Nicole Krauss

La vita è una selva oscura nel nuovo romanzo di Nicole Krauss

Libri

di Marina Gersony
Immergersi in un libro di Nicole Krauss, l’affascinante scrittrice newyorchese dal Dna caleidoscopico (madre inglese e padre americano cresciuto in Israele, nonni materni nati in Germania e in Ucraina e nonni paterni nati in Ungheria e Bielorussia), significa ogni volta intraprendere un viaggio intimo, introspettivo ed emotivamente coinvolgente. Un mix cromosomico, quello dell’autrice, che si riflette nella scrittura densa e magmatica dove i luoghi delle origini familiari sono sempre al centro dei suoi romanzi tradotti in ben trentacinque lingue.

Abbiamo incontrato Nicole di passaggio a Milano per promuovere il suo ultimo romanzo, Selva oscura, pubblicato dall’editore Guanda. (Hanno scritto: «Nicole Krauss è al suo meglio. Una intelligenza folgorante, una scrittura elegante. Un risultato eccezionale», The Guardian; «Un romanzo straordinario. Sono pieno di ammirazione», Philip Roth).

In quest’ultima opera l’autrice de La storia dell’amore, Un uomo sulla soglia e La grande casa – segnalata nel 2010 dal New Yorker tra i venti migliori americani under 40 -, parte dal preciso istante in cui un’intuizione, un qualcosa di ineffabile o una presa di coscienza determina un cambio radicale nella vita di un individuo, sottraendolo agli abituali modelli di comportamento. È quello che accade a Jules Epstein, uno dei protagonisti del romanzo che dall’oggi al domani, dopo aver sistemato per bene le sue cose, decide di sparire nel nulla senza lasciare traccia. Gli ultimi indizi lo danno all’hotel Hilton di Tel Aviv, da dove inizia la ricerca dei tre figli. Avvocato newyorkese di chiara fama, ricchissimo, caratteriale ed eccessivo nelle sue manifestazioni, dopo aver passato la vita ad accumulare ricchezze, l’uomo decide di mettere la parola fine a carriera, patrimonio e vita sociale per ricongiungersi alle sue radici ebraiche e onorare la memoria dei genitori. A questo punto si sviluppa la storia parallela di una scrittrice americana che arriva a sua volta nello stesso albergo dopo aver lasciato Brooklyn, marito e figli, spinta dalla necessità di trovare una via d’uscita alla crisi personale e creativa che l’affligge.

Nasce così un intreccio di storie e di destini che si incontrano, si scontrano, si smarriscono e si ritrovano in quella selva oscura di dantesca allusione (e illusione) che è la vita.

Nonostante nel libro della Krauss venga precisato a chiare lettere che trattasi di «opera d’invenzione dove riferimenti a persone, eventi, gruppi, organizzazioni o luoghi hanno soltanto la funzione di conferire un senso di autenticità al racconto e sono utilizzati con libertà d’invenzione narrativa», e nonostante lei stessa abbia dichiarato in una recente intervista a Vanity Fair «che no, questo libro non è più autobiografico, a meno di non volere dire che tutti i miei libri lo sono perché attingono alle mie esperienze personali», di fatto i riferimenti della protagonista del romanzo alla vita della scrittrice sono innegabili ed evidenti. (Sul divorzio di Nicole Krauss e Jonathan Safran Foer, ex coppia letteraria glam negli Usa e non solo, sono stati versati ettolitri di inchiostro, ndr). Ma questo è poco rilevante alla luce del risultato narrativo di indubbio spessore. In fondo, come disse il grande García Márquez in una celebre intervista, si deve scrivere di ciò che si conosce, che capita, che è stato letto o raccontato… Non c’è dunque da stupirsi se la Nicole Krauss romanziera si dissolva, si distacchi e si ricongiunga senza sosta al suo Doppelgänger, il suo doppio, romanzato…

Molto ci sarebbe da dire di questo romanzo vibrante che offre un’infinità di spunti per varie riflessioni: dall’ebraismo percepito con un certo stupore e fascinazione all’amore per Tel Aviv, descritta con brevi e sapienti pennellate capaci di cogliere l’anima profonda della città ma anche quella israeliana. «Mi ritrovai a parlare liberamente dei miei molti ricordi di Israele, delle storie che mi aveva raccontato mio padre sulla sua infanzia a Tel Aviv e del mio rapporto personale con la città, che spesso consideravo la mia vera casa più di qualsiasi altro posto al mondo […] – scrive Krauss – . Mi sentivo a mio agio con la gente di lì come non mi succedeva mai in America, perché tutto si poteva toccare, ben poco veniva mantenuto nascosto o inespresso, le persone provavano il vivo desiderio di lasciarsi coinvolgere da qualsiasi vicenda gli altri avessero da offrire, per quanto intricata e passionale, e questa apertura, questa immediatezza mi davano l’impressione di essere più viva e meno sola; mi facevano pensare, in un certo senso, che ci fossero maggiori possibilità di una vita autentica». Ma l’amore della scrittrice va al di là di tutto questo, infatti a Tel Aviv «c’era lo spudorato degrado degli edifici, addolcito dal vivido fucsia delle buganvillee che coprono ruggine e crepe, affermando l’importanza della bellezza fortuita rispetto alla necessità di salvare le apparenze […]; c’erano le sacche di surreale in cui ci si imbatteva ovunque, continuamente, all’improvviso, pronte a esplodere e a far saltare in aria la ragionevolezza come una valigia abbandonata all’aeroporto Ben  Gurion».

Pagina dopo pagina, il romanzo è intriso di un impercettibile senso di straniamento che si riflette nei personaggi e nei luoghi. Uno fra tutti l’Hotel Hilton, casermone con qualcosa  di familiare dove proteggere il proprio tempo e il proprio spazio e dove l’io narrante trascorreva le vacanze da bambina consegnando all’edificio e alle sue stanze una parte di sé.

Tutto è sottilmente unheimlich nel romanzo della Krauss, a tratti un po’ ansiogeno e inquietante, ma anche ricco di humor, ironia e atmosfere kafkiane: non a caso la protagonista incontra un vecchio amico del padre, un professore di letteratura in pensione, che la vuole coinvolgere in un progetto legato a un’opera incompiuta di Franz Kafka, un compito impegnativo che si trasformerà per lei in una sfida non solo professionale.

Dalla letteratura e la sua funzione alla relazione con se stessi, dalle certezze volatili alle contraddizioni, dall’espresso e all’inespresso, dal gestibile all’ineluttabile, dalle digressioni ai ritorni fino alla consapevolezza della difficoltà di essere ebrei, combattuti fra rispetto della tradizione ed emancipazione, fra le proprie origini e le nuove esigenze spirituali e culturali, in un eterno conflitto che si dipana da generezione in generazione nei secoli. Ogni cosa si mescola e ogni cosa accade nella selva oscura della Krauss che scrive nella nota finale: «Il titolo di questo libro è tratto dai versi di Dante che mi vennero citati alcuni anni fa durante un lungo tragitto in macchina verso Gerusalemme: Nel mezzo del cammin di nostra vita / mi ritrovai pe una selva oscura / ché la dritta via era smarrita

 

Selva oscura di  Nicole Krauss; Collana Narratori della Fenice; Editore Guanda;  Traduzione di Federica Oldera; pagg. 336 pagine; € 19,00