La sociologa israeliana Orna Donath

Non volere figli: come Orna Donath ha infranto un tabù

Libri

di Nathan Greppi

Nella cultura israeliana, e più in generale in quella ebraica, fare figli viene solitamente visto come una virtù, un contributo che dai alla società. Non a caso, il tasso di natalità in Israele è di circa 3 figli per coppia, circa il doppio di quella nel resto dell’occidente (in Italia è 1,34). Inoltre, nello Stato Ebraico non sono solo le donne ortodosse ad avere molti figli, ma anche le laiche, in quanto avere famiglie numerose dimostra un alto tenore di vita.

A questo si aggiunge la paura di essere superati di numero dalla popolazione musulmana, che secondo il Central Bureau of Statistics nel 2015 in media faceva 3,32 figli per coppia, contro i 3,13 degli ebrei (cristiani e drusi, invece, nello stesso anno ne facevano rispettivamente 2,12 e 2,19).

In un simile contesto, può sembrare strano che una donna decida volontariamente di non avere figli; eppure è esattamente ciò che ha fatto Orna Donath, sociologa che insegna all’Università Ben Gurion, la quale ha intervistato numerose donne che la pensano come lei. Ed è l’11 luglio, in occasione dell’uscita negli USA del suo libro Regretting Motherhood (in Italia è stato pubblicato ad aprile come Pentirsi di essere madri dalla casa editrice Bollati Rodinghieri), che il sito Tablet Magazine ha deciso di dedicarle un lungo articolo.

Edizione italiana di Pentirsi di essere madriPer scrivere il libro la Donath, 39 anni, dal 2008 al 2013 ha intervistato 23 donne israeliane provenienti da realtà diverse: religiose e laiche, ashkenazite e sefardite, ceti alti e bassi. Secondo lei, la società in cui vivono tende a etichettare come irresponsabili e narcisiste le donne che non vogliono mettere su famiglia. Ad aggravare la questione vi è il fatto che il Governo Israeliano investe più soldi per facilitare le fecondazioni in vitro di ogni altro governo al mondo. Questa politica, se da un lato è molto utile per le donne che vogliono diventare madri, dall’altro incentiva la stigmatizzazione di tutte coloro che non fanno figli per scelta.

Inutile dire che l’uscita del libro ha suscitato numerose polemiche in Israele, ma non solo li. In Germania, ad esempio, dopo che il libro è stato tradotto molte donne hanno scritto alla Donath, confessandole che le loro famiglie disapprovano il loro desiderio di non avere figli. Tuttavia, secondo lei la situazione sta gradualmente migliorando negli ultimi anni, e la prova viene dal lessico odierno: la parola ebraica per identificare il desiderio di non avere figli, al-horut (letteralmente “non maternità”, “non genitorialità”), è apparsa per la prima volta 12 anni fa. Da allora, essa è diventata sempre più usata, e senza connotazioni dispregiative.

Quando il libro è uscito in Italia, la Donath ha rilasciato un intervista a Il Fatto Quotidiano in cui dichiarava di non essere contro la maternità e contro i bambini, ma semplicemente di voler spiegare che essere madri non deve essere necessariamente una bella esperienza, e che non tutte le donne vogliono diventare madri. Lei, ad esempio, ha deciso a 16 anni che non voleva essere madre, ma per molto tempo i suoi genitori hanno pensato che scherzasse. È stato solo dopo l’uscita del libro che hanno capito come stavano le cose.