“Netanyahu non conosce la storia”

Opinioni

Yehuda Bauer è uno storico israeliano e tra i consiglieri scientifici del Museo Yad Vashem di Gerusalemme. In occasione dell’uscita del suo ultimo libro, The Impossible People, dedicato al passato e al futuro del popolo ebraico, Bauer ha rilasciato un’intervista a Dalia Karper del quotidiano Haaretz. Ne è emerso un discorso ampio su temi e questioni cruciali del passato e del presente di Israele e del popolo ebraico
Il sito Gariwo. La foresta dei Giusti ha fatto una sintesi  e la traduzione completa dell’intervista che riproponiamo qui per i lettori di Mosaico.

La posizione di Bauer sul tema mediorientale è netta: ammettendo le responsabiltà di entrambe le parti in causa nella questione – e non risparmiando toni molto duri nei confronti del premier israeliano Benjamin Netanyahu – lo storico rifiuta la soluzione di uno Stato bi-nazionale, che “non ha alcuna possibilità di realizzarsi, perchè significherebbe una guerra civile permanente”. In questa intervista Bauer affronta anche, con l’apertura che lo contraddistingue, temi ancora dibattuti nel discorso pubblico – non solo israeliano. A partire dall’accusa, rivolta alla comunità internazionale, di avere abbandonato gli ebrei durante la Shoah. Non esita a definire il mancato bombardamento su Auschwitz-Birkenau un fallimento morale, sostenendo che “le camere a gas sarebbero dovute essere bombardate non perchè fosse possibile salvare gli ebrei, ma perchè questo avrebbe inviato un messaggio morale, che qualcuno teneva alle grandi masse di vittime”.

Le tragiche scelte che toccarono gli uomini di quel tempo si dovettero largamente alla scelta tedesca di imbarcarsi in una guerra che aveva scopi meramente ideologici e non economici. Hitler, ricorda Bauer, voleva sterminare gli ebrei – e convinse il suo popolo a farlo – perché pensava che avrebbero potuto dominare il mondo. Lo rivela un memorandum segreto dello stesso dittatore inviato a Goering nel 1936.
Molto interessante è quanto afferma lo storico in merito alla prevenzione dei genocidi, considerata un necessario obiettivo della celebrazione della Giornata dei Martiri e degli Eroi dell’Olocausto – giornata altrimenti destinata a divenire una cerimonia di pura retorica. Bauer definisce infatti slogan vuoti di senso i continui “Mai più”, pronunciati quando in realtà i genocidi continuano a ripetersi e richiama la comunità internazionale a un impegno concreto per la prevenzione dei genocidi.

_______________________

Pur essendo figlio di uno storico, un avido lettore e una persona straordinariamente intelligente, il premier non è un grande stratega, dichiara Bauer in un’importante intervista.

Un’altra Masada

Bauer studia la Storia dell’Olocausto da 50 anni, e quella dell’antisemitismo da 30. Negli ultimi 15 anni si è immerso nello studio dei genocidi e della possibilità di prevenirli. Professore emerito dell’Istituto di Ebraismo contemporaneo della Hebrew University e importante studioso della Shoah, Bauer è membro dell’Accademia israeliana delle Scienze e delle Discipline umanistiche dal 2000. Nel 1998 ha ricevuto l’Israel Prize per i risultati delle sue ricerche sulla storia del popolo ebraico. Ha partecipato alla redazione della Encyclopedia of the Holocaust e ha fornito la sua consulenza a molti progetti, inclusi il monumentale film di Claude Lanzmann Shoah (1985) e l’acclamata opera teatrale di Joshua Sobol Ghetto (1984). Attualmente è consulente scientifico e membro del direttivo di Yad Vashem.
The Impossible People (il termine ebraico è “mehutzaf”, che nel linguaggio comune significherebbe “insolente” o “impertinente”, ma la traduzione scelta per la pagina del copyright dell’edizione ebraica è “il popolo impossibile”) non obbedisce alle regole della scrittura accademica. Non ha note a pié di pagina, e Bauer avanza le sue argomentazioni senza citare fonti a favore o contro. Spiega che scrivere un testo accademico, non sarebbe servito a niente e avrebbe richiesto uno sforzo tre volte maggiore. “Volevo esprimere le idee che ho maturato, ma non ho alcuna voglia di discutere. Questo libro è parte di me”.

Perché chiama gli ebrei il “popolo impossibile”?
“Gli ebrei sono sempre stati in opposizione a tutto il mondo e sarebbero danneggiati dall’unità. Le liti e dispute sono il motore che fa progredire, regredire o muovere su vie secondarie la nostra cultura. Sono il nostro elisir di lunga vita”.

