Il caso Zolli

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Il caso Israel Zoller – Eugenio Maria Zolli, a 60 anni di distanza dagli avvenimenti cruciali è un episodio che fa ancora discutere e su cui esistono aspetti non chiariti, una sorta di piccola ferita ancora aperta. Certo i tempi sono cambiati, ma ancora nell’anno 2000 la San Paolo edizioni ha pubblicato un volume (Judith Cabaud, Il rabbino che si arrese a Cristo), il cui contenuto è ben esplicitato del titolo, e che suscitò polemiche vivaci. Colpiva, allora, che una casa editrice cattolica, che pubblicava testi di Martin Buber piuttosto che di Ibn Paquda, tra l’altro con una grande cura filologica e scientifica, potesse contemporaneamente pubblicare un testo di esplicita propaganda per la “conversione” degli ebrei al cristianesimo.
Il libro di Gabriele Rigano interviene dunque su un problema che è distante ormai tanti anni e che riguarda in fondo una sola persona (ancorché Rabbino capo del Tempio Maggiore di Roma), sembrerebbe di secondaria importanza, quasi solo di erudizione storica.
Non è invece così: proprio per il fatto che il focus centrale di questa vicenda è la conversione al cristianesimo cattolico romano del Rabbino capo della più numerosa comunità ebraica italiana, avvenuta nel contesto della liberazione di Roma da parte delle truppe Alleate, di cui faceva parte anche la Jewish Brigade e, possiamo dire, anche dopo le vicende connesse alla deportazione degli ebrei romani del 16 ottobre 1943.
Il merito principale del libro è sicuramente la importante ricerca storica che ha alle spalle. L’autore utilizza con competenza e sicurezza una quantità di fonti degli ambiti più diversi per delineare il quadro di una storia problematica e assai difficile: la vicenda richiede ormai il distacco dello storico, ma le fonti sono ancora influenzate dalla passione e dalla polemica dell’attualità.
Il libro segue tutta la vicenda umana di Israel Zoller – Eugenio Zolli, sia dello studioso di religioni comparate e del semitista, che dopo il passaggio al cattolicesimo romano diverrà docente all’Università di Roma e alla Pontificia Università Gregoriana, che del Rabbino, prima di Trieste poi di Roma e si conclude con il testo integrale della lunga intervista da lui rilasciata nel 1950 a un inviato del quotidiano israeliano Ma’ariv.
La storia personale di Zolli è però inquadrata in maniera molto efficace nell’insieme degli avvenimenti e delle situazioni contemporanee, sia quelle riguardanti la storia delle comunità ebraiche italiane dell’epoca, sia quelle riguardanti i rapporti con il governo fascista, che la persecuzione razziale e la guerra, la liberazione di Roma da parte degli eserciti Alleati, i rapporti con il mondo cattolico. In questo modo il lettore anche non specialista del periodo riesce ad inquadrare bene, nel momento e nell’ambiente, quanto viene raccontato.

La ricchezza della documentazione utilizzata e la competenza dell’autore sono davvero notevoli. Ad esempio a pag. 250 viene citato un passo delle memorie di Zolli, ripreso poi in forma diversa nell’intervista a Ma’ariv, in cui egli, per respingere l’accusa gravissima di aver abbandonato la sua Comunità ad un tragico destino, preferendo nascondersi e scomparire non appena ebbe sentore delle possibili persecuzioni da parte dei nazisti, cita il rabbino Pacifici di Genova. A dire di Zolli, Pacifici, in seguito alle percosse e alle torture da parte delle SS “fu costretto a convocare le famiglie ebree nel Tempio promettendo loro salvezza da imminenti pericoli. Furono deportate assieme a lui”. Ebbene, nota Rigano, non fu il rabbino Riccardo Pacifici, deportato ad Auschwitz ed immediatamente ucciso, ma il custode della sinagoga, sotto le minacce delle SS, a convocare gli ebrei, tra cui il rabbino.
Ovviamente non tutto viene chiarito, è sempre difficile quando si parla di una singola persona, che per di più passò gli ultimi anni della sua vita a cercare di discolparsi da accuse infamanti (già citata quella di essere fuggito dinnanzi alla persecuzione, anteponendo la propria salvezza a quella della sua comunità e, essendo in grado di farlo, di non averla avvertita del pericolo imminente, ma anche quella di aver continuato ad officiare come rabbino quando era già intimamente convertito al cattolicesimo romano, arrivando ad emettere una sentenza di divorzio due giorni prima di ricevere il battesimo).

Uno dei meriti del libro è quello di inquadrare molto bene il pensiero e l’opera di Zolli nell’ambiente culturale del suo tempo: egli fu un importante studioso di lingue semitiche antiche e di storia comparata delle religioni, scienza che stava nascendo in Italia negli anni Trenta. E probabilmente, secondo la ricostruzione effettuata da Rigano, fu questo l’aspetto prevalente e predominante del suo approccio alle problematiche religiose che determinò anche il suo rapporto con l’ebraismo. Non dimentichiamo che l’approccio allora prevalente alla tematica era di tipo evoluzionistico, dall’antico – primitivo al moderno – evoluto. Questo spiega anche la lontananza dalla pratica delle mitzvoth (che invece normalmente ci si aspetta da un Rabbino) e che non può non stupire: sono riportate testimonianze che affermano che a casa di Zolli non si rispettavano le norme della Kasherut, che il Rabbino si recava al Tempio solo per le ufficiature dei sabati e delle feste, ma non era mai presente alle preghiere. E anche il disprezzo, o la noncuranza con cui si rapportava alla tradizione ebraica, fino ad invitare pubblicamente chi suonava lo shofar durante Yom Kippur “a sbrigarsi con quella trombetta”.
A questo si aggiunge una forte componente mistica di tipo decisamente poco ebraico, vicino invece a figure come Francesco d’Assisi (infatti Zolli si fece terziario francescano) o anche, per certi versi a Giovanni della Croce o Teresa d’Avila. Questa componente fu certo rafforzata da alcune visioni che Zolli disse di aver avuto prima della sua conversione, e in cui gli sarebbe comparso Gesù.
Ma ci sono anche aspetti più quotidiani e meno nobili nella vicenda personale di Zolli, come il forte conflitto che lo oppose ai maggiorenti della comunità di Roma dopo il ritiro dei tedeschi dalla città, quando il governo provvisorio italiano e l’amministrazione militare alleata lo ri-nominarono rabbino capo. Quando cominciò a diffondersi la notizia della conversione di Zolli, i due rabbini militari delle forze alleate si recarono a trovarlo “per tentare di indurlo alla ragione, ma fu tutto inutile. Zolli usò parole molto dure verso la Comunità, e parlando del suo gesto usò un temine ebraico che rimase impresso nella memoria dei due Rabbini militari, meshammed lehakh’is, che vuol dire convertito per vendetta”.

Gabriele Rigano, Il caso Zolli, Guerini Studio, pp. 447, euro 29,50