Tu sei un bastardo

Libri

Tu sei un bastardo, il nuovo libro di Gad Lerner (Feltrinelli, 220 p., € 10,00) è un libro ironico e autoironico, una dimostrazione riuscita di come si possa affrontare il tema dell’identità con uno stile leggero e profondo e, contemporaneamente, un’arringa appassionata contro l’identità e un suo elogio.
L’ansia di avere una identità – altrimenti non si è nessuno – riguarda un tipico tratto della nostra quotidianità. Il dopo Muro è essenzialmente questo e gli effetti della globalizzazione sono anche un’ansia identitaria che si trasforma in “invenzione del passato” che molti cercano spasmodicamente per avere certezza di sé e perché intimoriti o disarmati di fronte alle domande e alle sfide che la globalizzazione propone.
Come a dire che se fuori piove, anziché armarsi di un ombrello e provare a misurarsi con un terreno ora più scivoloso, la decisione è quella di rimanere barricati in casa pensando che quell’ambiente circostante – prima noto – sia divenuto irriconoscibile e anche impraticabile e dunque da questo nuovo “estraneo” occorra difendersi.
Questa dimensione del “barricarsi in casa” costituisce il capitolo certamente più autobiografico del libro, quello che Lerner dedica alla “nuova questione ebraica” e che significativamente intitola “La nostalgia del ghetto” (pp. 43-63).
Che cos’è la nostalgia del ghetto? E’ quella cosa in cui l’antinomia identità-differenza viene esasperata esaltando il concetto di distinzione; in cui la condizione di incertezza o di costante lacerazione viene definita non già come caratteristica di una vicenda storica che forse oggi ha raggiunto una dimensione universalistica perché la “purezza” non è una condizione più esistente, essendo il meticciato la condizione comune (appunto l’essere tutti bastardi), ma come la rivendicazione di una particolarità specifica da non condividere.
In breve l’elogio della differenza come identità, e non come processo in cui si è costantemente qualcosa nella storia che muta nel tempo e col tempo si misura. Un processo che è reso possibile dalla cooperazione tra i guardiani della continuità (i “cultori della siepe”) che le antenne culturali che guardano fuori (i “discoli”).

In breve, dice Gad Lerner, chi sono gli ebrei? Sono la storia di un continuo processo adattativo che nel corso del tempo hanno preso e dato, perduto e ricomposto, che hanno raccontato la loro nostalgia ma avendo ben chiaro che indietro non si torna mai e che le sfide vanno superate misurandosi con le novità, non rifiutandole perché poco conformi al codice in quel momento egemone. Il codice si riscrive ogni volta che cambiano le coordinate e non ci si autosospende dalla storia pensando così di salvare se stessi, facendo del proprio codice un giubbetto antiproiettile. Quel corsetto sarà così stretto che alla fine avrà l’unico effetto di soffocare il malcapitato che lo indosserà.
La soluzione, tuttavia, non è nel gettarlo, bensì nel modificarne la taglia e la foggia. Non si sopravvive alla storia dicendo no e così preservando se stessi. Guardiani del codice e antenne (“cultori della siepe” e “discoli”) in un rapporto costante di conflitto e di incontro, di scambio e di confronto, permettono che nel tempo quella cosa che si chiama ebraismo continui a mantenere un filo, ma nessuno possa dire è sempre uguale.
E’ esattamente il contrario della massima del principe di Salina ne “Il Gattopardo” di Tommasi di Lampedusa. Lì tutto cambia perché tutto resti uguale e qui cambia qualcosa perché la staffetta delle generazioni nella storia possa continuare.
Forse col tempo l’identità una volta che la si rivendichi come nostra storia è un atto d’orgoglio. Ma questo è più il risultato di un’abitudine che la conseguenza di un vero atto di libertà.
L’identità è un processo (una vicenda nel tempo) in cui contano molte cose: la vita quotidiana con le sue ripetitività; gli incontri che si sono avuti; gli amici le delusioni; le letture; le scelte. Ma soprattutto la consapevolezza di sapere che si riceve un identità e poi la si riscrive attraverso la propria vita e quella con gli altri nel tempo e lungo questo arco di tempo ciò che chiamiamo identità non è lo stesso kit di cose e immagini che abbiamo ricevuto all’inizio.