Che cosa intende?
“Le lotte intestine sono un tratto distintivo del popolo ebraico. La nostra cultura si basa su questi conflitti interni. Inizia dalla lotta tra i chassidici e i loro avversari; i profeti veri e quelli falsi; la divisione del regno unito [minuscolo perché non è la Gran Bretagna il cui nome ufficiale è “Regno Unito” con la maiuscola: si tratta del biblico “regno di Giuda e Israele”: http://it.wikipedia.org/wiki/Regno_di_Giuda_e_Israele NdT] in due regni rivali che si combattevano tra loro; le dispute tra sadducei e farisei, tra ellenizzatori e asmonei, tra l’establishment religioso e i vari zeloti prima della Grande Rivolta [contro l’Impero Romano], e così via. Se ci viene a mancare la nostra capacità di litigare, saremo finiti. I dibattiti infiniti, dal Medioevo fino ai nostri giorni, costituiscono la vitalità di questo popolo, così li definisco chutzpah [una variante del titolo in ebraico]. C’è qualche carattere intimo del mondo ebraico che è speciale e affascinante, come ce ne sono altri che a volte risultano repellenti e disgustosi.”

Per citare una frase del suo libro: “A che punto siamo oggi?”
“Viviamo in un Paese diviso in quattro Stati, ognuno dei quali si trova dentro i confini della Terra di Israele. In un piccolo Paese che si trova tra il Giordano e il mare c’è uno Stato chiamato Israele. Accanto a esso, a Gaza, c’è l’Hamastan. Nella West Bank c’è lo Stato dell’Autorità Palestinese, che si trova sotto occupazione israeliana, e all’interno di tutto questo c’è lo Stato di Giudea dei coloni, sul cui comportamento Israele esercita una certa influenza. “Il sogno di uno Stato ebraico democratico finirà solo se rimane al potere la destra. Consideriamo la Lettonia o l’Estonia, che sono stati-nazione con minoranze che hanno eguali diritti. In Francia vivono baschi che non parlano francese, e in Alsazia-Lorena si parla il dialetto locale, l’alsaziano. Quello è lo stato-nazione francese, nel quale vi sono minoranze aventi pari diritti non sono formalmente, ma anche concretamente. Pertanto uno Stato ebraico democratico non è necessariamente una contraddizione in termini. E’ una contraddizione solo in una data situazione politica”.

Che cosa suggerisce?
“Uno Stato democratico entro i confini del 1967, con certi scambi territoriali, sarà uno Stato ebraico sionista obbligato non solo a fare pace con i suoi vicini palestinesi e arabi, ma anche a offrire la possibilità di uno sviluppo nazionale e culturale alla minoranza araba residente nello Stato d’Israele. La politica degli insediamenti sta agendo contro di noi e ci sta danneggiando. Dobbiamo far andare la maggior parte dei coloni via dai territori, che sono attualmente aree appartenenti allo Stato di Palestina. Un milione di persone non si spostò forse dall’Anatolia alla Grecia? “L’unico modo di spingere i coloni a spostarsi − e ne scrivo nel libro − è che le maggiori potenze che non hanno interessi nel conflitto israelo-palestinese esercitino pressioni su Israele. Un accordo tra gli Stati Uniti, l’Unione Europea e la Russia, con il coinvolgimento della Cina, potrebbe creare una situazione nella quale si possa far pressione su entrambe le parti del conflitto affinché si impegnino in negoziati seri fino a ottenere una fumata bianca. “Entrambe le parti sono estremamente sensibili alle pressioni. Sarebbe sufficiente che l’UE si rendesse conto di avere problemi di liquidità e annunciasse che trova difficile pagare gli stipendi dei funzionari nell’Amministrazione Palestinese o a Gaza, o che il Pentagono annunciasse che non riesce a fornire i componenti all’Aeronautica israeliana. In tal caso entro otto mesi gli aeroplani e le attrezzature di questa Arma sarebbero da buttare via. Non cambia se ci sono 30 o 40 insediamenti di coloni al momento: nel momento in cui si decidesse di smettere di finanziarli, questa storia finirebbe bruscamente”.

E se questo non succede?
“C’è il rischio che si ripeta la storia della Masada: una situazione che vede Israele isolato dal mondo potrebbe causare una reazione nazionalistica estrema e un atteggiamento del tipo: “Muoia Sansone con tutti i filistei”. La nostra situazione odierna ricorda quel che accadde nel periodo romano, nella rivolta e nella lotta contro gli “Stati Uniti” di quel tempo. In definitiva, forse non parliamo della possibilità di uno scontro militare con l’America, ma di un isolamento totale, con sanzioni e la popolazione ridotta alla fame, il che potrebbe portare a reazioni estreme derivanti dal pessimismo e dalla disperazione”.

