Una panoramica della fiera Tempo di Libri

Memoria e Shoah al centro di Tempo di Libri

Eventi

di Paolo Castellano
Nel suo diario Il mestiere di vivere (Einaudi), Cesare Pavese scriveva: «Leggendo non cerchiamo idee nuove, ma pensieri già da noi pensati, che acquistano sulla pagina un suggello di conferma. Ci colpiscono degli altri le parole che risuonano in una zona già nostra – che già viviamo – e facendola vibrare ci permettono di cogliere nuovi spunti dentro di noi». La magia della lettura, descritta magistralmente da Pavese, ha sicuramente dato sapore agli stimolanti incontri dedicati al tema della memoria e della Shoah, avvenuti durante l’ultima edizione della fiera internazionale dell’editoria Tempo di Libri. La kermesse letteraria si è svolta dall’8 al 12 marzo presso la Fiera Milano City. Mosaico-Bet Magazine ha seguito le seguenti presentazioni: Primo Levi. Una vita con Ian Thomson e Marco Belpoliti; Come il fascismo cancellò gli ebrei dal calcio con lo scrittore Adam Smulevich e Gianni Mura; Il violino di Auschwitz con Anna Lavatelli e Tra immagine e memoria con Wlodek Goldkorn e Guido Morpurgo.

Se dovessimo cercare e individuare il trait d’union di questi incontri, potremmo sicuramente trovarlo nel valore della rielaborazione artistica e creativa degli eventi collegati alla Shoah. I libri hanno infatti il potere di testimoniare e rendere vivi quei valori di tolleranza e di umanità che furono calpestati dalla disumanità nazista. Vediamo nel particolare quello che si è detto in queste presentazioni.

 

Ian Thomson e la biografia su Primo Levi

«Come si fa a scrivere una biografia su uno scrittore così autobiografico?», ha domandato lo studioso Marco Belpoliti a Ian Thomson, autore della biografia Primo Levi. Una vita (Utet), ponderoso volume presentato il 10 febbraio presso la “sala bianca” di Tempo di Libri.

«Ho conosciuto di persona Primo Levi nel 1986, quando ancora non sapevo che avrei poi scritto una biografia su di lui», ha confessato Thomson. Il biografo inglese ha infatti riassunto al pubblico le tappe della sua ricerca, fatta di raccolte di testimonianze orali e lavoro d’archivio sulle corrispondenze private dello scrittore ebreo torinese. Come mai un inglese si è così appassionato a Primo Levi? La spiegazione è che Levi è un autore molto popolare in Inghilterra sin dal 1986, quando nelle librerie inglesi uscì il volume Il sistema periodico. «Un libro che rappresenta un ponte tra scienza e letteratura», ha sottolineato Thomson. Il biografo inglese ha poi aggiunto che il suo scopo era di scrivere un libro che potesse diventare un documento “ben diverso dalle informazioni autobiografiche che si trovano nella produzione letteraria di Levi”.

La sfida più importante per un biografo è riuscire ad accedere alle fonti giuste per elaborare uno scritto che possa considerarsi inedito e fornire un diverso punto di vista sulla vita di uno scrittore. «Nel mio libro ho voluto trasmettere al lettore che ci sono due identità di Primo Levi. È infatti molto importante non confondere il Levi scrittore con il Levi-uomo», ha sottolineato Thomson. Per Belpoliti invece si può aggiungere una terza categoria: «Ci sono tre Levi: testimone, scrittore e uomo. La “fase dell’uomo” non è ancora venuta». Belpoliti è convinto infatti che ci sia bisogno di una ricerca capillare sui carteggi privati di Levi per inquadrare una personalità “ombrosa ma straordinaria”. Lo stesso Thomson ha lamentato una certa ritrosia da parte dei famigliari ad approfondire questo aspetto: gli epistolari non sono ancora stati pubblicati per volere degli eredi. «Ho avuto la possibilità di leggere la corrispondenza del ‘66 che lo scrittore torinese ebbe con Hety Schmitt-Maaß in cui emergono i guai matrimoniali, le complessità dell’essere uno scrittore e altre confidenze che non permettono la pubblicazione». Il biografo inglese ha inoltre svelato che nel carteggio di Levi si trovano giudizi sulla politica italiana e su Israele.

