Svezia, quando il principio di legittima difesa non vale per tutti allo stesso modo

Opinioni

di Paolo Salom

912@70Un giovane entra in una scuola. È vestito tutto di nero, mascherato come un samurai. Ha un coltello in una mano e una spada nell’altra. Senza proferire parola va in cerca di tutti quelli diversi da lui e li colpisce, uccidendo e ferendo senza pietà chiunque si pari sul suo cammino. Alla fine della mattanza, un professore e uno studente sono a terra, morti. Altri quattro ragazzi sono gravemente feriti. Arriva la polizia, segue la striscia di sangue e trova l’assalitore. Due colpi e tutto è finito: il folle è stato ucciso. Si chiamava Anton Ludin Petterson, aveva 21 anni e, come avrete ormai capito, non era un palestinese bensì uno svedese. Come hanno fatto gli agenti a fermarlo? Gli hanno forse sparato alle gambe? Hanno forse provato a immobilizzarlo schivando eventuali fendenti? No: lo hanno colpito e lo hanno ucciso. Lo ripeto perché sia chiaro quello che è successo in una tranquilla cittadina della civilissima Svezia, poche settimane fa. Lo ripeto perché, per la seconda volta in pochi mesi, il ministro degli Esteri di Stoccolma, Margot Wallström, ha accusato Israele di compiere “esecuzioni extragiudiziali”. Il riferimento è ovviamente ai terroristi uccisi da agenti, da soldati o semplici passanti alle fermate dell’autobus o nei mercati, o ancora nei punti dove si fa l’autostop. Terroristi che inseguono le loro vittime per ucciderle, con un pugnale o con una pistola. Oppure, con la propria auto, usata come arma. Sappiamo che la cosiddetta ”Intifada dei coltelli” va avanti da mesi e che sta provocando la morte di decine di israeliani e ancor più di palestinesi: questo perché in Israele il concetto di legittima difesa è ancora ben saldo. E non pare molto diverso rispetto a quanto è accaduto in Svezia. Ma nel nostro lontano Occidente, dove pure si comincia a capire cosa significhi vivere sotto la costante minaccia del terrorismo, solo Israele dovrebbe rinunciare a difendersi. C’è da chiedersi: è differente sparare a un giovane svedese armato di coltello, chiuso in un angolo dai poliziotti, o a un palestinese che mena fendenti per la strada contro giovani e anziani (soprattutto anziani), talvolta colpendo persino altri arabi? Perché questa doppia morale? La vita o la morte di una persona si decide in pochi secondi. Ma allora, cosa altera la capacità di giudizio degli austeri politici europei? “Israele è tenuta a rispettare gli stessi standard morali dell’Occidente”, è la risposta più comune in queste occasioni. Come dire che per i palestinesi non valgono quegli standard, e rispondono a canoni morali differenti dai nostri. Insomma, sono il “buon selvaggio” disperato, che non ha altro modo per farsi ascoltare che non uccidere alla cieca. L’assurdità di questo ragionamento comincia a essere percepita nel lontano Occidente ora che si moltiplicano gli attentati e le stragi per mano dei terroristi islamici? Ne dubitiamo. Come dubitiamo del fatto che i governi, a parte le reazioni del momento, si rendano conto della sfida identitaria che pone la presenza crescente di immigrati arabo-islamici nel Vecchio Continente. Come ha candidamente confessato una studentessa musulmana, nata in Italia, a Lorenzo Cremonesi e Mara Gergolet sul Corriere della Sera (5-12-2015): “Per noi esiste solo il Corano, non serve altro”, Se così stanno le cose, non è più una questione di estremismo o fanatismo criminale. È una questione culturale che rischia di travolgere l’Occidente tutto. Con i suoi doppi moralismi autolesionisti.