Non pensa che la soluzione di “due Stati” stia uscendo dall’orizzonte e si stia creando uno Stato bi-nazionale?
“Il sogno di uno Stato bi-nazionale e uno Stato di tutti i cittadini non ha alcuna possibilità di realizzarsi, perché significherebbe una guerra civile permanente e una situazione dove le parti cercano di assassinarsi a vicenda. Coloro che vogliono fomentare un potenziale genocidio possono farlo invocando uno Stato bi-nazionale per tutti i cittadini, che certamente significherebbe la fine del sionismo nel senso di uno Stato che possiede una solida maggioranza ebraica in cui vive una minoranza araba dotata di pari diritti. “Il sogno sionista originario è stato cancellato dagli insediamenti e da una politica di destra che sta portando a uno Stato bi-nazionale. La minoranza araba in Israele ha tutto il diritto a un’autonomia nazionale e culturale. Non c’è ragione per cui gli arabi debbano essere obbligati a cantare ‘con gli occhi rivolti a Sion’ [versi dell’inno nazionale israeliano, NdT] e sventolare la bandiera blu e bianca. Per quanto mi riguarda non ho problemi con il fatto di issare la bandiera palestinese insieme a quella israeliana in ogni comunità e scuola araba in Galilea, a Giaffa e a Tel Aviv.
“Sono a favore di libri di testo uguali per tutti gli alunni del Paese e anche a libri di testo aggiuntivi pensati per ogni comunità. I palestinesi israeliani dovrebbero apprendere la Nakba esattamente come noi studiamo la Guerra d’indipendenza, che era una guerra giusta, una guerra in seguito alla quale tuttavia si è anche prodotto il risultato della catastrofe che ha colpito i palestinesi”.

A questo punto dell’intervista mi trovo a discutere con Bauer del fatto se la popolazione palestinese sia fuggita o non sia piuttosto stata espulsa nella guerra del 1948. Bauer ha affermato che i civili non sono scappati per via dei massacri o di azioni militari volte a metterli in fuga, e ha insistito che non vi sia stata alcuna espulsione avviata dagli israeliani con l’intento di perpetrare una pulizia etnica. Infine, egli ha accettato che ci fossero sia l’una che l’altra cosa. Da un lato il sionismo cercava di essere costruttivo, morale e conciliatorio; dall’altro aveva un aspetto di attivismo anche distruttivo e rappresentava un interesse a “liberare” il Paese dai suoi abitanti arabi.

Dio e Satana

Bauer, un ateo convinto, ha scritto che crede con tutto il cuore che Dio non sia mai esistito. Nell’intervista aggiunge: “Si può parlare del fatto che il mio Dio – il Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe – non esiste perché, se esiste, è Satana, e pertanto non è Dio. L’universo che supponiamo Egli abbia voluto è orientato verso la morte. Tutto, dalle galassie alle cavallette, è nato per morire.

“L’assassinio di almeno un milione di bambini sotto i 13 anni nell’Olocausto − indipendentemente dalle motivazioni − chiama in causa la responsabilità di Dio. Anche se Egli si fosse voltato dall’altra parte per non assistere al male commesso dagli uomini, non è meno colpevole dei nazisti se sapeva e non è intervenuto. Se qualcuno desidera credere in un Dio che è Satana, gli auguro buona fortuna. Il Genesi afferma: ‘E Dio creò l’uomo a sua immagine e somiglianza’, e il significato di ciò era che l’uomo ha inventato Dio” – Bauer trova oltraggiosa l’affermazione di alcuni rabbini che l’Olocausto fosse dovuto ai peccati degli ebrei. Nel suo libro si riferisce a rabbini “stravaganti” che hanno parlato dei peccati di chi è morto in quella tragedia o delle iniquità dei loro antenati. Cita Rabbi Ovadia Yosef, leader spirituale di Shas [il partito degli ultraortodossi israeliani sefarditi e mizrahi: http://it.wikipedia.org/ wiki/Shas], e il cabalista Rabbi Yitzhak Kedouri.

“Io personalmente non ho vissuto quell’inferno,” scrive Bauer nel suo nuovo libro. La sua infanzia di figlio unico è stata meravigliosa, dice, e si ricorda con molto affetto dei suoi “magnifici” genitori. Yehuda Bauer nacque nel 1926 a Praga, dove completò la scuola elementare in Prague, risultando capace di esprimersi speditamente in ceco, slovacco e tedesco. Suo padre Victor visitò la Palestina nel 1934 per esaminare le opportunità di stabilirvisi. Sionista fin dai tempi degli studi, il signor Bauer era stato ufficiale nella Prima Guerra Mondiale prima di essere catturato dagli italiani, e di ritornare in patria malato. Qui sposò Ollie Fried, studiò Ingegneria e lavorò come contabile in un’azienda carbonifera.

Nel tempo libero Yehuda spiega che era un compositore, pianista, poeta e scrittore di feuilletons. Alla vigilia della Prima Guerra Mondiale suo padre, che presiedeva il Comitato sionista in Cecoslovacchia, raccolse mille sterline per ottenere i permessi migratori per il Mandato di Palestina. Il 15 marzo 1939, appena prima dell’invasione tedesca della Cecoslovacchia, la famiglia Bauer lasciò Pragea in treno insieme con altri emigranti diretti in Palestina, tra cui il biografo di Kafka, Max Brod, alcuni profughi tedeschi e cechi e alcuni socialdemocratici tedeschi che avevano paura dei loro compatrioti. Prima che il treno raggiungesse il confine tra Cecoslovacchia e Polonia i tedeschi avevano già preso il controllo ed esaminarono attentamente i volti dei passeggeri. Fu un momento di terrore cieco. Per fortuna il capotreno, che evidentemente era un patriota ceco, diede il segnale e il treno raggiunse la Polonia. Da lì i Bauer andarono in Romania, da dove si imbarcarono per Haifa.

