Il nuovo siddur

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Il nuovo libro di preghiere (siddùr) milanese di rito italiano è stato presentato al pubblico con interventi del rabbino capo, rav Alfonso Arbib, del finanziatore dell’opera, Edgardo Lusena, che attualmente vive in Israele, di rav Elia Richetti che ha fatto parte dei revisori, dei parnasim dei templi di via Guastalla e di via Eupili e infine dell’editore, David Piazza, fondatore di Morashà. A lui abbiamo chiesto chiarimenti su alcuni punti emersi durante la serata.


C’era bisogno di un nuovo siddùr? Che cosa non andava in quello di rav Disegni?

Rav Dario Disegni prima e dopo la guerra intraprese, unico nella storia dell’ebraismo italiano, un imponente sforzo editoriale pubblicando siddurìm per tutte le varianti di rito italiano, quello di Milano, quello di Torino e anche quello di Roma di Kippùr. Lo scopo principale era di fornire un supporto agli ebrei per la preghiera; tutti i siddurìm comparvero con una traduzione italiana a fianco, perché il grande pubblico non era più in grado di seguire il solo testo ebraico. Purtroppo l’edizione dei giorni feriali e shabbàt per Milano è di 58 anni fa e nel tempo si è proceduto a cattive ristampe anastatiche che ne hanno deteriorato la leggibilità. Ecco il bisogno di una nuova edizione.

Non bastava acquistare copie in Israele come fanno tutti i templi sefarditi di Milano?
Magari! Il rito italiano (chiamato fin dal Talmud Benè Romi – Figli di Roma), a parte i piccoli templi di Yerushalàyim e Ramat Gan, è seguito solo nelle Comunità in Italia e nemmeno da tutte: Livorno, Firenze e Venezia pregano in una variante “italiana” del rito sefardita. Quindi per avere un nuovo siddùr l’unica opzione era intraprendere, grazie all’editoria basata sul Personal Computer, una nuova edizione che ha comunque comportato la lunga e laboriosa digitazione totale dei testi necessari.

Perché, che cosa c’entra il PC?
In tempi antichi per comporre un qualsiasi testo per la stampa bisognava pazientemente unire uno a uno i caratteri mobili di piombo. In epoca moderna, prima con macchine tipo Linotype e poi con i calcolatori, il processo di composizione si è evoluto, ma stiamo parlando sempre di attrezzature che richiedevano investimenti enormi con costi proibitivi. La vera rivoluzione è stato proprio il PC (anzi il Mac) che con poche migliaia di euro ha permesso di avere uno strumento professionale che permetteva non solo la composizione ma infinite correzioni fino ad arrivare a un prodotto estremamente curato e a prezzi accessibili.

Il PC esiste almeno da 15 anni, perché allora questo ritardo?
Questo a mio avviso c’entra poco con problematiche di rito o sistemi tecnici. È ragionevole ipotizzare che siamo di fronte a due mentalità diverse tra loro: gli ebrei di rito italiano, fino a qualche anno fa maggioranza a Milano, non solo hanno convissuto in una Comunità praticamente omogenea e fortemente centralizzata, ma hanno adottato nei confronti di questa istituzione un atteggiamento “statalista” e assistenzialista.
Ritengo cioè che l’ebreo di rito italiano preferisca spesso aspettare (o pretendere) che le sue esigenze religiose, come nel caso dei siddurìm, siano esaudite dalla Comunità centrale. Il problema è che oggi il modello comunitario è in costante cambiamento. L’ebreo di rito sefardita invece, sia perché spesso è un immigrato, sia perché ha conosciuto modelli comunitari diversi e non unitari, ha sviluppato la tendenza all’autonomia, senza aspettarsi nulla dall’alto. Per fortuna oramai la situazione appena descritta appartiene al passato e in tutte le Comunità d’Italia siamo testimoni di un nuovo spirito che porta vecchi templi a contare maggiormente sulle loro forze e anche all’apertura di nuovi spazi in piena autonomia economica.


Come è stata finanziata allora la pubblicazione?

Devo ammettere che avendo concluso proprio quest’anno con Sukkòt la serie dei siddurìm di rito italiano, nella variante per la Comunità di Roma, eravamo rassegnati a non avere un’edizione milanese perché, se nel mondo gli ebrei di rito italiano sono una minoranza, a Milano sono in realtà una “minoranza della minoranza”. Eppure un assiduo frequentatore del tempio di via Eupili, Gianemilio Stern, ci ha fatto conoscere Edgardo Lusena che, preso dall’entusiasmo, ha deciso non solo di finanziare l’opera ma di donare centinaia di copie del siddùr ai templi milanesi, dedicandoli a un grande ebreo milanese, suo zio Yoseph Colombo, che univa una profonda conoscenza ebraica a una cultura umanistica a largo raggio, ricoprendo anche la cattedra di preside al Liceo Berchet. È straordinario che anche l’ebraismo milanese di rito italiano sia riuscito a trovare le energie che gli permettono di conservare e innovare una tradizione specifica così importante.