Per un sistema museale ebraico in Italia

Eventi

1. Definizione del problema

L’ebraismo – nel suo sviluppo storico e nella progressiva definizione di sé in relazione ai molteplici contesti con cui si è trovato a contatto – non ha forse vissuto mai una situazione contraddittoria come quella odierna.

La quasi totalità degli ebrei vivono oggi in condizioni di democrazia. Nel corso del lungo processo che dai primi editti sulla “tolleranza” ha portato alle costituzioni liberali, dando, nel mondo occidentale, pieni diritti di cittadinanza agli ebrei, si sono consumate innumerevoli tragedie, tra le quali la catastrofe della Shoah. L’abbandono o la cacciata della quasi totalità degli ebrei dei paesi arabi, nel corso degli ultimi decenni, e, più di recente, la fine dei vincoli all’emigrazione degli ebrei nei paesi socialisti ha contribuito – con la tragedia europea – al ridisegno della geografia e della demografia dell’ebraismo mondiale.

La nascita dello Stato di Israele è stato un evento evidentemente decisivo nel caratterizzare tale nuova connotazione dell’ebraismo stesso, in ragione non solo della distribuzione delle popolazioni, alla quale si è fatto riferimento, ma quale fattore imprescindibile di una rinascita culturale che ha segnato un’epoca di sviluppo e di costruzione identitaria.

Tale complesso processo – auspicabilmente concluso nelle dimensioni di massa che lo hanno caratterizzato nel corso del secolo scorso – è stato alla base, negli anni recenti, di un nuovo confronto sulla natura identitaria dell’ebraismo diasporico europeo e sul rapporto tra l’ebraismo e le diverse sedi di rappresentanza sociale, politica, religiosa. Si tratta di un confronto che, date le premesse, avrebbe potuto essere serenamente collocato nell’ambito dell’evoluzione fisiologica delle società democratiche in una fase di globalizzazione, senza dare luogo a particolari preoccupazioni in ambito ebraico. Viceversa, le minacce esistenti nei confronti di Israele stessa o degli ebrei, da parte di risorgenti gruppi antisemiti, hanno determinato, soprattutto nei giovani, forme di un’estrema incertezza e difficoltà di reagire, sul piano delle argomentazioni e delle interpretazioni, alle domande o alle aggressioni che si verificano nel rapporto con il contesto non ebraico più ampio. Da qui il paradosso, per gli ebrei, di essere cittadini a pieno titolo e, nel contempo soggetti “sulla difensiva” nei diversi luoghi di vita e di residenza, dalle scuole alle università, dalle sedi di dibattito ai contesti politici in cui si sviluppa il confronto con altri.

Questa condizione di incertezza e preoccupazione è fonte, tra l’altro, di una tangibile sofferenza da parte della generazione che, avendo vissuto il periodo delle leggi razziali e, in forma diretta o indiretta, la deportazione, riteneva chiusa una fase storica in cui l’ebreo doveva temere per il proprio futuro o per quello dei propri figli.

Si potrebbe sostenere che la paura dell’esclusione o, più semplicemente, una rinnovata sensazione di vulnerabilità non sono sentimenti “riservati” solo agli ebrei, ma uno dei problemi che, malgrado il benessere raggiunto, sembra caratterizzare vari strati della popolazione nei paesi a capitalismo avanzato.