La prima abitazione della famiglia in Palestina era un appartamento in affitto nella casa del Pascià turco, che era la prima casa del quartiere di Hadar Hacarmel a Haifa. Bauer frequentò una scuola che aveva un’ottima reputazione, fondata nel 1933 da genitori di ebrei germanofoni e provenienti dall’Europa centrale che volevano facilitare l’integrazione dei loro figli nel Paese. I suoi genitori portavano con sé un po’ di soldi, ma il tentativo di suo padre di mettersi in affari fallì e lui trovò lavoro come semplice impiegato in una ditta britannica. La madre di Bauer era il principale sostegno economico della famiglia. Già a Praga aveva avuto successo come artigiana di cinture per abiti femminili. Quando Yehuda usciva al mattino per andare a scuola, la sua stanza diventava una sartoria. “Mia madre vendeva cinture alle case di moda di Parigi e ci garantiva un certo tenore di vita”, dice. Il professore di Storia di Bauer diede un grande impulso al suo amore per la materia: dall’età di 16 anni Yehuda seppe che la Storia era la passione della sua vita.

Dopo aver partecipato attivamente al movimento scout, Bauer entrò nel Palmach, la forza d’élite dell’esercito Haganah prima della costituzione dello Stato di Israele. Fu uno dei fondatori del kibbutz Hatzerim, a ovest di Be’er Sheva. A ottobre 1946 ricevette una borsa di studio dal governo del Mandato britannico per seguire corsi universitari a Cardiff, in Galles. Ritornò in Israele allo scoppio della Guerra d’Indipendenza e combatté nella Nona brigata del Palmach. Dopo la guerra tornò a Cardiff per laurearsi, cosa che fece ricevendo anche per premio un titolo di Master.

Nel 1952, Bauer entrò a far parte del Kibbutz Shoval, il che gli conferiva il permesso di continuare gli studi nell’Università ebraica di Gerusalemme. ottenne un PhD nel 1960 per la sua dissertazione su Yishuv − la comunità ebraica nel Mandato di Palestina di prima del 1948 − durante la Seconda Guerra Mondiale. Un capitolo della dissertazione trattava degli effetti della Shoah sulla resistenza ebraica in Palestina. Bauer è vissuto nel Kibbutz Shoval per 41 anni, formando una famiglia con la sua prima moglie, Shula. Le sue figlie, Danit e Anat, sono cresciute nel kibbutz.

Come storico, Bauer inizialmente si è specializzato in Storia britannica del Sedicesimo secolo, Storia dell’Estremo Oriente e del New Deal di Roosevelt. Aveva paura di approciare il tema dell’Olocausto. Nei primi anni Sessanta, ricorda, conobbe il poeta Abba Kovner, un sopravvissuto dell’Olocausto, che aveva letto il primo libro di Bauer e si chiedeva come mai non rivolgesse la sua attenzione alla Shoah. Bauer rispose che ne aveva paura, ma Kovner lo rassicurò: “La paura, disse, è un eccellente punto di partenza”. Bauer ne fu convinto.

Ai fini delle sue ricerche sulla Shoah, Bauer ha imparato a leggere in polacco, yiddisch e francese, oltre alle cinque altre lingue di cui ha già una perfetta padronanza (ceco, slovacco, Tedesco, inglese ed ebraico). Ha iniziato a insegnare la Storia della Shoah alla Hebrew University nel 1968. Nel corso degli anni ha radicalmente rivisto alcune delle sue opinioni su certi aspetti controversi alla luce delle nuove informazioni e secondo quanto dicevano altri studiosi.

Il mito del salvataggio

Nel suo nuovo libro, Bauer offre punti di vista aggiornati su tali questioni. “Il movente per sterminare gli ebrei era prima di tutto ed essenzialmente ideologico”, afferma. Nel libro Bauer fa luce sul contesto di prima della guerra. La Germania iniziava a emergere dalla profonda crisi economica del 1932 grazie a una politica simile a quella del New Deal negli Stati Uniti, e la disoccupazione fu eliminata entro il 1938.

Secondo Bauer, l’esercito tedesco non voleva la guerra. Nel settembre 1938, durante la crisi cecoslovacca con la Germania che rivendicava la regione dei Sudeti, un gruppo di ufficiali guidati dal capo di Stato maggiore aveva pianificato un putsch contro Hitler, che consideravano un brutto fattore di rischio politico, che avrebbe causato un attacco contro la Germania in concomitanza con la crisi con la Cecoslovacchia.

