A Milano tavola rotonda su antisemitismo e islamofobia

Eventi

di Ilaria Ester Ramazzotti


Antisemitismo e islamofobia
sono due facce della stessa medaglia? Hanno provato a rispondere, affrontando temi tanto complessi quanto attuali, esponenti del mondo ebraico, islamico, istituzionale e delle associazioni partecipando alla tavola rotonda proposta da
Coreis (Comunità Religiosa Islamica Italiana) con il patrocinio del Comune di Milano lo scorso 4 luglio a Palazzo Marino.

Hanno partecipato ai lavori il sindaco di Milano Giuseppe Sala, Noemi Di Segni (presidente Unione delle Comunità Ebraiche Italiane), Milo Hasbani (co-presidente Comunità Ebraica Milano), Yahya Pallavicini (Imam di Coreis), Daniele Nahum (fra i promotori dell’evento), Olivier Brochet (console della Repubblica di Francia), Gabriele Nissim (presidente di Gariwo, La foresta dei Giusti), Melle Halima Benhani (vice-console del Marocco a Milano), Gadi Luzzatto Voghera (direttore Cdec, Centro di Documentazione Ebraica Contemporanea), Gadi Schoenheit (consigliere Comunità Ebraica di Milano), Abd Al Sabur Turrini (direttore Coreis), ‘Abd al-Haqq Benassi (Imam di Coreis) Walid Bouchnaf (Confederazione Islamica Italiana), Benalssa Bounegab (Imam della moschea via Padova 144), Vittorio Robiati Bendaud (Ufficio Rabbinico Centro Nord Italia), Sara Monaci (Progetto Saffron), Antonio Albanese (Agc Communication), Giancarlo Bosetti (direttore Reset-Dialogues on Civilizations). Ha moderato il dibattito Jacopo Tondelli (fondatore Stati Generali).

“Anche se ci sono stati accenni di polemica e se la maggior parte dei relatori non sarà d’accordo sull’equiparazione dei due termini usati, nel titolo dell’iniziativa c’è un punto di domanda e siamo aperti al confronto – ha introdotto Daniele Nahum –. Il futuro della metropoli si giocherà fra integrazione e multiculturalismo, senza dimenticare la sicurezza che va di pari passo”. Neanche il verificarsi del terrorismo deve quindi esimerci dall’affrontare il tema dell’islamofobia.

Dopo i saluti iniziali di Milo Hasbani, il sindaco Giuseppe Sala ha sottolineato che “Milano non è solo la città che guida lo sviluppo economico del Paese, ma vuole essere un avamposto politico e culturale. A Milano si riesce a mantenere un clima favorevole in termini di relazioni e di integrazione perché a latere del nostro essere multiculturali e integranti c’è una città che cresce e si sviluppa. Milano ha il dovere di costruire un avamposto sperimentazione sociale, quale città del dovere e delle regole prendendo atto del fatto che le cose cambiamo così come la gestione del multiculturalismo e dei diritti. Su un milione e 400 mila abitanti, 70 mila fanno riferimento all’Islam. Questo convegno può veder nascere risposte nel rispetto di confini: primo, la Costituzione che si basa su diritti e doveri di cittadinanza”.

“È un onore condividere temi fra religione e violenza. Ma dall’Europa e dai Paesi islamici sentiamo il peso di generazioni di ebrei che ci osservano e chiedono se saprò rappresentare il loro dolore, i loro diritti violati – ha affermato Noemi di Segni –. Antisemitismo e islamofobia sono due facce della stessa medaglia? Con rispetto, non credo di rispondere in positivo. Non siamo minoranze omologabili pur avendo molto in comune. Non possiamo ignorare la storia di interi continenti. Possiamo comprendere e condividere forme della devastazione umana dell’odio. Ma l’antisemitismo ha radici profonde e oscure e si è presentato in varie epoche sotto varie forme a seconda dei poteri vigenti”. “Oggi c’è negazionismo e presa di mira contro Israele, ma l’antisemitismo è una ferita inflitta alla società nel suo insieme. Oltre al terrorismo islamico affiorano concetti pericolosi di odio e inimicizia. Non possiamo illuderci che la difesa della popolazione sia affidata a chi vuole tenere lontano i migranti e propugna odio, ma fondamentale sarà la lotta all’odio, parlare chiaro e essere da esempio senza mezze misure e ambiguità, dimostrando altresì che la religione ha valenze sociali. Ci aspettiamo infine che la comunità islamica condanni ogni forma di terrorismo e antisemitismo”.

Yahya Pallavicini appoggia la “costruzione di un modello ambrosiano di sviluppo. No, antisemitismo e islamofobia non sono due facce della stessa medaglia, ma vanno evitati falsi accostamenti e paura, conoscendo la realtà e le false rappresentazioni”. “Dobbiamo integrare le identità nel contesto ambrosiano, italiano e europeo nel rispetto delle regole. Vanno denunciati le concause delle fobie, esclusivismo confessionale e l’egoismo individuale. Serve un vero multiculturalismo nella diversità e nei riferimenti a dimensioni spirituali, divine e fratellanze, anche nella sensibilità e responsabilità differenti. È un cattivo credente chi è incoerente verso la  propria religione e si mette contro l’altro”. “L’impegno di Coreis, con Ucei, è per un modello di fratellanza e multiculturalismo e per prevenire degenerazioni”. L’Imam ha infine dissentito sull’uso del termine ‘islamofobia’, che piuttosto è caos-fobia e svela la paura di violazioni dei principi della civiltà”.

