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Scuola

Scuola: non solo in classe si impara

Finlandia, Israele, Biella: dalle antiche sinagoghe all’arte della lana,
 alle eccellenze didattiche del Nord Europa. Occasioni uniche per insegnanti
e alunni della Scuola della Comunità. Ecco come è andataSuomi 2016 (512)

Qual è il miglior sistema educativo del mondo? Quello della Finlandia! È quanto stabilito dai parametri OCSE-PISA che valutano la performance dei vari sistemi scolastici. Così, dal 13 al 16 marzo si è svolto un seminario per insegnanti proprio in Finlandia, organizzato da Arachim, la Sezione Educativa dell’ECJC, European Council of Jewish Communities insieme all’American Jewish Joint Distribution Committee. Trenta responsabili di altrettante scuole ebraiche europee si sono riuniti a Helsinki per conoscere il miglior impianto educativo del mondo.
La “Mission to Helsinki” è stata un momento formativo unico. Conoscere la realtà delle Scuole finlandesi, grazie alla perfetta organizzazione che ha permesso di incontrare professionisti in ogni campo dell’educazione, ha generato una riflessione profonda sulla “mission quotidiana” dei docenti.
Highlight del viaggio? Tutto! Quattro scuole visitate, compresa quella ebraica, con accompagnamento dei Presidi e insegnanti; le Academic Lectures con i responsabili del Ministero del’Educazione; Dirigenti attivi nella continua promozione di benessere e autonomia; un incontro speciale col famoso psichiatra Ben Furman; una visita agli HQ della Microsoft per conoscere le nuove sfide tecnologiche … per arrivare agli attesissimi momenti di analisi tra educatori, alla fine di ogni giornata di visite … tutto è stato occasione di riflessione e confronto sul significato dell’educazione.
Parola chiave: “Trust – Fiducia”. Fiducia nel lavoro dei docenti: l’insegnamento è uno dei lavori più ambiti in Finlandia, socialmente riconosciuto come fondamentale; fiducia assoluta che i bambini siano motore della loro stessa volontà di apprendere. Possono muoversi all’interno della scuola con estrema libertà, gli spazi sono tutti fruibili come luogo di apprendimento, che viene svolto spesso autonomamente o a coppie. Fiducia da parte del Ministero che tutto funzioni, e ciò si manifesta nel non richiedere alle scuole curriculum specifici e documenti progettuali o di verifica.
Per quanto riguarda la primaria italiana, pur tra mille difficoltà, il corpo docente, da sempre, ha sempre avuto delle intuizioni molto innovative.
Dal punto di vista professionale quindi molti spunti di grande interesse e alcune conferme; dal punto di vista sociale la nostra scuola sta entrando sempre più in relazione con le realtà scolastiche ebraiche europee, creando una rete di relazioni molto significativa.
Alla Comunità che ha accolto l’idea con entusiasmo e alla Fondazione Scuola, che ha promosso l’effettiva partecipazione al viaggio con la consueta attenzione alle necessità di innovazione che la scuola pone come istanze necessarie … Grazie, Todà, Kiitos!
Diana Segre
Israele Lacrime e sorrisi
Una strana teoria sostiene che lo scorrere del tempo viene scandito da eventi che si ripetono tra loro, che la percezione di alcuni attimi potrebbe facilmente riaffiorare in noi, se solo se ne presentasse l’occasione. E quando ciò accade, scopri che cinque anni si riducono ad una spanna, si sintetizzano in due settimane, in un semplice viaggio, nella lacrima che riga il viso, nel passo ripercorso sulle proprie origini. E così ti ritrovi in uno strano riflesso di te stesso. Da anni ormai la Scuola Ebraica di Milano si impegna in uno straordinario progetto che vede come protagonisti i ragazzi che frequentano il secondo anno del liceo: il viaggio in Israele. Studenti pieni di entusiasmo e di passione, che ogni anno si distinguono per il carico di emozioni che si portano appresso, che attendono impazienti il contatto con l’antico Muro del Pianto, come se esso solo bastasse per ricucire anni di storia che ci legano alla nostra Terra.
Così fu cinque anni fa, quando vissi questa memorabile esperienza con la mia classe. Così è stato quest’anno, quando ho ripetuto questa esperienza nelle vesti di animatore.
Lacrime di commozione, a Yad Vashem, o nel cimitero su Har Herzel, nella sezione dedicata ai soldati caduti in guerra. Lacrime di gioia, quelle accompagnate da una risata e dall’immancabile abbraccio dell’amico del cuore. Quelle che si versano di fronte ad Angelica Calò, in seguito a una splendida attività impregnata d’amore e di energie travolgenti. Quelle che si versano nel deserto del Neghev, quel luogo tanto lontano dalla frenesia delle città urbane, capace di insegnarci a chiudere la bocca e ad aprire il cuore, sentendo così per la prima volta quello che una celebre canzone degli anni sessanta definisce “Il suono del silenzio”.
Sopra a qualunque altra categoria, tuttavia, troviamo le lacrime versate per un amore nascente o un relazione andata in frantumi. Perché avere quindici anni significa proprio questo.
E non importa se ci si senta una bomba ad orologeria pronta ad esplodere, un vulcano in piena eruzione. Avere quindici anni ti permette di scoprire il mondo con gli occhi pieni stupore, ad affrontare le difficoltà con uno spirito, un coraggio che ci abbandona nell’arco della crescita. Avere quindici anni significa respirare a pieni polmoni, cavalcare un cammello e sentirsi dei principi in sella al cavallo bianco. Significa sopra a qualsiasi altra cosa saper amare ed essere amati, dare e ricevere. Lo stesso scambio indispensabile che caratterizza, da sempre, lo Stato d’Israele.
Molteplici sono state le realtà mostrate ai nostri ragazzi: l’intreccio di odori e sapori, usi e costumi di un Paese che raccoglie in sé culture di ogni genere. Siamo riusciti a passare dai quartieri ultraortodossi di Gerusalemme, ai centri più avanzati della scienza e della tecnologia nei dintorni di Tel Aviv; dalla distesa di sabbia del Neghev, alla distesa di alberi del Golan.
Grazie alla preside Esterina Dana e ai professori Sara Bifulco e Daniele Cohenca, per la loro capacità di mettersi in gioco e trasmettere quelli che sono i veri valori della vita.
Grazie a chiunque renda possibile la realizzazione di quello che è molto più di un semplice viaggio, impegnandosi anno dopo anno a rendere questa esperienza sempre più ricca di contenuto e di significato.
Infine ai ventidue ragazzi che, attraverso il loro sorriso, mi hanno ricordato quanto io sia fortunato a vivere nel Paese più bello del mondo.
David Zebuloni