Le guerre, tuttora in essere in diverse aree del mondo, creano nuove ansie anche in coloro che sono lontani e marginalmente coinvolti nei conflitti, resi, peraltro, quotidiani nelle immagini televisive e nella presentazione degli atti più eclatanti che li caratterizzano. La caduta dei regimi socialisti e le aperture all’economia di mercato creano nuove libertà e, nel contempo, nuove disuguaglianze dando, soprattutto, luogo all’emergere di nazionalità represse che rivendicano autonomia e condizioni giuridiche statuali a sé stanti. Lo stesso processo di unificazione europea è ostacolato nella sua definizione più completa non solo da diversità nazionali e regionali, ma dalla difficoltà di definire la natura culturale di un’istanza sovranazionale – appunto l’Europa – di rappresentanza e di identità. Il Nord e il Sud del mondo si trovano in condizioni drammaticamente disuguali, con una crisi profonda delle organizzazioni internazionali, quali soggetti di integrazione e di equilibrio, oltre che promotrici di forme redistributive delle risorse o, perlomeno, di contenimento delle sperequazioni più marcate. Nelle stesse società industrializzate, inoltre, il benessere, evidentemente accresciuto, si accompagna a forme di disparità, generazionali e di genere, di lavoro e di nazionalità. Da ciò una percezione sociale e psicologica diffusa di “pericolo”, di fronte a un insieme di fenomeni che non hanno un carattere di aleatorietà e circostanzialità. Accanto a fattori socio demografici si presentano, in definitiva, modificati fattori culturali e identitari (p.e. di genere, di etnia, di religione, di provenienza geografica).

Le Comunità ebraiche vivono, anche per questo, una profonda inquietudine a cui si ricollega il desiderio consolidare e promuovere il ricco sapere della propria tradizione, di delinearne il carattere peculiare della propria natura di popolo, di decodificare i caratteri della propria specifica identità, di conoscere e far conoscere le caratteristiche dell’evento più tragico della propria storia, anche come strumento che rafforzi la capacità di fronteggiare, a livello individuale e collettivo, la realtà attuale e futura.

La cosa non è semplice, soprattutto per soggetti di minoranza, all’interno di comunità più ampie.

Per questo, appare indispensabile che la riflessione sui luoghi deputati a conservare e promuovere la conoscenza della cultura ebraica affronti il problema secondo una pluralità di prospettive, connesse con la tradizione, la storia, la geografia, la demografia, la sociologia.

In questo quadro, la stessa costruzione di uno o più luoghi preposti al ricordo della Shoah – ferita indelebile del processo di sviluppo della democrazia nel continente europeo e non solo in esso – non si concentri solo su questa tragedia, l’epilogo più tragico di secoli di intolleranza, ma definisca il complesso dell’evoluzione storica e culturale di una cultura e una tradizione che hanno fatto del confronto e del dialogo uno dei propri fondamentali valori, in ogni luogo e in ogni tempo.

2. L’ipotesi progettuale

Il presupposto su cui fondare il progetto di uno o più musei ebraici si basa, per quanto esposto, sull’idea di identità molteplici piuttosto che identità monolitiche, di identità legate alla memoria e alla geografia, di ebraismo e di ebraismi, di diaspora e, in termini storici, territoriali, culturali, di diaspore ebraiche seppure connesse a una ricca, profonda, importante tradizione.

Questa non può essere risolta in un’unica struttura di conservazione ed esposizione, ma impone una riflessione accurata che, tra l’altro, non può esimersi dal pensare anche all’evoluzione determinata nelle diaspore dalla nascita dello Stato di Israele, anche se questo non è oggetto specifico della struttura o delle strutture che si intendono creare o potenziare, con particolare riferimento alla Shoah, l’evento più tragico della storia ebraica e, forse mondiale.

Tale evento è – anche in ragione dell’attenzione recente in diversi paesi europei, tra i quali l’Italia, con una giornata dedicata – alla base di norme, nazionali e locali, tese a dare vita a un museo che ricorsi un evento che ha toccato e tocca, oggi, tutta la popolazione dei paesi occidentali. Anche per questo motivo l’ipotesi di uno a più musei legati alla Shoah va valutata con estrema attenzione per evitare che questa complessa eredità sia la forma prevalente con cui l’ebraismo è offerto al grande pubblico, senza il respiro necessario che collochi l’esperienza ebraica in un processo sociale di cui gli ebrei sono parte.

Il problema che si pone, per gli ebrei, non è, per tutto ciò, solo il doveroso ricordo de propri morti, ma quello dell’ineludibile salvaguardia e trasmissione dei valori di una preziosa esperienza culturale e storica, e, nel contempo, quello di articolare un sistema di analisi e di riflessione che situi l’ebraismo e gli ebrei nell’ambito della crescita complessiva della società civile che li circonda.