Il console di Francia Olivier Brochet ha portato testimonianza delle esperienze francesi a proposito di lotta al razzismo e sostegno alla laicità dello Stato, alla libertà di pensiero di ciascuno e alla Memoria della Shoah. “Sappiamo che l’antisemitismo è un cancro delle nostre società da secoli” ha affermato ricordando Simone Veil, scomparsa di recente. “Serve cooperazione internazionale” anche sul piano della comunicazione e sul web. “Uso infine il termine ‘razzismo anti-musulmano’ perché islamofobia è una parola criticata in Francia. Antisemitismo e razzismo anti-musulano sono due facce della stesa medaglia, dell’incapacità di vivere insieme”. Melle Halima Benhanni ha invece portato esempi di promozione del dialogo interculturale e interreligioso e della tutela delle minoranze in Marocco.

Gadi Luzzato Voghera ha di seguito riportato studi del Cdec sul linguaggio antisemita, anche nel mondo islamico, complicato da interpretare come nel caso della recente diffusione dei Protocolli dei Savi di Sion. “Dobbiamo lavorare su un prodotto pedagogico efficace per smascherare idee e icone del nemico. E il linguaggio antisemita è pericoloso proprio perché costruito sulla costruzione di un nemico, l’ebreo, un’icona del tutto separata dalla realtà. Modello che poi ha dato vita a un linguaggio politico e ad altri modelli non coerenti con la realtà, contrari anche all’Islam. I due concetti di antisemitismo e isalmofobia in questo senso sono paragonabili, anche per la presenza di fobie”.

Studi sul linguaggio e sul materiale dell’Isis sul web sono poi stati discussi da Antonio Albanese: “C’è odio per tutti gli impuri e l’attacco è prima politico e sociale che religioso. Devono distruggere il nemico, il diverso. Usano il termine ‘crociati’ per indicare musulmani shiiti, sunniti, cristiani e ebrei”. Una campagna via web per la prevenzione della radicalizzazione, Heart of Darkness, è stata presentata da Sara Monaci.

Secondo Giancarlo Bosetti non c’è un parallelo perfetto fra islamofobia e antisemitismo: “Non valgono le geometrie, serve un algoritmo perché ognuno ha sue radici e la sua storia millenaria”.

“Dobbiamo dire la verità – ha sottolineato Gabriele Nissim –: il dialogo ebraico-islamico è fatto da pochi e viviamo in un contesto internazionale che lo rende quasi impossibile”. A proposito di antisemitismo, “si ritorna oggi a un’idea di Europa etnica, dove gli ebrei sono visti come i rappresentati di una sovra-nazionalità”. “Siamo chiamati a fare iniziative per una lotta culturale al terrorismo e per l’accoglienza e a unirci contro la cultura del nemico e dell’odio”.

Isa ‘Abd al-Haqq Benassi ha messo in guardia contro la falsa soluzione dell’appello ai “musulmani moderati”, definizione che può creare un corto circuito, un appiattimento, un negare le tradizioni. “Se c’è fobia verso i musulmani, la possibilità che agisca come arma può così influire anche sugli stessi musulmani”. “Per fare fronte all’antisemitismo e all’odio anti-islamico si deve lavorare sulla conoscenza e l’educazione per costruire società sicure in cui ognuno si senta autenticamente sereno e favorire la partecipazione attiva a più livelli”.

Vittorio Robiati Bendaud ha proposto un accenno teologico agli studi medievali di Maimonide e Yehudah Halevi che mettono in luce la posizione privilegiata dell’Islam sul concetto di monoteismo, cosicché “una posizione anti-islmaica non può esserci, per l’ebraismo”, ma c’è solo contro alcune derivazioni e un certo antisemitismo autonomo nel mondo islamico. “Ci sono fonti, oggi più diffuse e accessibili, che non sono solo quelle di Hamas” o integraliste, che ripongono antisemitismo e che tornano in auge. “Che si possano quindi costruire strategie di rispetto e pace”.

“Facciamo attività sociali soprattutto con gli immigrati e i giovani – ha detto Walid Bouchnaf –. Il nostro compito è migliorare la conoscenza e la cultura per l’integrazione e la cittadinanza, secondo principi basati sulla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e la Costituzione europea”.

“Se togliamo la questione religiosa”, ha notato Gadi Schoenheit, c’è comunanza fra i due termini del titolo della tavola rotonda. “L’antisemitismo senza connotazione religiosa è negazione di un popolo ad autodeterminarsi, una questione razziale e non religiosa come lo fu per i nazisti. Partendo dall’altro termine, se togliamo l’aspetto religioso, una questione islamica non si pone, ma esiste solo xenofobia”. Dobbiamo investire sull’integrazione con la possibilità di ragionare insieme nel rispetto della libertà altrui”. E “mettere davanti la diversità razziale è la cosa più orrenda”.

Per Benalssa Bounegab è “importante essere sotto il tetto di Abramo: siamo tutti portatori di un messaggio di cui l’essenza non è diversa”. No a “chi pensa di essere più forte, di sapere di più e invece è il più ignorante. Viviamo in una società multietnica e multireligiosa in cui tutti abbiamo diritto di crescere i nostri figli in pace”. L’Europa ha un problema di identità perché si sta ricomponendo – ha aggiunto – ma le istituzioni non seguono la velocità di crescita dei nuovi arrivati. Risolvere il problema di una comunità significa poi risolvere il problema di una intera città”.

Abd Al Sabur Turrini ha concluso sottolineando il grande valore della conoscenza, del conoscere l’interlocutore così come le vere rappresentanze istituzionali e religiose, secondo quanto evidenziato dai relatori, nella “prospettiva dell’unità di D-o e della vera teologia. Al contrario, il disconoscimento dell’altro parte dal disconoscimento di se stessi e delle proprie radici”.