Allora, chi voleva la guerra?
“Hitler. Nel libro cito un memorandum che egli mandò a Goering nell’agosto 1936. Qui Hitler scrive in un tedesco di infimo livello che se la Germania non schiaccia il bolscevismo, il popolo tedesco rischia la distruzione. Hitler scrisse che lo scopo del bolscevismo era di favorire la presenza ebraica nel mondo sostituendo tutte le leadership politiche e sociali con governi ebraici: Coloro che lottavano per la bolscevizzazione del mondo erano gli ebrei ricchi e precisamente il capitalismo internazionale con base in America. “La seconda Guerra mondiale scoppiò perché la leadership nazista credeva nella dottrina dell’antisemitismo, che accusava gli ebrei di voler dominare il mondo. Soltanto in Europa, 35 milioni di persone perirono nella guerra. In altre parole 29 milioni di non ebrei europei morirono principalmente a causa dell’antisemitismo, il che è un fatto veramente estremo. Un altro elemento di importanza principale è il bisogno (percepito) della Germania di conquistare territori in Ucraina e nel Caucaso, un problema che ancora una volta poteva essere risolto solo andando in guerra contro il bolscevismo ebraico che dominava nell’Unione Sovietica, che agli occhi di Hitler era su un piano di parità con l’ ebraismo finanziario occidentale che c’era in America.”

La ricerca storica ha condannato il Presidente Roosevelt per avere abbandonato gli ebrei, e alcuni hanno accusato anche i leader dell’ebraismo americano per essere rimasti in silenzio durante la Shoah. Perché pensa che la visione convenzionale – che il mondo sia rimasto in silenzio – sia errata?
“Anch’io avevo pensato questo [originariamente], ma poi ho cambiato idea. Il dibattito tra ebrei sul perché gli ebrei d’Europa non furono salvati non ha senso. Gli Alleati non avrebbero potuto salvarli nemmeno se avessero voluto, come dimostro tutt’oggi nelle discussioni che ho con studiosi quali Rafael Medoff, degli Stati Uniti, e il suo mentore David Wyman, che affermano l’opposto. Non c’era modo di salvare tutti quei milioni di ebrei. Nessuno sapeva che l’Europa sarebbe stato il teatro del genocidio pianificato e industriale degli ebrei, come nessuno avrebbe potuto sapere che ci sarebbe stato l’Olocausto, perché nel mondo non era mai accaduto niente di simile.

“I governi occidentali non avrebbero potuto prevedere gli eventi futuri, e dal 1935 al 1939, nel mezzo della crisi economica mondiale, con milioni di senza lavoro negli USA e in Gran Bretagna, era impossibile organizzare l’emigrazione di milioni di rifugiati ebrei fuori dall’Europa. Lo sterminio nei lager iniziò nel dicembre 1941 e si intensificò solo nel 1942. La conferma dei rapporti sull’annientamento degli ebrei arrivò a novembre-dicembre 1942.Anche se c’era stata un’intenzione di bombardare i campi di sterminio in quella fase, gli Alleati non possedevano bombardieri capaci di percorrere quelle distanze in volo.

“Da metà giugno 1944 in poi, non c’erano dubbi su quello che accadeva ad Auschwitz-Birkenau. L’ordine di bombardare dall’alto gli impianti adibiti allo sterminio non fu impartito perché vigeva la politica di non usare mezzi militari per distruggere obiettivi civili. In ogni caso era impossibile colpire i quattro impianti adibiti allo sterminio di Auschwitz-Birkenau [Bauer si riferisce alle strutture nelle quali furono assassinati gli ebrei del campo, comprendenti sia il forno crematorio, sia la camera a gas, che erano quattro secondo le foto satellitari, NdT] senza mettere in pericolo le vite di molti ebrei.

“Si escluse anche di bombardare le linee ferroviarie che portavano ai campi, perché i tedeschi le avrebbero ricostruite. E anche se lo si fosse fatto, gli stermini non sarebbero stati bloccati. Alcune vittime furono assassinate in fosse scavate apposta, altre per effetto delle brutali marce della morte. La guerra continuò per più di sei mesi dopo la chiusura dei crematori di Auschwitz il 30 ottobre 1944, e gli ebrei furono assassinati senza fine. Sarebbe stato possibile salvare qualche migliaio di ebrei, ma era impossibile salvare l’annientamento di milioni di loro prima della sconfitta bellica della Germania.

“Io ritengo che le camere a gas sarebbero dovute essere bombardate non perché fosse possibile salvare gli ebrei, ma perché questo avrebbe inviato un messaggio morale, che qualcuno ci teneva alle grandi masse di vittime. Fu un fallimento morale, non pratico”.

È ignoranza o manipolazione quella del premier Benjamin Netanyahu, quando nei suoi discorsi davanti alla Commissione degli Affari Pubblici Israelo-americana cita la contrarietà dell’Amministrazione Roosevelt a bombardare Auschwitz-Birkenau per alludere al rifiuto di Obama di sostenere il bombardamento israeliano dell’Iran?
“Netanyahu non conosce la storia, pur essendo figlio di uno storico, e nonostante legga molto e sia straordinariamente intelligente. E’ un ideologo e un tattico, ma non un bravo stratega. In quanto ideologo, è profondamente convinto che dovremmo governare su tutta la Terra di Israele. Se avessimo avuto uno Stato nel 1939 con mezzo milione di abitanti, sarebbe stato possibile mobilitare due divisioni e forse qualcuno avrebbe effettuato donazioni – non so da dove – per creare uno squadrone bombardieri. Nel 1942-1943, la Germania aveva cinque milioni di soldati e circa 6.000 aerei militari. Dobbiamo anche ricordare che non era possibile portar fuori gli ebrei dall’Europa occupata e portarli in Palestina”.

