n° 11 - Novembre 2013

Migranti, una questione mediterranea

2013
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n° 11 – Novembre 2013
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Cari lettori, care lettrici,

il tema delle migrazioni, degli spostamenti massicci di genti da un luogo all’altro del pianeta, è la questione centrale dei nostri giorni presenti e futuri, il macro-tema del destino europeo del ventunesimo secolo. Si calcola che entro il 2050 arriveranno in Europa circa 40 milioni di migranti e stranieri. Che sommati ai 30 milioni (dati Eurostat) che già ci sono oggi, raggiungeranno un totale, nel vecchio continente, di 70-80 milioni.

Per quante misure restrittive e sanzionatorie i governi possano adottare, difficilmente si riuscirà ad arginarne la marea, con un’Europa che invecchia e che sempre più appare una zattera di salvataggio per quei dannati della terra che fanno a pugni per salirci, a rischio di lasciarci la vita, come accade, quasi ogni giorno, nel mare di Lampedusa. O come accade in Israele, che condivide lo stesso destino dei Paesi dell’Occidente europeo. Anche qui, arrivano a piedi, dall’Africa, circa 80 mila migranti l’anno (vedi servizio a pag. 6), profughi miserabili del Sudan, perseguitati del Corno d’Africa, o vittime stremate dalla furia islamista degli Al Shaabab. Gente a cui Israele appare come l’unica salvezza possibile e che pone il Paese nella stessa linea di complessità politica dei Paesi europei; dotandolo anch’esso, a livello sociale, dell’irrinunciabile corredo di infamie e tragedie.

Se da noi la crapula dei nuovi trafficanti di schiavi sono gli scafisti, nel Sinai sono invece le bande di predoni beduini a stuprare, taglieggiare e torturare (per rivenderne gli organi), chi si avventura nel Sinai verso la Terra promessa d’Israele. Tribù nomadi che dal Sudan fino al Sinai truffano, rapiscono, vendono e comprano esseri umani a migliaia (all’arrivo in Israele, divengono un bacino di manodopera in nero per ripagare i debiti del viaggio). Se ai primi migranti, i predoni estorcevano 2-3 mila dollari, i prezzi oggi hanno raggiunto i 20 mila.

Ogni sera, il Lewinsky Park di Tel Aviv, si popola di fantasmi che vengono a dormire qui, all’aperto. Israele ha firmato e non ha ratificato la Convenzione di Ginevra sui rifugiati: ne rispetta la spirito, ma è a disagio con un’immigrazione non ebraica che minaccia il delicato equilibrio demografico. Come se non bastasse, Israele sta per accogliere l’immigrazione di più di cinque mila ebrei provenienti dall’India, l’alyià in massa dei Bnei Menashe (discendenti dell’antica tribù di Manasse). E ancora una volta, è il problema demografico, quello che più incalza Israele e l’Europa. Come accogliere? Come respingere? Come integrare? Con quali leggi e risorse? Che ci piaccia oppure no, sono queste le domande che abbiamo davanti. Sapendo che ciò che ci aspetta è l’esercizio più difficile che, come esseri  umani, siamo chiamati ad affrontare: accettare l’altro, la sua diversità che appare sempre minacciosa, la sua miseria che ci disgusta, il suo bisogno che ci atterrisce. Ne saremo capaci?

Fiona Diwan