La Fondazione per il Memoriale della Shoah

Parla il neo presidente Ferruccio De Bortoli.
La Fondazione per il Memoriale della Shoah onlus alla Stazione centrale di Milano ha tenuto, il 10 ottobre, la sua prima riunione, in cui ha provveduto alla nomina dei consiglieri e alla definizione delle prime immediate fasi del lavoro.
Abbiamo incontrato in questa occasione il presidente della Fondazione, Ferruccio De Bortoli, direttore del Sole 24Ore.

Il progetto Memoriale della Shoah è in corso da diversi anni e sta giungendo in dirittura d’arrivo. Da quanto tempo lei è coinvolto e quali sono le sue considerazioni?

Sono coinvolto da tempo sia perché amici milanesi della Comunità me ne hanno parlato da numerosi anni, sia per la conoscenza con Liliana Segre, con Nedo Fiano e con altri membri della comunità ebraica milanese e non solo; credo che sia un passo che la società milanese doveva fare e lo fa adesso, con un certo ritardo, ma lo fa forse nel migliore dei modi.
Per tanti anni c’e stato un velo di ignoranza su ciò che era accaduto in quegli anni ad alcuni, numerosi, cittadini milanesi; una pagina della Shoah che era stata scritta solo a metà. Questo progetto lo si deve all’impegno personale di molti membri della comunità e anche di cittadini milanesi in generale. Mi piace segnalare in particolare Marco Szulc che con il suo impegno personale e direi anche con la sua ostinazione è riuscito ad ottenere un risultato così. Devo dire poi che sarebbe stata una macchia per la storia di Milano lasciare che quel Binario diventasse un anonimo binario di una Stazione centrale già di per sé abbastanza anonima e per certi versi squallida prima della ristrutturazione; perché, lo dico come cittadino milanese, quello era un vissuto che noi non avevamo. Ho pensato a quante volte, in tanti anni, ho preso un treno alla Stazione centrale e nessuno mi aveva mai detto che su quel binario era accaduta una cosa, un mattino freddo d’inverno, nell’indifferenza. È l’indifferenza che fa sì che la memoria venga cancellata con una certa velocità.

Il problema di fondo è che proprio in questi anni abbiamo visto il riaccendersi di odi, di incomprensioni, e anche di uno strisciante neonazismo che si è manifestato, per la verità nella nostra città meno che in altre (penso per esempio alla società francese; o assisto sgomento a certe cronache che arrivano dalla Polonia). Io trovo insomma che l’indifferenza e la scarsa conoscenza siano dei micidiali ossidanti della memoria, nel senso che la memoria o è coltivata, costantemente, in maniera non retorica, oppure si disperde e quando ciò accade è come se queste persone venissero uccise una seconda volta, come se si mettessero in pericolo tante altre persone, magari in una condizione assolutamente diversa rispetto al passato, perché ci sono nuove emergenze, tante gravi piccole persecuzioni di cui noi non abbiamo sentore. Questo è uno dei paradossi della globalizzazione dei media: noi “vediamo tutto e sappiamo tutto” e abbiamo la sensazione, a volte la certezza, di conoscere tutto quel che avviene nel mondo reale. Ci accorgiamo invece che molte parti del mondo vengono molto meno illuminate dai media rispetto a quando questi mezzi della globalizzazione non c’erano. E ci accorgiamo che molte cose passano in fretta perché se e vero che “conosciamo” di più è anche vero che metabolizziamo molto più facilmente e dimentichiamo molto più in fretta.

E allora ecco il valore di un Museo della Shoah che sia un percorso all’interno di una tragedia dell’umanità, che sia un percorso nella memoria civile milanese, che sia non soltanto un omaggio alle vittime, non soltanto il ricordo di quello che è avvenuto e che molto più facilmente di quello che noi pensiamo potrebbe ripetersi in altre forme.


Quali saranno le prossime tappe per la realizzazione del Memoriale e quali tempi si prevedono?

Noi pensiamo di arrivare a farlo per il 2009, e dobbiamo qui sottolineare l’impegno per questo obiettivo di tutti i soci fondatori e delle istituzioni milanesi, che devo dire questa volta si sono dimostrate estremamente sensibili e sollecite. Ovviamente avremo dei tempi tecnici e credo che si possano coinvolgere anche i privati, dal punto di vista di quello che ci manca per realizzare il museo; c’è un discreto progresso nella raccolta dei fondi che dobbiamo fare.

È stato estremamente significativo il patrocinio del presidente della Repubblica; il fatto che abbia voluto nel Giorno della memoria, il 27 gennaio scorso , partecipare alla presentazione del progetto alla Stazione è stato uno degli aspetti simbolici più importanti, che ha reso possibile andare avanti.

Io sono onorato dalla richiesta che mi è stata fatta dalla Comunità di presiedere la Fondazione e ho accettato con gratitudine sperando di fare un buon lavoro; essendo passati tanti anni ed essendoci stati anni bui, o grigi, in cui questa “manutenzione della memoria” non solo non è avvenuta ma ha fatto addirittura dei passi indietro, il punto in cui siamo oggi è da considerare un fatto estremamente positivo per tutti, per tutti i cittadini milanesi ma anche per i nuovi cittadini che arriveranno, che avranno magari anche altre religioni e che in questa fase ci vedono su fronti contrapposti.

La civiltà milanese è la civiltà dell’integrazione, della tolleranza, della solidarietà; Milano è una città che è stata fatta dagli immigrati, che ha avuto la capacità di plasmare e di unire differenti culture, e nel solco di questa tradizione saranno prese anche le iniziative, le attività, del Memoriale, quando, speriamo presto, sarà operativo.

Che rapporto si può prevedere tra il Memoriale di Milano e altre realtà museali sulla Shoah, quella di Roma e quella che si sta costituendo a Ferrara? Ci saranno sinergie?

Penso che sarà naturale; è anche positivo che ci siano molte scuole e istituzioni che vogliono collaborare. Sarebbe interessante che si creasse un “circuito della memoria” italiano unendo le diverse esperienze delle varie comunità e facendo in modo che questo possa anche essere un ponte di comprensione, aperto.
Un filosofo francese recentemente scomparso, Paul Ricoeur, diceva che una delle caratteristiche della cultura occidentale è quella di aprirsi, di farsi riconoscere dagli altri. Farci accettare, comunicare il nostro livello di civiltà. Io non credo molto allo “scontro di civiltà”, credo che ci sia un incontro, tanti piccoli incontri che si devono coltivare; convivenze, solidarietà che ci sono anche sotto alla superficie delle incomprensioni e dei sospetti, che alle volte tracimano negli odi.