ELISIR DI LUNGA VITA IN RIVA ALL’ARNO

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Una ventata di allegra follia, quasi nel solco della tradizione chassidica, sembra aver indotto il comitato direttivo nazionale dell’AME (Associazione Medica Ebraica) ad organizzare a Firenze, a cura dell’attivissimo collega Carlo Beniamino Santarlasci, un convegno dal titolo stuzzichevole di “Elisir di lunga vita” nel bel mezzo del mese di novembre ed in una domenica prevedibilmente plumbea, come puntualmente è stata, che avrebbe altrimenti indirizzato ad una mesta visita ai Sepolcri di foscoliana memoria. Ovviamente, come è nella tradizione ebraica, diversi elementi “nascosti nelle pieghe del testo” al di là della prima impressione superficiale, hanno dimostrato che questa scelta è stata appropriata e stimolante.
Il convegno, che ha affrontato sotto differenti profili il tema così lievemente indefinito dell’invecchiar bene, si è aperto con le calde parole di benvenuto e di introduzione di Rav Joseph Levi che, rivolgendosi in particolare al pubblico di medici, ha ricordato il punto di vista ebraico sulla necessità della cura della persona, ben lontana dalla passiva acquiescenza alla malattia che, se pur è creazione divina, si deve tentare di trattare o almeno rendere più tollerabile.
Due prestigiosi studiosi , maestri di pensiero ebraico e di ermeneutica biblica, Rav Gianfranco di Segni e il Prof Haim Baharier, hanno affrontato il tema – sotto la specie di “elogio della vecchiaia” – prendendo le mosse (ecco una evidente coincidenza di caso e necessità nella scelta della data!).
dalla Parashà del sabato appena trascorso, Chayé Sarà,e dalla precedente, Vayerà, incentrate sulla storia di Abramo, Sara e Isacco e fonte di infiniti spunti di riflessione e approfondimento. E’ qui che per la prima volta nella Torà, che pure ha già elencato una lista lunghissima di pluricentenari della forza di Matusalemme, compare il concetto di “vecchiaia”, di “uomo vecchio”; e questo perché, racconta il midrash, per evitare che la gente dubitasse che Isacco fosse davvero figlio di un centenario e di una novantenne, la sua faccia divenne identica a quella del padre al punto che non si potevano distinguere l’uno dall’altro. Fu a quel punto che ad Abramo vennero i capelli bianchi e fu detto “il vecchio” – o sechen che – secondo il Talmud – può essere letto scomponendone le lettere in “questo ha comprato saggezza”. E la vecchiaia di Abramo , ringiovanito nello spirito dalla tardiva paternità, fonte di saggezza che va ascoltata e onorata dai giovani, viene indicata a simbolo della giusta distinzione fra le generazioni,. Secondo un altro commento, citato da Haim Baharier, Abramo è divenuto vecchio quando, avendo taciuto per tutta la preparazione del sacrificio di Isacco fino alla sua mancata esecuzione, al momento di far scendere il figlio dall’altare sbotta in un “fin qui Ti ho creduto, adesso dico no!”.

Il celebre augurio “fino a 120 anni!” – mitigato prudentemente a 100 anni dal Pirké Avot – ma che, ricorda il biologo Di Segni, è del tutto compatibile con la possibilità di sopravvivenza del nostro organismo se ben curato dalla medicina moderna, si inserisce nel concetto di armoniosa e progressiva trasmissione della conoscenza da una generazione all’altra, man mano che i vecchi esauriscono le loro forze concludendo la loro opera e preparandosi – pur con inevitabile rimpianto – a scomparire. E’ molto bella la lettura che Haim Baharier ha riportato fra le migliaia di commenti e interpretazioni che riguardano il racconto della morte di Mosé, a riguardo di come abbia fatto lui stesso a finire di scrivere la Torà se era morto dopo aver indicato Giosué come suo successore: giocando sul significato del sostantivo demà = lacrima che, letto al contrario, madà significa conoscenza, si delinea la poetica figura di Mosè che piange sul divieto divino di entrare in terra di Canaan e scrive gli ultimi versetti della Torà con le lacrime; Giosué non farà altro che ricalcare la scrittura del suo maestro come se fosse stata tracciata con l’inchiostro simpatico e poi miracolosamente tornata visibile.
