Meghnagi: tutti per uno, uno per tutti

di Fiona Diwan

Walker Meghnagi

Tutti per uno, uno per tutti. L’antico motto dei moschettieri potrebbe essere oggi quello del presidente Walker Meghnagi. Un motto da prendere sul serio. Non si tratta di buonismo o di un generico, edulcorato, volemose bene, tiene a precisare Meghnagi. «È che semplicemente andare d’accordo è un dovere civile e morale. Cercare l’appoggio di tutte le componenti politiche del Consiglio vuol dire garantire sopravvivenza, prospettiva e continuità alla Kehillà di Milano. Procedere uniti per costruire insieme. Ovviamente, nel rispetto delle opinioni diverse e del confronto politico. Penso che questo Consiglio stia lavorando bene: si discute con vivacità ma poi si raggiunge l’unanimità o quasi, anche con decisioni sofferte. Grazie alla saggezza di molti consiglieri non c’è nessuno che voglia fare la primadonna o far prevalere il proprio punto di vista contro gli altri». Meghnagi non smentisce nemmeno stavolta la propria vis conciliatoria, uno stile che non indulge in scelte cortigiane, ma neppure in rigidezze di principio. Governare, si sa, è l’arte impervia dell’equilibrio, la ricerca di stabilità nell’instabilità.

«Il quadro dentro cui ci muoviamo è difficile. Innanzitutto la crisi che imperversa nel nostro Paese si fa sentire anche qui. Ad esempio, lo stallo del mercato immobilare ha penalizzato la vendita di alcune case che ci erano state donate. Un mancato realizzo che pesa sul bilancio del 2012. L’Italia oggi è dominata dalla paura, dall’incertezza del futuro e questo tocca da vicino anche noi», spiega il presidente. E prosegue: «La nostra è una Comunità composita, che ha molte anime, e non sempre vanno nella stessa direzione, condivisa e unitaria. Restare in equilibrio, gestire le diversità all’interno della Comunità richiede una fondamentale dose di savoir faire. Non è così semplice far “passare” il concetto di Comunità e depotenziare i particolarismi, le dissonanze. C’è perfino gente, ad esempio, che mi chiede perché deve continuare a pagare le tasse visto che i figli non vanno più a scuola». Meghnagi sottolinea quanto la Comunità sia importante sia sul fronte interno che esterno. La richiesta di rafforzare la sicurezza di tutti i templi milanesi, ad esempio, è stata accolta solo perché portata avanti dalla Comunità come ente di riferimento. Se ciascun tempio avesse fatto la richiesta in solitario forse non avrebbe ottenuto quanto sperato. Lo stesso discorso vale per gli esercizi commerciali. Come nel caso di quei negozi kasher oggetto di controlli Asl che hanno risolto la questione grazie all’intervento tempestivo della Comunità, evitando così l’insorgere di contenziosi. «I rapporti con lo Stato, il Comune e le istituzioni è fondamentale e spesso i nostri iscritti non lo colgono, pensando che la Comunità sia qui solo per chiedere soldi. In proposito, parlando di tasse, abbiamo instaurato una modalità diversa, stabilendo un rapporto a tu per tu col contribuente; abbiamo spedito mille lettere e chiunque oggi si sente preso per mano e ascoltato nei suoi problemi. Mentre l’ufficio URP cerca di spiegare le ragioni per cui si debba pagare la cifra stabilita. Altri temi? La scuola: insieme alla Fondazione stiamo portando avanti un accordo affinché vengano erogati contributi alla nostra Scuola per le materie curricolari obbligatorie, in modo anche che la nostra scuola venga equiparata alla scuola pubblica. Mai il sodalizio tra Comunità e Fondazione Scuola è stato così stretto e forte: abbiamo ottenuto 41 borse di studio per una somma di centinaia di migliaia di euro, segno che si può collaborare continuando a restare se stessi (stiamo apportando anche migliorie sostanziali per dotare le aule di maggior confort). Anche in fatto di giovani ci stiamo muovendo per reperire spazi e sedi nuove per l’Hashomer Hatzair e il Benè Akiva, il cui numero di ragazzi è cresciuto molto negli ultimi tempi. I gruppi giovanili svolgono una funzione fondamentale, portano identità e creano un legame di appartenenza che dura tutta la vita. Infine: il nuovo Consiglio si porta anche a casa oggi, degli eccellenti rapporti col Rabbinato, cosa che ha portato, ad esempio, alla nuova stagione di Kesher; il successo dell’evento Bookcity Milano, gestito egregiamente dall’Assessorato cultura; il legame con il Coreis, l’associazione islamica, con incontri ed eventi in comune. Un Assessorato ai giovani che lavora alla grande, con un aumento considerevole di partecipanti agli eventi ludici o ricreativi organizzati in giro per Milano. Senza contare, ancora, che, con Roberto Jarach, vice presidente dell’Ucei, stiamo sollecitando con forza un maggior contributo dalla raccolta dell’8 per mille per il sostegno del nostro liceo». (Fiona Diwan)

Schwarz: la scuola, una sfida da vincere

Potenziare l’ebraico e l’inglese con l’ausilio del British Council e della World Zionist Organization. Premiare alunni e insegnanti meritevoli. Ripristinare il Progetto Qualità.

