Identità ebraica: un dibattito ancora aperto al centro dell’incontro di Limes

Libri

di Paolo Castellano

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Da sinistra: David Meghnagi, Davide Assael, Rav Giuseppe Laras e Lucio Caracciolo

Qual è attualmente la condizione dell’ebraismo della diaspora e di Israele? Al quesito hanno cercato di rispondere i collaboratori e gli intellettuali della rivista italiana di geopolitica Limes che nel numero di novembre ha ospitato importanti contributi incentrati sul tema “Israele e il Libro”.

In concomitanza con la pubblicazione del volume, l’associazione Italia-Israele ha organizzato il 12 novembre una tavola rotonda presso il salone degli Affreschi dell’Umanitaria a cui hanno partecipato Lucio Caracciolo, Rav Giuseppe Laras e David Meghnagi.

L’incontro è stato condotto dallo studioso Davide Assael che ha introdotto così il dibattito: “Il numero  di novembre vuole tracciare una linea di continuità tra l’antico e il moderno. Da come si capisce dal titolo “Israele e il Libro”, si sono seguite delle linee bibliche che rappresentano il nome di un’identità e non solo di uno stato. Attraverso le categorie bibliche viene evidenziata quella linea di continuità con la Torah e l’ebraismo moderno. E’ inoltre presente una sezione dedicata ad Israele visto dagli altri”.

Dopo la breve introduzione ha preso la parola Lucio Caracciolo, direttore responsabile della rivista Limes: “Alcuni mi hanno chiesto perché abbiamo fatto questo numero. L’idea era quella di esaminare il rapporto tra l’elemento sacro e l’identità dello Stato israeliano oggi. Lo abbiamo fatto in un momento freddo ma è uscito in un momento caldo e nel mezzo della disputa sul monte del  tempio. Il punto di partenza è stato un discorso di Netanyahu del 2009 che ha ribadito l’identità storica di Israele: non è affatto la riparazione dell’Olocausto come pensa la vulgata. Il premier ha parlato di una tradizione che dura da 3500 anni. Parole significative, dette soprattutto da un politico noto non per la sua religiosità. In quel discorso viene ribadito il diritto di esistere sulla base di una storia millenaria. In seguito anche altri politici lo hanno fatto. Questa tendenza è interessante per capire come stiano evolvendo l’identità israeliana e i riferimenti religiosi. Abbiamo cercato di spiegare tali cambiamenti attraverso un tentativo filologico legato all’attualità. Cosa rappresentano oggi queste vicende e dispute?”

Dopo l’intervento del direttore della rivista, la parola è passata a Rav Laras: “Oggi solleviamo un grande tema: la legittimità del popolo ebraico di tornare alla madre terra. E’ un argomento legato all’antisemitismo: secondo alcuni è il motivo contingente di fare l’Aliyah e per altri la Shoah avrebbe determinato la nascita di Israele. Questi elementi hanno funzionato da acceleratori ma non da cause. Riguardo a questo problema vorrei riportare il resoconto di un colloquio avvenuto a cavallo dell’800 a Vienna tra Leon Pinsker e il rabbino capo della città Adolph Jallinek. Il primo proveniva dalla Russia e chiedeva un aiuto contro l’antisemitismo. Jallinek dopo averlo ascoltato gli rispose che non esisteva più e gli consigliò di curarsi in Russia. Jallinek era la voce dell’establishment ebraico europeo. In quell’epoca l’antisemitismo suonava male e contraddiceva i convincimenti secondo cui prima o poi tutto sarebbe tornato alla normalità. La legittimità del popolo ebraico consiste nel costruire e ricostruire un’identità statuale in Israele e su questo ci sono diverse testimonianze. Nel secondo secolo dell’era volgare, all’inizio del grande esodo venne messa a repentaglio la possibilità dell’unità dei popoli. La scrittura della Mishna raccoglie tutte le tradizioni orali del popolo ebraico. Perché lo riteniamo un testo unitario? Perché per una diaspora così lunga serviva un testo che tenesse insieme le varie osservanze per non avere delle mini-osservanze che avrebbero determinato lo scioglimento del popolo ebraico. Nella coscienza dei responsabili durante quella notte c’era la convinzione che al loro risveglio ci sarebbe stato il ritorno alla terra dei padri. Quindi parliamo di un elemento di legittimazione e non di invenzione. Oggi però il discorso è politico, più forte. E c’è difficoltà nel procedere al confronto”.

Dopo l’interpretazione sull’identità dello Stato ebraico di Rav Laras ha preso la parola David Meghnagi, docente e direttore del master internazionale in didattica della Shoah presso l’Università degli Studi Roma Tre: “Alcune cose sono resistenti al cambiamento del mondo. I buchi neri hanno bisogno di un contenitore, pensiamo per esempio al genocidio degli Armeni. La narrativa è impregnata di elementi ideologici, mitici che il pensiero sottopone a critica. La narrativa però è radicata all’interno di meccanismi storici. Si possono creare quindi sia delle falsificazione che delle testimonianze. Bisogna dunque contestualizzare gli eventi e questo non è un fatto strumentale ma è solamente una rilettura diversa dei problemi. Ho vissuto 50 anni in Italia e  in passato sarebbe stato impossibile affrontare questo tema – ha poi aggiunto –  la realtà è che l’ideazione e la visione di Israele è il frutto di un convergere di elementi diversi: l’emancipazione ovvero la formazione di un nuovo ebreo liberato dai vincoli di una religiosità opprimente. C’è stata una rilettura della vita ebraica anche sulla scia maimonidea. I rabbini di Tripoli erano tutti sionisti rispetto ad altri che non lo erano. La storia ebraica è estremamente variegata. Per un ebreo cresciuto con un’ideologia marxista non c’era un mito romantico politicamente impregnato di un concetto di patria ma imperniato sulla teoria della piramide rovesciata. Tutta la tradizione marxista nel 1844 si basava sulla de-giudeizzazione. Marx diceva che eravamo tutti ebrei de-umanizzati. Gli Ebrei allora sono l’immagine dell’etica, l’ebraismo è la religione della ragione”. Il Prof. Meghnagi ha inoltre espresso alcune riflessioni sulle comunità ebraiche sparse per il mondo e ha affermato che  in Europa quella più numerosa si trova in Francia. “Altro che intolleranza del vicino oriente. Non siamo messi bene in Europa se non poniamo la nostra convivenza sulle basi di saldi valori. Noi Ebrei abbiamo paura perché sappiamo che questi fermenti ci colpiranno. Gli Ebrei in passato si sono difesi fino al ’33 in Germania. Gli Ebrei hanno combattuto sempre per la loro libertà tenendo viva la loro tradizione. Hanno lottato anche per la liberazione dei propri paesi. Siamo dunque di fronte a una composizione dodecafonica. Spesso quando si parla di Israele parliamo di noi stessi. Si può conservare la propria identità sull’umorismo ma nel mondo reale serve altro”.