n° 12 - Dicembre 2013

La banalità dei cattivi maestri

2013
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n° 12 – Dicembre 2013
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Cari lettori, care lettrici,

c’è un Consiglio che non andrebbe mai seguito: quello dell’Onu. La notizia è di oggi, ma potrebbe essere di sempre, ovvero da quando l’Onu è diventato un organismo grottesco, ostaggio di Paesi ben lontani da standard democratici accettabili, Paesi per nulla immacolati sul piano dei diritti umani ma che pure hanno decretato per Israele un regime di sorvegliato speciale e un linciaggio perenne. La notizia è del 18 novembre e riporta che durante una seduta dell’Assemblea dell’Onu, sono state votate nove (9!) risoluzioni contro Israele in una botta sola (vedi notizia pag. 4). Un altro record, che si aggiunge alle 22 risoluzioni votate nel corso dell’intero 2012. Una di queste ultime denunciava il comportamento dei militari israeliani nel Golan, trascurando così di dare un occhio a quei satelliti che da mesi fotografano gli ospedali da campo che proprio nel Golan stanno accogliendo i feriti che sfollano dalla Siria, in cerca di cure. Mentre l’Onu sprofonda nel ridicolo, a pochi intellettuali viene in mente di dire alcunché sui villaggi cristiani rasi al suolo in India e Africa, sulla carneficina in Siria, sulle impiccagioni in piazza come show pedagogico trasmesso in tv in Iran, sulla lapidazione di gay e adultere in Nigeria. Solo l’antisionismo e la negazione della Shoah fanno audience, solo dar contro a Israele rientra nel manuale del politicamente corretto (vedi pag. 8-10).

Dall’Onu all’Ungheria. Mi viene la pelle d’oca solo a pensare a un piccolo episodio ma a parer mio enorme, nella sua mostruosità. Si dice che i poeti siano l’innocenza del mondo, il primo e più vulnerabile capro espiatorio di ogni conflitto. In occasione del recente anniversario della Notte dei cristalli (avvenuta il 9 novembre 1938), poche settimane fa, in Ungheria, è stata fatta a pezzi la statua di uno dei più grandi poeti ungheresi, l’ebreo Miklos Radnoti, statua poi scagliata ai piedi della fossa comune in cui il corpo del poeta fu gettato nel novembre 1944, dopo essere stato fucilato. Morì con i suoi versi addosso: in uno di questi descrive la fucilazione di un altro uomo e poi immagina la propria morte. È questo uno dei brani più agghiaccianti della letteratura della Shoah: Gli crollai accanto, il corpo era voltato / già rigido come una corda che si spezza. / Una pallottola nella nuca. – Anche tu finirai così, -/ mi sussurravo – resta pure disteso tranquillo./ Ora dalla pazienza fiorisce la morte -/ … E fango misto a sangue si raggrumava nel mio orecchio. (Donzelli, Mi capirebbero le scimmie, a cura di Edith Bruck). Ovunque, anche in Paesi quasi senza più ebrei, Lituania, Spagna, Ungheria, Polonia…, la memoria dell’odio antiebraico sembra essere inestirpabile, durissima a morire. Eppure, oggi più che mai, i corifei del nuovo antisemitismo e i cattivi maestri non smettono di parlare. Lo permette un’opinione pubblica europea dal pensiero impaurito e atrofizzato, lo permette un mainstream acquiescente. Glielo permettiamo noi, se continuiamo a sussurrare.

Fiona Diwan