Il tema del suicidio di Levi è ancora un evento oscuro e soggetto a più interpretazioni. Thomson non ha voluto riproporre giudizi superficiali ma si è limitato a far parlare i documenti, come quelli stilati dai medici poco dopo aver compiuto l’autopsia sul corpo dello scrittore ebreo:  «Ho cominciato la narrazione della biografia col suicidio perché ho avuto un documento della polizia. Parliamo di fatti non discutibili. Levi è morto precipitando dall’alto, questo è il verdetto del medico. Ho infatti voluto dare l’impressione che il libro fosse basato su dei documenti», ha dichiarato Thomson. Come ha fatto notare Belpoliti, sarebbe infatti presuntuoso stabilire la causa certa del suicidio. Un’interpretazione che al momento un biografo non può formulare per mancanza di informazioni sulla vita privata di Levi.

Le leggi razziali e il calcio italiano

L’antisemitismo ha gettato nell’oblio le storie di tre intraprendenti ebrei che nella prima parte del ‘900 furono protagonisti del nascente calcio italiano. Tre presidenti di origine ebraica che sperimentarono sulla propria pelle, chi direttamente e chi indirettamente, gli effetti dell’odio razziale. Le biografie di questi personaggi sono state tratteggiate sommariamente nell’incontro intitolato Come il fascismo cancellò gli ebrei dal calcio in cui il giornalista della Gazzetta dello Sport Gianni Mura ha dialogato con Adam Smulevich, autore di Presidenti (Giuntina). La presentazione letteraria è avvenuta l’11 marzo presso il “bar sport” di Tempo di Libri.

«Le storie di Jaffe, Ascarelli e Sacerdoti ci dimostrano quanto sia importante il concetto di memoria. L’antisemitismo è un pericolo concreto, soprattutto oggi, e non è sufficiente posare una corona di fiori davanti a una sinagoga per combatterlo ma bisogna fare cose concrete», ha commentato Adam Smulevitch, stimolato da una domanda di Mura che rievocava gli insulti antisemiti degli ultrà della Lazio nei confronti della tifoseria della Roma. Conoscere la storia significa anche sviluppare gli anticorpi per identificare future avvisaglie di distruzione, ordite da un eventuale meccanismo antisemita.

«Attualmente l’antisemitismo è ancora vivo nello sport, ancora di più all’estero», Mura ha commentato con amarezza. Smulevich ha infine concluso: «Spero che le storie raccolte nel libro Presidenti possano dare una scossa all’indifferenza».  

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Oggi Anna Lavatelli ha mostrato un violino ai suoi giovani lettori di @tempodilibri. Lo strumento musicale, logorato dal tempo, era di Laura, una giovane ebrea, che negli anni ‘40 dovette scappare di casa per sfuggire alla cattura degli occupanti-nazisti. Quella ragazza era mia nonna, che fortunatamente scampò a un tragico destino, riuscendo a rimettere in piedi una vita rovinata dall’antisemitismo. Ora purtroppo non c’è più, ma per un secondo mi è parso di intravederla in lontananza, mentre accarezzava con lo sguardo la nuova generazione di lettori. Da oggetto dimenticato in una soffitta, il violino è divenuto un simbolo di rinascita e speranza. #tdl18 #tempodilibri @interlinea_ed

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Narrare la Shoah ai ragazzi

Nonostante il complesso tema della rappresentazione della Shoah nella letteratura per ragazzi, un nutrito gruppo di bambini ha popolato il “laboratorio unicorno” di Tempo di Libri, in cui l’11 marzo si è svolta la presentazione de Il violino di Auschwitz (Interlinea). L’autrice Anna Lavatelli ha esposto alla giovane platea la tragicità delle leggi razziali del 1938. Il libro narra infatti la storia dei Levi, una famiglia ebraica di Torino. Le pagine si soffermano sulla vicenda della ragazzina ebrea Eva Maria, che insieme al suo violino e al nucleo famigliare viene deportata ad Auschwitz.