«La nostra scuola ha delle potenzialità straordinarie: i ragazzi entrano in via Sally Mayer a 12 mesi e spesso ne escono a 18 anni, dal nido alla maturità. Una ricchezza educativa, un’opportunità pedagogica uniche. Un patrimonio da implementare e valorizzare». Così, in modo diretto e controllato, parla Daniele Schwarz, Assessore alla Scuola, disegnando le linee guida su cui impostare il futuro e la crescita dell’istituzione. «Millenni di educazione e di pedagogia ebraiche restano un’eredità inestimabile -dice Schwarz-. È la tradizione dello studio che ha fatto del popolo ebraico qualcosa di unico, l’obbligo dei padri di dare alfabetizzazione e formazione ai propri figli. Dobbiamo stare attenti a non perderlo. Ecco perché penso sia fondamentale puntare sul concetto di continuità tra i vari ordini di studi e su un percorso armonico e consequenziale: insomma, si tratta di seguire quel fil rouge che dura per i 17 anni della vita di un ragazzo e che lo accompagna dalla prima infanzia alla condizione adulta. Ditemi quali altri Istituti hanno questo privilegio. E quale straordinario vantaggio se ne può trarre. Inoltre, penso che si debba offrire ben più di quanto prevedano i programmi ministeriali. E fare in modo che si alzi il numero degli iscritti paganti, che oggi sono al minimo storico. Lo so, la parola qualità può sembrare usurata o detrattiva. In verità, io alludo alla qualità dei servizi e a uno standard più alto dell’offerta. Per questo, ci piacerebbe potenziare l’inglese e affidarlo, fin dalle elementari, alla competenza di docenti provenienti dal British Council, un’auctoritas indiscussa in fatto di eccellenza pedagogica». Lo scopo finale, sottolinea Schwarz, sarebbe quello di far conseguire ai ragazzi diplomi come il First Certificate, il Proficency, il Toefl, che sono i tre livelli di apprendimento della lingua. E questo per fare in modo che, finita la maturità, possano poi accedere confortevolmente agli esami di qualificazione per entrare nelle università britanniche, americane o ovunque nel mondo si parli l’inglese. E fare lo stesso con l’ebraico, ribadisce Schwarz, «in modo che se i ragazzi volessero poi studiare nelle università di Israele evitino un anno di Mechinà». Schwarz ipotizza anche lezioni di ebraismo direttamente in lingua ebraica (oggi sono in italiano), secondo il nuovo metodo Tal Am, in modo da raddoppiare l’impatto dell’ebraico sui ragazzi, aggiungendo alle ore istituzionali di lingua, le ore di insegnamento storico-religioso.

E le rette? Invariate per tutti gli ordini di studi, fatta eccezione per il nido e la scuola dell’infanzia, che vedranno le tariffe dividersi in tre diverse fasce: tariffa Bsisit (base), a 1530 euro all’anno (praticamente invariata rispetto a oggi); tariffa Ezrà (di sostegno), a 1930 euro l’anno; tariffa Haver (amico), a 2330 euro all’anno. «È giusto che chi ha maggiori disponibilità economiche possa contribuire in modo conseguente. Senza contare che queste tariffe sono di gran lunga meno care e più competitive di quelle in giro sul mercato milanese».

Infine, il quarto tema, quello del merito e degli incentivi. Come misurarli? Quali i parametri di riferimento? «Per metterli a punto ci appoggeremo alla competenza di Susanna Mantovani, pro-rettore dell’Università Bicocca, docente di Scienze pedagogiche (con un passaggio da insegnante anche alla scuola ebraica!). Tutti i criteri saranno ovviamente discussi e condivisi col corpo docente: sia gli indicatori che valutino l’impegno dei professori, sia quelli sulla qualità della docenza, misurata prevalentemente sui risultati dei ragazzi. Ci guida il desiderio di potenziare la formazione dei docenti stessi. E di premiarli. Così come vorrei immaginare di dare agli stessi studenti, i più brillanti, dei premi o incentivi in denaro. La logica è quella del “se vinci tu, vinco anche io”. Ma attenzione: meritocrazia vuol dire anche dare il giusto valore a parametri oggettivi e condivisi, come i Test Pisa o l’Invalsi, ad esempio. Il Progetto Qualità, -messo a punto qualche anno fa-, sarà mantenuto ed entrerà a far parte di questi indicatori».

Riassumendo, Schwarz sottolinea l’urgenza di coltivare una visione unitaria della scuola nei suoi cinque ordini di studi; di evitare sovrapposizioni e mantenere la continuità, evitando di creare spaccature tra i vari cicli, tra un prima, un durante e un dopo; rafforzare l’azione delle quattro scuole ebraiche italiane (Torino, Milano, Trieste e Roma) e dell’UCEI, presso il Ministero della Pubblica Istruzione, al fine di poter ricevere un sostegno economico. «Le basi di una collaborazione ad ampio raggio con queste Scuole sono già state poste per mettere in comune risorse, problemi ed esperienze di ciascuno. Un esempio che viene da Roma, sicuramente replicabile anche a Milano, è la messa a punto di un programma di scambio tra le nostre scuole superiori e quelle all’estero di pari grado, dando agli studenti la possibilità di svolgere un periodo di studio in un Paese diverso, come il progetto Erasmus per le Università. E conclude: «Avere a cuore la nostra scuola oggi, vuol dire immaginare di costruire una scuola a cui nessun genitore sarebbe disposto a rinunciare, per il bene dei suoi figli». (Fiona Diwan)