In tale quadro, si colloca l’idea di una pianificazione di luoghi che, schematizzando ai soli fini descrittivi, garantiscano, ove necessario e precipuo, la tutela, la catalogazione, la conservazione e il restauro, e per l’insieme , la conservazione di:

– un patrimonio librario. Tale patrimonio, in parte raccolto a Roma, presso il Centro bibliografico, in parte presso biblioteche pubbliche, in parte presso le comunità è solo parzialmente conosciuto e disponibile al pubblico;
– un patrimonio archivistico. Tale patrimonio, anche in questo caso, parzialmente raccolto a Roma, presso il Centro bibliografico, si colloca nell’ambito delle diverse Comunità. Non è in genere disponibile al pubblico e non sempre è ordinato ai fini di una possibile consultazione;
– un patrimonio artistico. Tali luoghi possono essere musei, piccoli o grandi, a sé stanti o annessi alle sedi di culto. Queste ultime, spesso, costituiscono, come tali, luoghi di conservazione e di uso dei beni stessi;
– un patrimonio archeologico. Questi vanno dalle catacombe ai siti archeologici, collocati in contesti più ampi (p.e. quartieri o semplici vie o lapidi) o specificamente ebraici;
– un patrimonio storico. Una sede di conservazione del patrimonio storico, in genere, possiede anche elementi tra quelli sopra indicati. L’indicazione in una sede specifica intende sottolineare il carattere di studio e di ricerca di tale sede differenziandola per questa funzione dalle precedenti.
– una “patrimonio” doloroso e complesso, quello della Shoah. Ha caratteristiche analoghe alla precedenti, ma delimita il proprio campo a un solo “dato”, da studiare profondità essendo costituito da un evento che esige una ricerca multidisciplinare, comparata, specifica.

Le sedi di conservazione – delle quali l’elencazione non pretende di aver esaurito la tipologia – possono essere intese anche come sedi di cultura e come tali anche sedi di dibattito e di formazione, oltre che di esposizione temporanea e non solo permanente. Anche in relazione a questo si impone una definizione chiara degli obiettivi che i diversi ambiti si pongono, definendo la missione di ciascuno in una logica che tenga conto sia del contesto generale sia del luogo specifico in cui la singola struttura si colloca.

Va collegato al sistema delle sedi menzionate – che, tra l’altro, possono assolvere a funzioni diverse ed essere gestite o meno da istanze che appartengono o fanno riferimento formale alle Comunità ebraiche – musei, monumenti e mausolei. Un caso particolare è costituito dai campi di raccolta e di deportazione italiani.

In ragione di quanto esposto, si ritiene necessario:

1. costruire un quadro dei luoghi di conservazione esistenti, quale base di lavoro per una politica nazionale sulla materia. Tale lavoro può essere effettuato in tempi molto brevi, con l’apporto, in particolare, delle singole Comunità, che sono in grado di fornire, ove titolari, una descrizione puntuale dello stato attuale e delle prospettive delle diverse sedi;
2. definire, d’intesa con le Comunità, gli elementi costitutivi di una politica nei confronti delle istituzioni interessate, al di là di quanto qui accennato, a partire dalle molte azioni positivamente intraprese dalla comunità stesse;
3. precisare, in modo inequivocabile, la necessità di non concentrare sulla sola Shoah l’azione e le iniziative in corso da parte di soggetti pubblici e privati nel nostro Paese;
4. comunicare alle Istituzioni, nazionali e locali, l’interesse dell’ebraismo italiano a che il museo specificamente, se non esclusivamente dedicato alla Shoah, in Italia, sia uno solamente;
5. fissare, conseguentemente, le modalità per una differenziazione di compiti e funzioni di sedi diverse, esistenti o in fase di progettazione;
6. avviare un confronto, in particolare, con il Ministero per i beni culturali e i Sindaci delle città interessate, per evitare la parallela realizzazione di più musei della Shoah, con una configurazione analoga.