«Eva Maria suona in un’orchestrina del campo di concentramento nazista. Grazie al suo strumento trova il conforto e lo sfogo al proprio dolore. La nostra protagonista viene costretta a suonare una musica allegra quando nel lager avvengono le esecuzioni. La legge del campo non aveva senso», ha sottolineato la scrittrice per ragazzi.

In una breve intervista presso lo stand Interlinea, casa editrice novarese diretta da Roberto Cicala, Anna Lavatelli ha affermato di essersi ispirata alle opere di Primo Levi e al Diario di Anne Frank: «Di Primo Levi mi hanno stupito sin dalla prima lettura gli innesti allegri che si trovano nelle sue narrazioni. Invece di Anne Frank ricordo le divergenze e le necessità che le persone esigono, come la solitudine, quando sono costrette a vivere insieme per necessità. Anche le inevitabili differenze generazionali tra giovani e adulti».

Durante la presentazione de Il violino di Auschwitz è stato inoltre mostrato un piccolo violino, appartenuto a Laura Pizzo, giovane ebrea e  discendente della famiglia Carpi-Cavalieri, che negli anni ‘40 dovette abbandonare la sua residenza di Varese per sfuggire alle persecuzioni naziste. Laura si rifugiò insieme al fratello Ferruccio nei boschi presso Mondonico. Prima di fuggire, la ragazzina ebrea donò il suo violino ai Morbelli, una famiglia varesina imparentata col celebre pittore divisionista. Laura riavrà il suo violino in età avanzata, dopo che per anni lo strumento era rimasto nascosto in una soffitta.

Le rappresentazioni architettoniche della Shoah

Di estetica della Shoah si è invece parlato l’11 marzo nella sala “amber 2” di Tempo di Libri con il giornalista e scrittore Wlodek Goldkorn e Guido Morpurgo, professore del Politecnico di Milano e l’architetto del Memoriale della Shoah di Milano.

Il dialogo tra i due oratori si è concentrato sul dibattito intorno alla conservazione e fruizione della memoria. Come ha ricordato Goldkorn, il ricordo umano cambia con il passare del tempo e definire con certezza ciò che è finzione da ciò che è autentico è sempre più difficile. Il giornalista ha infatti citato alcuni musei della Shoah che sono stati edificati fuori dalla geografia dello sterminio ebraico. «Esistono luoghi che hanno la presunzione di essere autentici. Per primo c’è Auschwitz che essendo simbolo non è più autentico. Il direttore del Museo di Auschwitz cerca di conservare l’autenticità del luogo in senso fisico. Poi abbiamo lo Yav Vashem che ricorda la storia degli ebrei e legittima l’esistenza dello stato di Israele. Infine abbiamo il museo della Shoah di Washington che invece si fa carico dei tragici avvenimenti del popolo ebraico in nome dei valori della democrazia americana». Goldkorn non ha infatti negato la funzione pedagogica di queste strutture ma ha ravvisato che col passare del tempo il ricordo viene mescolato a qualcosa di estraneo all’autenticità.

Il Memoriale della Shoah invece è un’opera architettonica unica nel panorama mondiale. La sua dimensione auratica deriva dal fatto che il luogo in cui si trova fu davvero un sito della tragedia ebraica. «Il Binario 21 appartiene a una geografia della Shoah. È un pezzo della Shoah e ha segnato il coinvolgimento dell’Europa. Con il passare degli anni, l’immagine di quel posto non era più quella della seconda guerra mondiale. Non è infatti per nulla facile restituire un’esperienza a un luogo storico», ha sottolineato Morpurgo, aggiungendo che esiste anche un’esteticità della memoria. «I memoriali brutti non trasmettono memoria», ha sentenziato l’architetto.

@castelpao

(Foto: Flickr di Tempo di Libri)