L’aspetto più propriamente medico del convegno è stato trattato da due specialisti nelle discipline che, geriatria a parte, forse più delle altre si occupano dell’invecchiamento sotto il profilo della cura del proprio corpo, la ginecologia e la chirurgia estetica. Il Prof. Andrea Genazzani, ordinario di Ginecologia all’Università di Pisa, ha esposto la sua visione profondamente empatica poetica della transizione dall’età fertile alla menopausa, momento assai delicato per il corpo e la psiche femminile, con le trasformazioni che essa comporta; per la specie umana, caso eccezionale nel mondo animale, la menopausa può essere considerata un privilegio da un punto di vista “biologico” perché, se la donna fosse sempre fertile e continuasse ad avere figli, gli ultimi ad essere procreati non avrebbero nessuno per allevarli. Trasferendo il ragionamento alla società moderna, il privilegio della menopausa può essere letto come libertà dalle incombenze della maternità e possibilità di godere ancora lunghi anni di vita attiva e felice – anche sessualmente – con un partner anche lui assai più disponibile perché meno oberato dalle necessità lavorative. La medicina ha messo a disposizione supporti ormonali quali gli estrogeni e, ancor meglio, il DHEA (desossiidroepiandrosterone) che, se utilizzati con cautela e sotto controllo medico possono aiutare a mantenere giovane ed efficiente il corpo femminile; sono questi i veri elisir di lunga vita? Più lunga no, ma sicuramente migliore sotto il profilo del benessere e dell’estetica.
Proprio di chirurgia estetica, dei sogni che alimenta e della sua realtà, ha parlato il Prof Marco Gasparotti, ordinario di Chirurgia estetica alla II Università di Roma che ha illustrato i “miracoli” che questa disciplina raffinatissima può ottenere nel migliorare l’aspetto fisico e quindi la percezione di sé di innumerevoli pazienti donne e uomini (ormai questi ultimi stanno diventando i clienti più numerosi), che non accettano “i segni del tempo”. Ha però anche mostrato, con una serie di fotografie eloquenti, quali “disastri” possono essere provocati da una pratica chirurgica inesperta o addirittura truffaldina, non guidata da un’attenta analisi di tutti gli elementi di cui il bravo professionista deve tener conto: l’età, lo stato di salute e dei tessuti in generale, l’entità delle alterazioni da correggere e la complessità dell’intervento; soprattutto l’inquadramento psicologico del paziente e le sue aspirazioni sono fondamentali per programmare un intervento razionale ed efficace. Quest’ultimo aspetto è un elemento di giudizio assai utile nelle mani del potenziale cliente per valutare la serietà del chirurgo a cui sta per affidarsi.
La relazione del Prof. Gasparotti è stata introdotta da Rav Caro, Rabbino capo di Ferrara, che ha esaminato con la sua nota arguzia gli elementi alachici contrari o permissivi alla pratica della chirurgia estetica. Da un lato i commentatori contrari affermano che la chirurgia ha sempre insiti dei rischi che si devono accettare solo per curare le malattie, che è vietato produrre ferite se non a scopo terapeutico e che non bisogna tentare di modificare l’aspetto del creato per motivi futili come l’estetica; le decisioni dei saggi più permissivi, invece , si basano sul precetto che bisogna sempre cercare di dare agli altri quello che si vuole per sé stessi, che è sempre permesso migliorare il mondo a fin di bene e quindi rendere più gradevole l’aspetto della donna che potrà trovare marito, dell’uomo che troverà lavoro o moglie grazie a questi interventi e la stessa armonia famigliare ne trarrà giovamento. E d’altronde Maimonide affermava che compito del medico è allontanare i problemi psichici che portano tristezza, la melanconia e le idee fisse. Anche nella Torà e nel Talmud vengono citate sostanze e unguenti che fanno crescere i capelli, bloccano i peli superflui, veri cosmetici come l’olio di cachi o una sorta di shampoo a base di soda , il “leter”, che non deve essere usato di Shabat perché fa cadere i capelli. Controversa e aggrovigliata è la questione del cambio di sesso, vietato in linea di principio; tuttavia, nel caso un caso del genere si verificasse, si è già stabilito che la donna divenuta uomo non deve ricevere il brit milà; e, d’altro canto, è stato concordato che la donna sposata che diventa maschio non deve essere ripudiata con il ghet. In conclusione,però, la visione ebraica del “ benessere fisico” è inaspettatamente “liberale” e aperta anche ai bisogni “secondari” della persona, assai più di quanto l’austero stereotipo dell’ osservante delle mizvot lasci intendere.
