania nel 1906, la Arendt fu una degli intellettuali di spicco del ventesimo secolo tanto che a distanza di trent’anni dalla morte le sue opere di filosofia, politica, etica non hanno ancora smesso di esercitare interesse e suscitare approfondimento.

“Essa sperimentò tutte le cose di cui scrisse più tardi e che formalizzò in teoria, dice l’autrice della biografia. Ecco perché la sua opera ancora ha echi così profondi a distanza di anni. Io ho cercato di seguire il percorso della sua vita, di ripercorrere il suo itinerario, incontrare i suoi amici e delineare la sua vita affettiva, con particolare riguardo alla sua relazione con Martin Heidegger.”

Nel libro si cerca di svelare l’identità di questa donna generosa, politicamente scorretta e straordinariamente coraggiosa, “la cui filosofia del caotico presente ha analizzato le cause del male che ha infettato le nostre società”.

Dal libro emerge il ritratto di una donna leale e forte ma anche contraddittoria che passò la vita alla ricerca di un’identità, lacerata fra la lingua tedesca e la cultura ebraica, tra il suo amore per Heidegger e la sua vita coniugale con Blucher, tra la passione per la filosofia e il gusto per la politica, fra il mondo del pensiero e una vita attiva.

La Arendt apparteneva a una generazione di intellettuali tedeschi che aveva reciso i legami con la sinagoga: vedeva la sua ebraicità non come spiritualità ma come parte integrante della sua personalità. Nondimeno sentiva la necessità di conoscere le sue radici e la sua gente e si aggrappò a quello che descriveva come un ‘fatto di nascita’, la sua identità di donna ebrea.

“Provengo da un’antica famiglia ebraica, ma la parola ‘ebreo’ non veniva mai usata a casa mia quand’ero giovane. L’ho sentita per la prima volta nelle barzellette antisemite” dice la Arendt.

Secondo l’autrice della biografia, vi è però un punto oscuro nel suo pensiero: la Arendt non seppe o non volle riconoscere il vuoto rappresentato dall’Olocausto nella storia dell’umanità. E ciò fu particolarmente impressionante durante il processo a Eichmann, che lei vide come una vittima di guerra.

Per quanto riguarda Israele ebbe forti e discusse opinioni: anche se durante l’esilio a Parigi aveva lavorato per l’organizzazione sionistica che preparava i giovani alla ‘alya verso la Palestina, quando fu fondato lo Stato nel 1948 non nascose le sue riserve su un paese che avrebbe dovuto essere costituito da due nazionalità.