Creature riprovevoli

Bauer boicotta la cerimonia ufficiale a Yad Vashem alla vigilia della Giornata dei Martiri e degli Eroi dell’Olocausto. Trova che la sovrapposizione degli “eroi” e dei “martiri” sia “sciocca”. Nel suo nuovo libro scrive: “Non sopporto più i discorsi – vuoti di contenuti e pieni di luoghi comuni – dei Presidenti, primi ministri, rabbini e altri… Che cosa significa sul serio dire “Mai più” quando i genocidi continuano a ripetersi? E’ solo uno slogan vuoto di senso, come anche lo slogan “Mai più” detto dagli ebrei e specialmente dai politici israeliani. Non c’è bisogno di una laurea in psicologia per capire che quello che sottointende quell’affermazione è un potente desiderio di dimenticarsi di tutto, e la frase in sé è una specie di imprecazione: Ci piacerebbe tanto dimenticare, ma purtroppo non possiamo”.

Qual è la maniera corretta di insegnare ai bambini e agli adolescenti la storia dell’Olocausto?
“Contrariamente ai miei colleghi di Yad Vashem, io sono contro a inserire la Shoah nel programma delle scuole primarie. Quando i miei nipotini hanno voluto visitare Yad Vashem, ho detto loro che quando avranno 16 anni li porterò a fare una visita di 45 minuti, e una seconda visita un anno più avanti. E’ traumatizzante. Ero contro i viaggi in Polonia [organizzati dalle scuole superiori] a meno che i giovani siano molto preparati e il programma preveda di incontrare anche i giovani polacchi e visitare non solo i luoghi dello sterminio ma anche i posti dove gli ebrei vivevano prima della guerra. “In una delle mie visite ad Auschwitz, ho visto gli studenti delle superiori israeliani avvolgersi in bandiere israeliane e cantare canzoni. Ho scritto al responsabile del Ministero dell’Istruzione che non si issano bandiere o cantano canzoni in un cimitero. E’ il cimitero ebraico più grande e nei cimiteri l’unica cosa in cui ci si avvolge è il silenzio. La mia opinione non è stata accettata e la pratica continua. Siamo una società traumatizzata e perciò inculchiamo ai giovani anche cose senza senso attraverso l’educazione. L’unico modo di affrontare il trauma è insegnare al pubblico fatti precisi.
“L’Olocausto non fu pianificato in anticipo, ma proseguì per tappe. Ci fu sicuramente resistenza da parte ebraica, ed è importante, perché è una delle cose che distingue la reazione degli ebrei da quella di altri popoli che sono stati sottoposti a situazioni di genocidio. C’erano buoni Judenrat [Consigli ebraici dei ghetti] − soprattutto i primi − e Judenrat cattivi”.

Un capitolo del libro si intitola “Ritorno al presente: sull’identità ebraica, il secolarismo, il sionismo e un posto dove stare nel mondo”. In esso, Bauer affronta la questione se sia più preciso parlare di popolo ebraico o nazione ebraica; in che cosa consiste l’identità ebraica e se c’è un legame tra le identità ebraiche e il sionismo; e la natura del legame tra religione e Stato. Bauer se la prende con lo storico Shlomo Sand (autore dei libri The Invention of the Jewish People – tradotto in italiano come L’invenzione del popolo ebraico, Rizzoli 2010 – e The Invention of the Land of Israel). Ma la sua critica più sferzante va ai rabbini dell’estrema destra, che coltivano un messianesimo riemerso dopo la Guerra dei Sei Giorni nel 1967.

Bauer parla specificamente del libro Torat Hamelech, dei rabbini Yitzhak Shapira e Yosef Elitzur, che discute la questione di come la halakha − la legge religiosa ebraica − istruisce gli ebrei sulla questione dell’uccidere non ebrei durante le guerre o nei periodi di pace. Bauer ha letto le 230 pagine del libro molto attentamente e ha anche svolto ricerche sul fondamento religioso e ideologico su cui questo “verminoso fenomeno letterario-religiosoide” – come lo descrive nel suo libro si basa. E aggiunge: “Molti ebrei si comportano secondo gli imperativi di questi ‘rabbini’, che di fatto incitano allo sterminio di massa, e quindi sono potenzialmente responsabili di genocidio”.

Lo storico non trova nessuna essenziale differenza tra Shapira, Elitzur e il loro Torat Hamelech, e Sayyid Qutb, la figura di punta della Fratellanza Musulmana in Egitto negli anni 1950 e 1960; Abdullah Azzam, leader del movimento per la jihad globale; e Osama bin Laden. “Sono figure riprovevoli”, afferma Bauer.

