Tesi a confronto

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Si è aperto con le pacate parole di Rav Arbib, la sera del 14 dicembre, il dibattito comu- nitario sulla crisi che ha portato all’avvi- cendamento al vertice della Comunità milanese e alla ricomposizione del Consiglio dopo le dimissioni del presidente Jarach e di cinque consiglieri. Introdotto da Guido Vitale, moderatore della serata e direttore di Mosaico, il confronto, pur con momenti accesi e controverse ricostruzioni degli avvenimenti, si è mantenuto nei limiti di un civile scambio di idee. Sono state così sostanzialmente ascoltate le parole del Rabbino Capo, che ha parlato dell’importanza del rispetto nei rapporti umani, del peccato di lashòn harà (maldicenza) e della mitzvà (precetto) dell’amore per il prossimo. “Non volevo parlare, questa sera”, ha esordito, “per non confondere i ruoli del rabbinato e quelli della politica comunitaria, ma non avrei voluto che il mio silenzio fosse scambiato per indifferenza”.
Come superare i limiti alla libertà di espressione che sembrano posti dal divieto di lashòn harà? Giudicando il nostro prossimo in tutto il suo complesso, non per un singolo aspetto del suo comportamento, dato che in ognuno c’è un lato negativo e uno positivo, da valorizzare. “Criticare gli altri è semplice, cercare il bene in ognuno molto più difficile; ma l’essenza dell’essere ebrei è proprio non cercare vie facili, istintive”.

Il presidente Leone Soued ha ringraziato gli intervenuti per la partecipazione numerosa e ha letto un messaggio della vicepresidente Paola Sereni che invitava tutti alla moderazione dei toni.
Guido Vitale ha quindi presentato gli oratori, tre rappresentanti dei dimissionari (Roberto Jarach, Daniela Zippel Mevorah e Eugenio Schek) e tre del Consiglio in carica (Leone Soued, Gionata Tedeschi e Yasha Reibman).

Dalle parole degli oratori e successivamente anche da quelle degli altri consiglieri dimissionari, è stato possibile in un certa misura ricostruire le ragioni di alcune incomprensioni che hanno portato alla crisi. Si può dire che ci sia stata, da parte dei due schieramenti, una diversa lettura di alcuni fatti cardine: la nascita del progetto Kesher per coinvolgere gli ebrei più lontani dalla vita comunitaria e la procedura di elezione del nuovo Rabbino Capo.

Il progetto Kesher, presentato in Consiglio nel gennaio 2004, è stato fin dall’inizio osteggiato dai consiglieri al culto, che non si erano sentiti protagonisti della sua elaborazione. Remi Cohen, da parte sua, ha spiegato la sua opposizione al progetto per la mancanza di copertura finanziaria. “Il risanamento economico”, ha detto “ era uno degli obiettivi cardine di questa Giunta e ho trovato scorretto non inserire il progetto Kesher nel bilancio preventivo approvato nel dicembre 2003, ma proporlo poche settimane dopo. Per finanziarlo è stato necessario tagliare fondi dal bilancio delle attività giovanili”. Circostanza questa poi smentita dai consiglieri ai giovani Rafael Schmill e Ico Menda.

Una ricostruzione del clima di astio creatosi negli ultimi mesi all’interno del Consiglio è stata compiuta da Daniela Zippel, che ha preso per prima la parola, esponendo le ragioni che l’avevano spinta a candidarsi, la propria storia personale e familiare nell’ambito dell’ortodossia, la vicinanza al gruppo Lubavich. “Non ho mai cercato di imporre agli altri i miei principi religiosi”, ha affermato, smentendo anche la voce che la voleva sostenitrice del rabbino Lubavich Avram Hazan come Rabbino Capo, ritenendo che l’esperienza del movimento Habad potesse non essere condivisa da tutta una Comunità composita come quella milanese.
Ha parlato del suo senso di impotenza e frustrazione nel constatare come il bene comune veniva a suo giudizio subordinato a lotte personali, prive di fondamento ideologico; alle gratificazioni del lavoro come assessore ai servizi sociali si è contrapposto il disagio delle riunioni consiliari astiose.

Eugenio Schek ha parlato invece in termini più tecnici, ricostruendo i mesi della crisi e rinnovando la richiesta dei dimissionari di ottenere l’indirizzario della Comunità per inviare una lettera a tutti gli iscritti. Tale richiesta non è stata esaudita dal Consiglio in carica che ha fra l’altro opposto motivi di tutela della privacy.
“Siamo stati tacciati di irresponsabilità per esserci dimessi” ha accusato Schek, “mentre siamo stati vittime della prevaricazione della maggioranza”.
“Dopo tre mesi dalla presentazione del Progetto Kesher”, ha aggiunto, “Rav Laras ha presentato le dimissioni” adombrando un nesso causale tra i due eventi e negando che le dimissioni di Rav Laras fossero dovute, come ha spiegato l’attuale presidente Leone Soued, al mancato appoggio di un progetto per la riorganizzazione dell’Ufficio rabbinico, ma piuttosto alle pressioni di una parte del Consiglio per la sua sostituzione.
Schek ha negato che i consiglieri dimissionari avessero messo in atto manovre dilatorie sulla nomina del nuovo rabbino. Per lui si è trattato solo della volontà di rispettare budget e procedure.

