Rav Laras: al di là della retorica, gli ebrei sono lasciati soli in Europa

Opinioni

di Rav Prof. Giuseppe Laras, Presidente del Tribunale Rabbinico del Centro Nord Italia

Pubblichiamo l’intervento che Rav Giuseppe Laras ha fatto leggere al Binario 21 della Stazione Centrale – Memoriale della Shoah di Milano, in occasione della cerimonia “Coloro che non hanno memoria del passato sono condannati a ripeterlo”, organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio con la testimonianza di Liliana Segre, il 29 gennaio.

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Mi spiace veramente – per motivi precauzionali di salute – non poter essere presente, come invece sempre in passato, con voi al Binario 21, in questa ormai tradizionale e sofferta Giornata di ricordo, finalmente inserita all’interno del realizzato Memoriale milanese della Shoah, voluto anni or sono e da tempo atteso.

La Shoah paralizza il pensiero: si tratta di una verità non facile da comprendere e a da spiegare. Prova ne è il fatto che, solo dopo alcuni decenni, il pensiero dei testimoni si è, per così dire, “sbloccato”, iniziando essi a raccontare. Si è trattato e si tratta di un “pensiero narrativo”.

Gli ebrei, settant’anni fa –iniziando tuttavia ben prima la barbarie nazista-, hanno conosciuto e sperimentato il “male assoluto”, nella sua ferocia, nella sua radicalità, nel suo essere “assordante” e onnipervasivo.

La Shoah nella sua unicità ha creato uno spaventoso spartiacque nella storia umana. Esiste un prima, esiste un dopo. Le caratteristiche specifiche, tuttavia, della Shoah sono tante e tali che la sua comprensione ultima ci può sfuggire. Auschwitz è il luogo estremo, l’abisso senza ritorno, ove l’umanità è sprofondata.

Esiste un solo, drammatico precedente, in cui sono presenti alcune della tremende caratteristiche –non tutte- proprie della Shoah: il genocidio perpetrato contro i cristiani armeni cento anni fa.

La realtà dell’unicum della Shoah è quasi impossibile restituirla con le parole; essa può essere solo evocata per via indiretta e obliqua.

Tuttavia, pur consapevoli di questa quasi impossibilità di parlare di Auschwitz, sentiamo che parlarne è un’esigenza dello spirito che si realizza in un imperativo categorico morale, civile e politico. Rinnovarne il ricordo è l’unico modo che ci rimane per tentare riscatti, seppur postumi, del genere umano, di quel genere umano che ha consentito che Auschwitz esistesse e profanasse, assieme all’uomo, l’immagine stessa di Dio, impressa in ogni essere umano.

Nonostante il passare del tempo, che fatalmente tende a diluire e a consumare qualsiasi memoria, anch’io, come molti di voi, ero convinto dapprincipio che la Giornata della Memoria potesse formare utili “anticorpi” in relazione al cancro dell’antisemitismo. Purtroppo –ed è evidente- così non è stato: gli ebrei, ivi doverosamente e chiaramente inclusi gli israeliani, nonostante le tante Giornate della Memoria celebrate in Occidente, sono stati lasciati soli per anni in Europa: a Tolosa, a Bruxelles, a Parigi con il tremendo caso “Halimi”, ragazzo seviziato per ben venti giorni e ucciso pochi anni fa, sempre da estremisti islamici.

Ebbene, chi ha manifestato massicciamente e vibrantemente allora? Chi si è indignato in Francia, in Belgio, in Italia tra coloro che normalmente hanno preso parte o prendono parte –in un modo o nell’altro- alle Giornate della Memoria nelle sue varie edizioni? Quanti capi di Stato o di Governo hanno sfilato in piazza per gli ebrei assassinati?

Antisemitismo, antisionismo, israelofobia: si tratta di una nuova miscela esplosiva, di nuove sinonimie.

È questa, purtroppo, un’amarissima verità della storia contemporanea degli ebrei di Europa. E una nuova tenebra sta sorgendo.

Occorre che, con urgenza, si esca dall’ambiguità. Chi non è disposto a declinare l’indignazione postuma per l’assassinio sistematico di sei milioni di ebrei settanta anni fa in un’azione e un impegno contemporanei a favore degli ebrei viventi oggi, tanto in Diaspora che in Israele, è meglio che stia a casa e non prenda parte alle iniziative per la Giornata della Memoria.

Nella contingenza etica, culturale, politica e spirituale disperante in cui siamo inseriti, per non fare collassare ancora una volta tutto in modo irrimediabile, occorre non rinunciare a pensare e ad agire di conseguenza. Ma occorre anche e soprattutto, nel ricordo sacro dei nostri morti, chiedere a Dio di ispirare nei cuori dei governanti, degli intellettuali, degli uomini di fede e di chi ha responsabilità nei confronti delle collettività, impegno coraggioso, lungimirante e responsabile, controcorrente, genuino ed intenso, verso l’abbandono delle ambiguità e verso una reale e matura pacificazione delle persone e degli Stati, onde possa iniziare un ciclo esistenziale nuovo, caratterizzato da tranquillità di vita e dalla reciprocamente riconosciuta dignità propria e altrui.

Un saluto affettuoso a tutti i presenti, Shalom.