Perché le definisce così?
“Il libro Torat Hamelech invoca l’assassinio sia dei non ebrei, intendendo i goyim, sia degli avversari di Israele, intendendo quegli ebrei di Israele che hanno qualche contatto con i goyim. In quanto tali, gli estremisti ebrei sono fondamentalmente simili all’antisemitismo islamico, che invoca l’assassinio degli ebrei ovunque. “I rabbini autori di questo libro cancellano il comandamento “Non uccidere” affermando che si riferisca solo all’assassinio di un ebreo da parte di un altro ebreo, ma che quello di un non ebreo sia ammissibile. Effettivamente invitano ad assassinare altri, come ad esempio i figli neonati dei nemici – i palestinesi – e vari tipi di eretici. Da quel punto di vista è ammissibile assassinare tutti i cristiani e i musulmani”.

Lei scrive che “Torat Hamelech” si basa, tra altre fonti, sulla Bibbia, sul Ghemara, su Maimonide, sul Shulhan Arukh (il Codice della legge ebraica) e i libri e regolamenti rabbinici scritti in generazioni recenti. La fonte primaria è “Leggi concernenti i re” di Maimonide.  E’ pericoloso basarsi su queste fonti?
“Le citazioni da queste fonti mettono i giovani nazionalisti nei territori in una situazione in cui vengono a costituire un pericolo per tutti noi, in modo sempre crescente. Io scrivo esplicitamente nel libro che c’è una possibilità che si verifichi un genocidio, anche se la massima probabilità di un evento di tal sorta è determinato di fatto dall’Islam estremo. In infiniti sermoni, i predicatori nelle moschee incitano ad assassinare gli ebrei dovunque siano – e hanno potere. Il gruppo ebraico nei territori costituisce un piccolo ma estremamente pericoloso riflesso dell’Islam estremo. “La religione estrema è utopistica proprio al nocciolo della sua esistenza, anticipando la ‘redenzione’ e gli Ultimi Giorni, e la venuta del Messia per realizzare l’utopia che, come ho detto e scritto, è un’utopia assassina. Tutte le utopie uccidono. Attenti a coloro che credono alla venuta del Messia”.

Che cosa dice di quei tifosi della squadra di calcio del Beitar Jerusalem che credono in un “puro Beitar” e sono contro l’arruolamento di giocatori musulmani? Sono influenzati dalle ideologie naziste?
“Non ci sono ideologie naziste, c’è una ideologia nazista. Per essere nazionalisti estremisti e odiare gli arabi, non c’è bisogno di rivolgersi a Hitler, basta pescare nella storia americana. Nella Costituzione originale uno schiavo nero era considerato tre quinti di un essere umano. Si può pescare nell’imperialismo britannico o francese o riferirsi all’anno 1449 a Toledo, in Spagna, dove fu approvata una legge di purezza del sangue diretta contro musulmani ed ebrei. E poi certamente, ci si può riferire ai nazisti. E’ una malattia universale, non solo nazista, ed è riconducibile a una spiegazione. “Come lo si combatte? Questo vecchio liberale dice: attraverso l’educazione e i principi della Rivoluzione francese. Non il socialismo, che su questo punto ha fallito tanto miseramente quanto il capitalismo. Io distinguo tra socialismo e social democrazia, che accetta il regime capitalista ma lo tempera con principi illuminati. Ho trascorso molto tempo in Svezia e Norvegia e con Ilana abbiamo adottato una figlia norvegese, così ne so qualcosa”. Quando l’onorevole Yair Lapid esclude l’unione con gli “Zuabi” −riferendosi al deputato arabo alla Knesset Hanin Zuabi al plurale − per bloccare la formazione di una coalizione di destra, e quando quasi nessun partito sionista vede i voti dei cittadini arabi e dei loro rappresentanti alla Knesset come un’opportunità, non è questo un altro aspetto della loro totale esclusione? E lei afferma che uno dei primi segni dello sradicamento di un popolo è la sua esclusione. “Non penso che sia giusto dire che nessun partito sionista tratta la popolazione palestinese in Israele da pari. Meretz non solo lo fa, ma ha anche un deputato arabo, come è dovuto visto che gli arabi sono un quinto della popolazione di Israele. La sinistra sionista ha sempre rivendicato questo. E’ vero che i laburisti e i loro predecessori del Mapai si sono comportati diversamente, ma secondo la testimonianza dell’attuale leader del partito, quella non è sinistra. Bene, nei miei occhi di vecchio, il sionismo non è tale se non tratta equamente la minoranza non ebrea. Ma dopo tutto io sono un dinosauro, così la questione diventa superflua da questo punto di vista. “L’esclusione totale non porta necessariamente al genocidio ed è solo uno dei possibili elementi perché un genocidio scoppi. Per esempio gli ebrei erano esclusi da tutto nella Germania nazista, ma non c’era alcuna necessità storica perché scoppiassero la guerra e l’Olocausto. Un regime antisemita avrebbe potuto svilupparsi anche senza lo stadio del genocidio. I nazisti non sapevano che avrebbero assassinato gli ebrei e fino al 1939 nessuno di loro ne parlava – in contrasto, ad esempio, con l’Islam estremo, che parla esplicitamente e incessantemente del bisogno di annientare tutti gli ebrei. A tal proposito non c’è alcun bisogno di minimizzare il pericolo dell’antisemitismo solo perché Netanyahu ne fa un uso demagogico. L’antisemitismo di sinistra britannico è un dato di fatto e va molto oltre la critica alla politica di Israele”. Perché nel libro afferma che uno dei tratti del “tipo di sinistra liberale di antisemitismo” è il fatto che i suoi pensatori di riferimento comprendono solo pochi ebrei e israeliani “che offrono una sorta di certificazione casher di stile ortodosso per l’antico odio contro gli ebrei”, e cioè proprio l’antisemitismo? “Naturalmente c’è un gruppo che si sente minacciato, a torto o a ragione. Può trattarsi di individui – particolarmente intellettuali non vogliono essere identificati con il gruppo minacciato – come i molti esempi di ebrei che si sono convertiti al cristianesimo e desideravano provare la loro nuova lealtà per mezzo di attacchi antisemiti. Per esempio Johannes Pfefferkorn, un ebreo di Colonia, che durante l’Impero germanico divenne un prete domenicano e scrisse ampi volumi contro gli ebrei.
“Oggi, l’antisemitismo si sta diffondendo tra le persone che si identificano con la sinistra, che affermano che qualcosa di innato negli ebrei sia contrario alle emozioni umane. Coloro che attccano Israele con un odio palese invocano l’annullamento dell’esistenza dello Stato, in altre parole rivendicano lo smantellamento di Israele da Stato ebraico e la creazione di un’entità palestinese dal mare al fiume. Questo dovrebbe incorporare Israele e le aree dell’Autorità Palestinese e di Gaza, che si pensa sia una base per affermare l’eguaglianza tra i due popoli ignorando l’identità e gli impulsi nazionali di parte ebraica. Queste persone attaccherebbero e distruggerebbero l’entità chiamata Stato di Israele, il che implica di uccidere quanti più ebrei possibile. In altre parole: un genocidio.”