Un terzetto femminile di grande cultura e comunicativa ha affrontato gli aspetti più intimi e allo stesso tempo più vicini ai problemi quotidiani . La psicologa dott. Michal Saltiel nella sua relazione su “Corpo reale e corpo immaginario” ha riassunto alcuni casi della sua esperienza professionale nei quali i travagli del vissuto individuale hanno determinato una deformazione dolorosa ed insopportabile della propria visione di sé con conseguenti sofferenze e depressioni che hanno potuto essere superate grazie ad una lunga opera di ricerca e di elaborazione del vissuto individuale. Il miglioramento del rapporto con la figura percepita di sé è certamente un presupposto basilare per poter gustare appieno quello che la vita offre.
A proposito di labbra, particolarmente apprezzato è stato l’intervento della nutrizionista Claudia Osimo Ferrandes dal titolo “Am…come Amore: confusione fra cibo e sentimento”.Con un approccio molto razionale ma al tempo stesso lieve ed empatico sono stati affrontati i meccanismi fondamentali con i quali prende forma il mito-tabù alimentare: cibo come consolazione, come viatico di socializzazione per gli isolati, come mezzo di attenuazione dell’ansia, abbuffata come ultima trasgressione di chi ha dato tutto il resto per perso, litigiosità sul cosa e quanto uno mangia come baluardo illusorio di una autodeterminazione fasulla che si autoalimenta in un continuo tentativo di compensazione.Tutti noi sappiamo come siano diffuse le situazioni di anormalità alimentare che nascono dalla confusione fra bisogno primario e necessità affettiva, con ricatti bidirezionali fra madri e figli, fra mogli e mariti che hanno spesso influenze deleterie sui più giovani o fragili fino a sfociare in situazioni estremamente pericolose di bulimia e di anoressia E’ impressionante la dipendenza nelle abitudini alimentari determinata dal gioco delle parti attorno al desco familiare nella vita di tutti i giorni , ben superiore al condizionamento pubblicitario che pure sfrutta le stesse leve psicologiche ricreando situazioni emblematiche nelle quali larghi strati di teleutenti possono facilmente immedesimarsi, almeno fin dove il transfer favorisce le esigenze dello sponsor…Avete mai visto uno spot nel quale un bimbo magro ma felice addenta una mela buttando la merendina nel cassonetto dei rifiuti?
Per finire veramente in bellezza, la dott Mara Della Pergola, prima insegnante italiana del metodo Feldenkreis, ha trascinato tutto il pubblico seduto nelle poltroncine della sala in un progressivo ed armonico percorso di autopercezione del corpo che questa tecnica rende possibile fin da subito, grazie ad una associazione geniale di sapienza secolare (taichi, yoga..) e conoscenza anatomo-fisiologica contemporanea. Certamente l’immagine di noi stessi che questo breve percorso ci ha fatto percepire è stato un momento particolare; non a caso, è stato sottolineato il parallelismo fra il metodo di Feldenkrais e quello di Reuven Feuerstein ( che Haim Baharier ha applicato per primo ed ha fatto conoscere in Italia) che con la stessa straordinaria semplicità permette di ottenere incredibili risultati nell’accrescimento cognitivo di persone con limitazioni congenite, disadattamento sociale oppure soltanto desiderose di attivare le capacità nascoste della propria mente.
Si era detto all’inizio che la scelta apparentemente “pazzerella” di una uggiosa domenica di novembre per questo incontro nascondeva in realtà semi di saggezza. L’interesse e il calore che ha accompagnato tutto il suo svolgersi ne sono state una prova ulteriore ; ma, last but not least, proprio e solamente grazie a questa scelta particolare , ci è stato possibile gustare al buffet il meraviglioso olio d’oliva fresco di spremitura proveniente dagli uliveti della consorte di Carlo Santarlasci, Susi Tajar, splendida maestra di cucina con la sua memorabile salsiccia kasher con fagioli, magistralmente accoppiata alllo straordinario rosso di Montalcino personalmente curato dal professor Genazzani; per noi cultori del vino kasher DOC che già lo conoscevamo come prelibato,ora – avendolo gustato in questa occasione – ricordarlo come il vero elisir di lunga vita sarà inevitabile.