Biella: tra lanifici e sinagoghe
Giovedì 7 aprile le classi prime della scuola secondaria di primo grado si sono recate a Biella per visitare il lanificio Angelico, la sinagoga e la città.
Al Lanificio, accompagnati da una guida, abbiamo visitato i reparti produttivi. Questa azienda produce le stoffe che in seguito vengono inviate al cliente, il quale confeziona l’abito.
Abbiamo visitato il settore in cui si lavora la lana (una pecora produce circa 6 kg di lana all’anno). Abbiamo potuto osservare il processo per lavorarla, da quando è “lana sporca” a quando diventa un tessuto, attraverso le varie fasi di pettinatura, pulitura e lavaggio. Viene avvolta in una bobina e poi trasportata sulle “rocche”, dei coni su cui viene arrotolato il filo; c’è un grande macchinario, “cantre”, in cui le rocche sono disposte in file parallele, separate per colori. Collegato al “cantre” c’è l’orditoio, la macchina che raccoglie tutti i fili in una rocca molto grande. L’orditoio è composto dal pettine invergante, che serve per separare i fili e togliere i nodi, e dall’aspo che è un attrezzo la cui funzione è di trasferire i fili che, dopo essere stati sull’aspo, vengono trasportati sul subbio che è cosparso di cera per evitare che l’attrito rovini il filo. Qui ogni filo viene infilato in una maglia specifica e poi trasportato sul telaio che batte 800 colpi al minuto.
Esistono due tipi di telaio: a pinze e a getto d’aria. Dal telaio il tessuto finito viene spostato su un piano retroilluminato per controllare che non abbia difetti. Dopo la visita al lanificio Angelico siamo andati a visitare la sinagoga di Biella, nel quartiere ebraico. Non è visibile dalla strada, per via delle leggi restrittive che c’erano nel periodo in cui venne costruita. Quella di Biella è una piccola comunità che non ha mai superato i cento iscritti.
All’ingresso della sinagoga c’è un corridoio che sfocia in un piccolo cortile interno con una scala che porta alla sala principale del tempio. La sinagoga, abbandonata fino al 2004, è stata restaurata. Rav Somekh ha spiegato la storia della sinagoga e poi ha mostrato una ketubà del 1700, scritta da Moshe Yafè per la moglie Lea Treves. Disegnati sulla ketubà c’erano i due angeli (uno buono e uno cattivo) che sorvegliano ognuno di noi. Un video parlava del Sefer Torà più antico del mondo, che è stato scritto proprio a Biella nel 1250 circa e che solo recentemente è stato ritrovato.
Tamara Klein, Elisa Turone Sara Hassan, Beniamino Cohen, Gabriel Loloey, Nathan Sinai