n° 6 - Giugno 2013

Inseguendo i segreti di mente e cervello

2013
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n° 6 – Giugno 2013
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Cari lettori, care lettrici, c’era una volta un rav che parlava di se stesso definendosi con amarezza “l’ultimo degli ingiusti”. Il suo nome era Benjamin Murmelstein, rabbino e ultimo presidente del Consiglio degli ebrei di Terezin, il ghetto-ideale, pieno di vita e ingegnosità, creato apposta dai nazisti per deviare accuse e sospetti, il ghetto dove furono convogliati gli ebrei più prestigiosi, talentuosi e facoltosi, in cambio dei loro beni.

Figura controversa, considerato moralmente opaco, accusato di indifferenza e persino di collaborazionismo, rav Benjamin Murmelstein è il personaggio a cui il regista francese Claude Lanzmann, 88 anni, dedica il suo nuovo film, Le dernier des injustes, appena presentato al Festival di Cannes a maggio e presto in uscita anche in Italia. Un film che fa profondamente riflettere e che pone domande eterne: quale linea di comportamento dobbiamo tenere nei momenti di estremo pericolo, specie se ricopriamo responsabilità collettive? Quale margine di ambiguità col nemico è possibile praticare in nome del bene comune? Come verranno letti e giudicati i nostri comportamenti?

«Considero Murmelstein un antieroe: è morto nel 1989 con addosso l’infamia di essere considerato un venduto e un traditore. Ebbene, non fu così», spiega Claude Lanzmann. «Ho conosciuto Murmelstein a Roma nel 1975. Ero prevenuto ma volevo farlo parlare di Terezin, per me l’apice di crudeltà e perversione nazista. Sapevo che, come rabbino e presidente del consiglio del campo, e per esserne tornato vivo, era considerato una figura poco trasparente, un apostata, un collaboratore di Eichmann. Tanto che lui stesso, rovesciando il titolo del libro di Schwarz-Bart, si definiva con triste sarcasmo “l’ultimo degli ingiusti”. Ascoltandolo, ho scoperto un uomo di grande onestà morale e intellettuale. Con i nazisti non aveva mai spartito nulla. Non era un collaboratore, solo un disgraziato costretto ad accettare la perversa logica che obbligava gli ebrei ad amministrare la macchina di morte dei campi. Un uomo pragmatico, temerario, capace di far leva sui punti deboli dei suoi carnefici. I nazisti avrebbero voluto fare di lui una burattino, ma lui aveva imparato a fingere di esserlo per poter meglio giocarli».

Finse così bene che, sfruttando la cupidigia di Eichmann per i soldi e patteggiando il denaro, riuscì a strappare da Terezin, e farli emigrare, ben 121 mila ebrei. Banalità del bene, banalità del male, banalità del giudizio. Oggi, far luce sulla figura storica di Murmelstein significa parlare di giustizia della memoria, per riabilitare colui a cui fu negata una tomba al cimitero ebraico di Roma.

Fiona Diwan