Il presidente Leone Soued ha replicato alle accuse rivolte all’attuale governo della Comunità, affermando che l’equilibrio fra le diverse componenti in Consiglio si era deteriorato circa un anno dopo le elezioni, per fortissimi scontri interni di cui si può leggere la cronaca nei verbali pubblici del Consiglio. Ha detto che il progetto Kesher non è stato concepito in competizione con la Yeshivà di via Guastalla, ma come un’iniziativa parallela e autonoma. Ha ricordato che quando Rav Laras ha presentato le sue dimissioni, queste sono state immediatamente accolte da Roberto Jarach, per avviare poi un tentativo di ricucire lo strappo, fallito.
Ha lamentato che il comportamento di Schek come assessore al culto condannava la Giunta all’immobilismo e rendeva impossibile lavorare a causa continue polemiche artificiose. A quel punto l’attuale maggioranza aveva chiesto a Jarach una riunione per ridefinire gli incarichi di Giunta, cosa che è stata negata. Allora, forti della propria maggioranza, hanno proceduto da soli.

Ha preso poi la parola Gionata Tedeschi che ha confermato come Kesher e le modalità di sostituzione del Rabbino Capo siano stati le vicende scatenanti della crisi.
Ha difeso la “scelta coraggiosa” di decidere sull’elezione di Rav Arvib in tempi brevi, al di là della burocrazia e dell’immobilismo della Comunità.

Il presidente uscente Roberto Jarach si è presentato come un “gestore” della Comunità, non come un politico; rammaricandosi che le sue azioni siano state da alcuni strumentalizzate e lette in chiave politica.
Ha addossato al progetto Kesher la responsabilità delle dimissioni di Rav Laras, che secondo Jarach (smentito successivamente da Michele Boccia, referente Kesher), non sarebbe mai stato informato sul progetto.
Ha risposto alle accuse puntualizzando e ricostruendo gli incontri con Rav Laras, per evitare che lasciasse la cattedra rabbinica di Milano e ha spiegato il suo agire come il coerente tentativo di evitare spaccature traumatiche alla Comunità e, una volta confermata da Rav Laras l’intenzione di dimettersi, una successione graduale, che peraltro sarebbe già stata concordata tra Rav Laras e Rav Arbib.
Il Consiglio, secondo Jarach, avrebbe invece proceduto con un taglio netto con il passato senza curarsi del mancato rispetto dei tempi e delle procedure previste dallo Statuto dell’ebraismo italiano che prevede il parere vincolante dell’Assemblea Rabbinica prima della nomina del Rabbino Capo.

Anche qui, una diversa lettura dei comportamenti ha esacerbato gli animi: i consiglieri di maggioranza hanno visto nel minuzioso richiamo alle procedure delle mere manovre dilatorie e ostruzionistiche che avrebbero rischiato alla fine di rimettere in discussione tutto il lavoro dei mesi precedenti, mentre per Jarach e il suo gruppo è stato solo il senso di responsabilità verso ragioni di bilancio, logistica e passaggio di competenze.

Il clima di incomprensione venutosi a creare aveva reso, secondo i dimissionari, impossibile continuare a lavorare insieme. Le dimissioni erano inevitabili, e si sono concretizzate, ha detto Jarach, solo dopo aver concluso due momenti chiave: la firma del contratto di Rav Arbib e le procedure per la nuova Casa di Riposo di via Arzaga, che a tre anni da oggi porterà nelle casse della Comunità cinque milioni di euro da utilizzare in investimenti per i giovani e il futuro.

Yasha Reibman ha invece spiegato il motivo per cui, pur essendosi candidato con la lista Jarach, non ha rassegnato le dimissioni. E’ stata, ha detto, una scelta di responsabilità verso gli obiettivi che si erano proposti, di moderare le divisioni tra laici e religiosi. Ha confermato che il progetto Kesher era stato approvato da Rav Laras; sul Bilancio, ha detto che certo è importante contenere i costi per procedere verso il risanamento finanziario della Comunità, ma questo non può diventare un freno ad iniziative di fondamentale interesse per la Comunità: sulle iniziative ben avviate, ha detto, è poi più facile trovare sponsorizzazioni e finanziamenti.

Sono poi seguiti numerosi interventi del pubblico. Una domanda di Jacky Zippel ha consentito a Leone Soued di dare notizia del raggiungimento di un accordo con Rav Laras per la sua nomina ad Av Beth Din, Capo del Tribunale Rabbinico di Milano. Dopo solo quattro settimane di lavoro, ha detto il presidente, la nuova maggioranza porta così a conclusione questa vicenda particolarmente spinosa.

Anche gli altri oratori, fra cui Yoram Ortona e Remi Cohen, e altri interventi del pubblico sono serviti a puntualizzare aspetti della vicenda.
Gli interventi si sono succeduti serrati in una dialettica forte, ma sostanzialmente corretta.
Le previsioni pessimistiche di chi temeva che la Comunità non fosse in grado di sostenere un dibattito su temi tanto delicati e complessi senza cadere nelle lacerazioni sono state smentite.
Tedeschi ha concluso con l’invito a sostenere il Consiglio nei mesi di lavoro che restano prima delle elezioni. Saranno poi gli iscritti a giudicare e a scegliere il nuovo vertice comunitario.