La politica di occupazione giustifica una critica radicale. lei non pensa di stare esagerando sull’esistenza di piani genocidi contro Israele?

“Come può l’entità sionista essere annullata senza distruzione? Questa è l’implicazione di quel discorso. Al tempo stesso sono d’accordo che l’occupazione dei territori dell’Autorità Palestinese stia favorendo lo sviluppo di opinioni di questo tipo. Così le azioni dei giovani nazionalisti e dei coloni fascisti-religioso-messianici contro i loro nemici, che non vengono fermati dal governo nei loro atti come bruciare moschee, abbattere alberi e attaccare i palestinesi”.

Israele ha qualche possibilità di sopravvivenza?
“Lo Stato ha fondamenta forti e buone che non trovano sufficiente espressione concreta. Quando mio nipote aveva circa 16 anni, andava via di casa per ore. Alla fine i suoi genitori chiedevano delicatamente dove andasse e lui diceva che andava con quattro compagni di scuola a raccogliere cibo e vestiti per un sopravvissuto dell’Olocausto che viveva in condizioni miserabili e che andava ad aiutare quella persona un paio di volte alla settimana.
“Le ho detto precedentemente che sono attivo sulla questione del Darfur e non sono l’unico. Ci sono brave persone qui, sensibili alla sofferenza degli altri. Così, se da un lato dico che Israele affronta un grave pericolo, dall’altro c’è una possibilità di cambiamento. Gli storici sono fantastici quando si tratta di profetizzare il passato, ma si perdono quando si tratta di prevedere il futuro. Il futuro però non si perde mai.
“Io non credo nelle rivoluzioni, ma è possible che in Israele la situazione cambi. Questa possibilità rende la nostra vita degna di essere vissuta, e quindi concludo il libro con il popolo ebraico – del quale faccio parte, volente o nolente – e anch’io ho un briciolo di Elitzur-Shapira dentro di me, che sto cercando di superare ed eliminare dalla mia vita. Ecco perché sono pronto a identificarmi con questo popolo”.

Il suo lavoro di storico è caratterizzato da un’ossessione. La smania di leggere ogni nuova testimonianza e ogni nuovo libro che viene pubblicato crea dipendenza?
“Probabile, anche se non userei la parola ‘dipendenza’. Qualche volta mi chiedo se la mia ricerca mi ha nuociuto. Ho una libido forte – in questo sono come mio padre, che era sempre molto positive nelle circostanze più difficili della vita. I nostri figli – miei e di Ilana – mi hanno insegnato un po’ di buddhismo, che per me vuol dire vivere il presente senza ignorare né il passato né il futuro, e prendere le cose per quello che sono, con realismo”.

(www.gariwo.net)